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Pino Veneziano

Omaggio al cantastorie di Selinunte - 1933/94

About Me


Pino Veneziano nasce a Riesi il 2 luglio del 1933. Durante la guerra il padre carabiniere, che ha prestato servizio prima a Castelvetrano e poi a Sciacca, abbandona la famiglia. Pino, interrompe la seconda elementare e comincia a lavorare come guardiano di capre e garzone di fornaio. A 17 anni, con la madre e il fratello, si trasferisce a Castelvetrano, dove lavora come garzone nei bar. Agli inizi degli anni ’60 è cameriere a Selinunte e verso la fine del decennio, con due amici, apre il suo primo ristorante. Impara a suonare la chitarra a circa 40 anni. Poco dopo scrive la sua prima canzone, Lu sicilianu. Le altre vengono quasi una dopo l’altra: una trentina circa (il materiale è in fase di riordino). Negli anni ’70 e fino alla metà degli anni ’80 il ristorante Miramare, e poi il Lido Azzurro, diventano un punto di riferimento per la borgata di Marinella di Selinunte. Pino serve ai tavoli e poi canta le sue canzoni. Tra i suoi clienti ci sono anche Lucio Dalla e Fabrizio De Andrè, che lo vuole come spalla nel suo primo concerto in Sicilia. Pino regala le sue canzoni anche alle Feste dell’Unità. Nel 1975 incide il suo primo e unico disco, Lu patruni è suvecchiu (Il padrone è di troppo), edito dai Circoli di Ottobre; il poeta Ignazio Buttita nella nota di copertina lo definisce: Un cantastorie che fa politica e la sublima con la poesia. Nell’estate del 1984 nel ristorante di Pino si ferma anche Borges, il quale si commuove ascoltando le sue canzoni che, per lui, non hanno bisogno di traduzione. Chiede anche di accarezzare il volto di Pino per “vederlo”. Nel 1984 una compagnia di anziani di Riesi, in gita a Selinunte, casualmente fornisce a Pino informazioni su suo padre che si trova in un casa di riposo a Gela. Quando va a trovarlo scopre che anche il padre suona la chitarra e canta motivi popolari. Il 1986 è l’ultimo anno in cui Pino lavora al ristorante; intristito dalla morte della moglie (avvenuta nel 1980) e provato da una vita di fatica, per arrotondare la pensione fa il posteggiatore al Parco Archeologico di Selinunte. Continua comunque a scrivere canzoni. Muore il 3 luglio 1994, il giorno dopo il suo compleanno.
Note di copertina sul disco "Lu patruni è suvecchiu" a cura di Ignazio Buttitta:
Ho qui con me nella mia casa di campagna Pino Veneziano, cantastorie: ha appena finito di cantare un gruppo di canzoni incise in un disco prossimo ad uscire. Il successo sarà certo perché Pino alla potenza della voce aggiunge la forza drammatica. I testi sono suoi, i motivi musicali pure. Un cantastorie, che fa politica, e la sublima con la poesia. Il suo discorso è semplice, popolare, ma convincente; e riesce a farsi capire dai braccianti in maggioranza analfabeti e semianalfabeti. Gli argomenti sono la verità, cantata da popolano a popolano, senza inganni. I padroni non sono necessari, le guerre nemmeno; le case sono necessarie, perché un coniglio senza tana, un uccello senza nido, sono come i pesci senza mare, dice.Da ragazzo, ora ha quarant’anni, Pino faceva il guardiano di capre, di vacche; dormiva in campagna; frequentò la seconda elementare. E’ stato sempre povero, povero ancora oggi, ma ricco di poesia e d’amore per gli uomini che soffrono. Un popolano, che fa cultura. Un popolano, che canta la libertà e la Giustizia, e ve la versa nei cuori con la voce.Io, se fossi ragazzo, gli porterei la chitarra; lo seguirei ovunque va; lo sentirei cantare nelle piazze. Vedrei i braccianti commuoversi, entusiasmarsi, e lui col canto dargli la speranza. La speranza che io, lui, e tutti i lavoratori aspettano con l’alba di domani, e non più tardi.
(Ignazio Buttitta)
Per informazioni e per ottenere il disco integrale, rivolgersi all’Associazione Pino Veneziano via Bresciana 11 - 91022 Castelvetrano (TP) - Tel. e fax 0924 81583

My Interests

Music:

Member Since: 6/26/2007
Band Website: pinoveneziano.altervista.org
Band Members: Umberto Leone e Ute Pyka, Enrico Stassi e Maria Teresa Coraci, Rocco Pollina e i Mondorchestra, Alfio Antico, Etta Scollo, Ascanio Celestini, Michela Musolino, Giovanni Mattaliano, Angelo Berardi, Ruggiero Mascellino, Massimo Patti, Giusi Quarenghi, Roberto Denti, Serenella Parazzoli, Fabio Monti, Elsa Guggino e tutti gli altri partecipanti all'omaggio a Pino Veneziano che si è svolto in questi anni a Selinunte grazie al lavoro dell'Associazione Pino Veneziano. Hanno sostenuto il lavoro dell'associazione anche Vincenzo Consolo e Dario Fo.

Motivazioni Premio Pino Veneziano 2008

L’Associazione Culturale Pino Veneziano ha il piacere di comunicare di aver conferito il Premio Pino Veneziano 2008 al gruppo musicale Officina Zoè e al regista Edoardo Winspeare.

L’immenso valore dell’azione artistica dell’Officina Zoè sta nell’aver rinnovato il repertorio della Pizzica attraverso composizioni originali – spingendosi oltre una semplice e nostalgica operazione di archeologia – fino a divenire punto di riferimento per molti artisti salentini, che in loro hanno trovato stimolo e ispirazione per riproporre i classici della musica popolare del Salento. Con il suo cinema privo di effetti speciali, Edoardo Winspeare è riuscito a “scrivere” il Salento contemporaneo e a offrirci visioni di elegante e autentica poesia. L’amore e la passione per la sua terra lo hanno spinto ad impegnarsi anche socialmente con la costituzione dell’associazione “Coppula Tisa”, nata per mantenere nel Tacco dell’Italia una Bellezza non solo spirituale, ma anche fisica, cercando di preservarne il territorio.
Grazie all’attività dell’Officina Zoè, di Winspeare e di molti altri artisti, oggi il Salento ha ritrovato l’orgoglio della propria identità culturale, che ha saputo coniugare alle esigenze attuali e a farne il volano dell’economia turistica. La Notte della Taranta, che ha raggiunto ormai una notorietà internazionale, rappresenta infatti un grande esempio di evento artistico legato all’espressione culturale di un territorio.

Selinunte, 13 maggio 2008

Influences:

PINO VENEZIANO E LA CANZONE POPOLARE

di VINCENZO CONSOLO

Milano, 19 luglio 2004

Si sono perse le voci, e per sempre, dei poeti e dei cantori popolari di Sicilia, così come d’ogni altra regione o plaga di questo nostro paese, di questo nostro mondo d’oggi, assordato dai clamori imperiosi della violenza e della stupidità.Voci, quelle, umane e melodiose che davano voce ai sentimenti e ai pensieri di un popolo, un popolo che gioiva soffriva dell’esistenza, soffriva della storia. Una catena sonora, quella popolare della Sicilia, che affondava l’origine sua nel più remoto tempo, nel tempo greco degli aedi e dei lirici. “La discendenza del canto popolare Siciliano dalla musica greca dell’epoca classica è una proposizione indiscutibile” scrive il musicologo Ottavio Tiby. Greco, si, il canto popolare siciliano, su cui però è passata la nenia lenta e profonda del deserto, del canto arabo vogliamo dire. Il “borghese” Alessio Di Giovanni, di Cianciana, per aver sentito una notte un carrettiere cantare il malioso canto che iniziava con il distico “Lu sunnu di la notti m’arrubbasti: / ti lu purtasti a dòrmiri cu tia”, si convertì al radicalismo dialettale, a scrivere tutte le sue opere, poesie romanzi, in siciliano. Canto arabo dunque, andaluso e gitano, che dall’Andalusia moresca passò in Sicilia e nel Napoletano, parole e suoni, quelli del canto popolare siciliano, che di generazione in generazione si tramandavano e si ricreavano, una musica popolare che fecondava e rinnovava la musica dotta. Abbiamo avuto per la prima volta cognizione di questo prezioso patrimonio culturale grazie all’opera del musicista e storico della musica Alberto Favara che, percorrendo paesi e villaggi dell’isola, trascrisse parole e note dei canti popolari, pubblicò, tra il 1898 e il 1923, il Corpus dei Canti delle terre e del mare di Sicilia, raccolta che completava, arricchiva anzi, le raccolte di soli versi dei folkloristi Vigo, Pitrè, Salomone Marino, Avolio, Amabile Guastella. Un lavoro in qualche modo simile a quello del Favara, ma già in epoca delle registrazioni meccaniche, ha fatto il poeta ed etnologo Antonino Uccello, il quale, nel momento della grande mutazione antropologica, vale a dire della fine della civiltà contadina, riuscì a registrare, dalle ultime voci superstiti, antichi canti popolari, e pubblicò, a cavallo degli anni sessanta, Canti del Val di Noto, Risorgimento e società nei canti popolari siciliani, Carcere e Mafia nei canti popolari siciliani.Il Corpus del Favara trovava, quasi contemporaneamente, specularità nel Corpus di musiche popolari ungheresi di Bèla Bartòk e di Zoltan Kodàli. E intorno a quegli anni Federico Garcia Lorca pubblicava i “suoi” Canti gitani e andalusi. Il lavoro invece di Antonino Uccello si specchiava in quello svolto in Puglia da Ernesto De Martino, se non nell’Academiuta di lenga furlana, Poesia dialettale del novecento e Canzoniere italiano: antologia della poesia popolare di Pier Paolo Pasolini. Il quale, già nel 1972, così scriveva: “Non sussiste dubbio, comunque, che, salve le aree depresse, la tendenza del canto popolare nella nazione è a scomparire”. Aree depresse come la siciliana. E dunque le voci ultime e straordinarie di poeti e di cantori popolari: di Ignazio Buttitta, di Ciccio Busacca, di Rosa Balistreri, di Pino Veneziano. Autenticamente popolano, il Veneziano, picaro e gitano, dalla vita tormentata come quella di Rosa Balistreri. Ma, per ironia del caso, Pino portava lo stesso cognome del colto e grande poeta dialettale cinquecentesco Antonio Veneziano, l’autore de La Celia, dalla vita tormentata anch’egli, che ebbe la ventura di essere stato compagno di prigionia in Algeri di don Miguel de Cervantes.Di povera famiglia, Pino, ancora fanciullo, è guardiano di capre nelle campagne di Sciacca, poi garzone di fornaio e quindi di bar, uno di quei lavoratori minorenni che a Palermo chiamavano “vaporta”, vai e porta. Agli inizi degli anni Sessanta, fa il cameriere in un ristorante di Selinunte. E a Marinella di Selinunte, in quella breve striscia di terra ai piedi della collina da cui s’alzano le colonne dei portentosi templi greci, si fa imprenditore, gestore di un ristorante insieme agli amici Jojò e Giacomino. E nel 1972, l’anno in cui Pasolini decretava la scomparsa del canto popolare in Italia, Veneziano impara a suonare la chitarra dal maestro zu’ Vicenzu Fasulu, detto Piricuddu. E nel suono della chitarra sgorgano i primi versi, la prima canzone: Lu Sicilianu, Il siciliano,”ca a tutti i banni chiamanu gitanu”, come nell’atroce Italia di oggi, piccolo borghese e neo-capitalistica, vengono chiamati spregiativamente marocchini tutti gli immigrati, maghrebini e no.Non meliano e non arcadico, Pino Veneziano, ma nella linea buttittiana della consapevolezza storica dell’impegno civile. Da qui i suoi canti quali Lu patruni è suvecchiu, Nivuri su li bummi, La festa ddi li porci, Piazza di la Loggia, Allende, La Maffìa. Mentre Buttitta, e la stessa Balistreri, cantavano una Sicilia e un’Italia del Secondo dopoguerra, delle lotte contadine e dei sindacalisti uccisi dalla mafia, della seconda grande emigrazione nel centro Europa di masse di braccianti, Pino Veneziano cantava l’atroce Italia dei roventi anni Settanta, del regime democristiano, della corruzione e delle stragi perpetrate dai fascisti.Ma c’era anche un Veneziano rapito cantore della bellezza della natura (Settembri), la natura forse ancora, là a Selinunte, delle lucciole pasoliniane. E un Veneziano cantore del rapinoso dei sentimenti umani, dell’amore: L’amuri, Ma dunni si tu?, Si tu nun veni, Non ti pozzu scurdà.E forse un grande amore, travolgente, portò il povero Veneziano all’autodistruzione, alla rapida fine.Ma rimangono, in questa plaga della più classica Sicilia, ancora vivi i tratti gitaneschi, le parole e la musica del Veneziano.Di quel Veneziano che un giorno dell’84, là al Lido Azzurro, cantò per il vecchio e cieco poeta Jorge Luis Borges e lo commosse, il Borges che aveva cantato la milonga e il quartiere Palermo di Buenos Aires, la Palermo di Evaristo Carriego. Nella musica stanno, nelle corde / Della chitarra dal suono ostinato / Che trama nella milonga felice / La festa e l’innocenza del coraggio.

Vincenzo Consolo
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In queste slide compaiono le foto di Vincenzo Consolo, il quadro di Dario Fo dedicato all'associazione, Umberto Leone - l'unico fedele conoscitore di tutto il repertorio di Pino - suo amico e collaboratore in vita, il logo dell'associazione, la copertina del disco "Lu patruni è suvecchiu".
Record Label: Circoli Ottobre
Type of Label: Indie

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Omaggio a Pino Veneziano

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Posted by Pino Veneziano on Sun, 01 Jul 2007 02:57:00 PST