***nota di Roberto Faenza
DANTE - Purgatorio Canto VI. “Ahi, serva Italia, di dolore ostello/ nave senza nocchiere in gran tempesta/ non donna di provincie, ma bordello"
“Scusate zio, perdonatemi. Voi siete di destra, no? Il Presidente del Consiglio non è di sinistra?â€, chiede Consalvo, il protagonista del film alla zio Duca,diventato
parlamentare, che così gli risponde:“Consalvo mio, ma non ti hanno insegnato proprio niente a te! Destra…Sinistra, oggi non significano più niente! Di questi tempi tutto cambia talmente velocemente che non possiamo più stare appresso alle etichetteâ€.
Agli spettatori del film, questi e molti altri dialoghi sembreranno scritti da noi.Risalgono invece alla penna di Federico De Roberto, autore del romanzo al quale il
film è ispirato, a riprova della modernità di quel racconto e ahimè anche a riprova dell’immobilismo del nostro paese.
Molti si domanderanno perché I Vicerè compare solo oggi sullo schermo, quando è ormai passato quasi un secolo da quando i primi registi (compresi, in seguito, Visconti e Rossellini, per citare solo i più famosi) hanno immaginato di farne un film.
La mia risposta è semplice: perché I Vicerè per decenni, e temo ancora oggi, è stato sempre contrastato dai due poteri forti del paese: la politica e la chiesa, entrambi al centro del romanzo. Non comprendendo l’una che avrebbe dovuto fare tesoro di quel racconto e le gerarchie
ecclesiastiche, dal canto loro, non riuscendo a superare la critica dell’anticlericalismo, rivolta a un romanzo che metteva il dito nella piaga della assenza di vocazione da parte di tanti uomini ("i porci di Cristo", come vengono chiamati nel romanzo), mille miglia lontani dalla parola di Dio. La famiglia, lo stato, la chiesa sono i motori attorno ai quali gira il racconto, uniti in un solo credo: la sopraffazione. E’ la sopraffazione dei forti sui deboli, dei ricchi sui poveri, dei potenti sul popolo a guidare i nostri personaggi, i quali in nome di un distorto senso del dominio calpestano e travolgono tutto ciò che incontrano sul loro cammino. I Vicerè è un quadro feroce di quello che siamo noi italiani, un affresco che fa venire in mente le tinte forti di Goya. E non è un caso che la famiglia al centro delle trame sia infatti di origine spagnola. Ciò che siamo stati e ciò che siamo, i vizi che ci affliggono, la resistenza a ogni cambiamento e, per contro, la vocazione al conformismo, la tempestività a chinare la schiena di fronte ai vincitori… ecco la pasta di cui è fatta la pellicola, che si snoda alternando al dramma i tratti dell’ironia e del grottesco. Viene in mente il comizio finale del film dove Consalvo, del tutto simile a certi politici odierni, promette tutto e il contrario di tutto, per terminare il suo comizio nell'apoteosi del nonsenso: "Viva il re, viva la rivoluzione, viva Sua Santita!".
Dopo le mie pellicole più recenti, avevo pensato al progetto di una nuova versione aggiornata di Forza Italia!, il film la cui censura e la messa al bando ventennale avevano segnato la mia carriera, se così posso dire, cinematografica. Mi accorgo ora di aver realizzato, indirettamente, questa mia intenzione portando sullo schermo I Viceré. E difatti il finale del film prende a prestito il sonoro del finale di Forza Italia!, con le urla di uno degli ultimi congressi democristiani, che accompagnano Consalvo, impegnato ad assistere alla prima rissa del Parlamento italiano nella nuova aula di Montecitorio.
Se dovessi definire in poche parole cos’è il film direi questo: “l’impietosa autobiografia di una nazione†(la frase è di Antonio Di Grado, lucido studioso de I Vicerè).
Confinato all’oblio per troppo tempo, l’opera di De Roberto (dopo I Vicerè ha scritto un secondo atto di accusa nei confronti dell’italica vocazione al trasformismo, L’imperio, altra opera mirabile sul nostro Parlamento, che è, come diremmo oggi, il “sequel†del primo romanzo) sta conquistando finalmente il podio dei nostri massimi capolavori.
Vedi ad esempio un articolo di Galli della Loggia, apparso di recente sul Corriere della Sera (giornale per il quale lavorò per un certo periodo lo stesso De Roberto), dove scrive che I Vicerè dovrebbe essere reso obbligatorio nelle scuole. Nel romanzo, “c’è tutta l’antropologia del potere politico italiano: la sua articolazione infinita, la sua insaziabilità , l’inevitabile ipocrisia dei suoi riti, e per finire il ruolo decisivo degli ‘amici’ â€.
E’ quello che cercheremo di fare con il nostro film.
Lottare contro tanta spazzatura mediatica rivolta alla popolazione giovanile è una impresa ardua, ma è una scommessa che vale la pena di fare.
Roberto Faenza
Intervista a Roberto Faenza
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