Purple Haze profile picture

Purple Haze

purplehaze_ph

About Me

PurpleHaze è un collettivo artistico nato a Pistoia nell’aprile 2007 dall’incontro di Marco Carlesi (poeta e scrittore), Fabio Cerri (performer), InFlux (Federico Fiori e Francesca Lenzi), Daria Pastina (scenografa). L’unione di queste diverse competenze e professionalità individuali rende possibile una costante ricerca interdisciplinare che si sviluppa nella progettazione e realizzazione di opere che manifestano la costante interazione di diversi linguaggi e forme espressive. Particolarmente interessato al collegamento tra l’opera e lo spazio in cui essa viene presentata, PurpleHaze incentra la propria ricerca sulle problematiche scaturite tra l’intervento artistico e gli stimoli del luogo specifico. Attraverso installazioni, video e teatro sperimentale, si esprime la costante contaminazione collettiva in cui simboli e concetti si fondono e si declinano in base ai ritmi e alle sensibilità individuali, dove il significato emerge non come fine ma come causa prima, da cui l’arte si genera e si riversa sullo spettatore. La scelta della performance come mezzo espressivo trova il suo motivo nella visione della centralità del corpo nell’arte come la centralità dell’uomo nel ruolo di creatore dell’arte stessa: la presenza del corpo come forma di vita vera e tangibile nella ricerca di un’arte che sia vera, umana e concreta. Ciò significa porre il corpo come elemento essenziale al centro dell’opera, così come si pone lo spettatore, corpo e persona, al centro del pensiero stesso dello spettacolo che viene a costituirsi. La disposizione stessa del pubblico rispetto alla scena e allo svolgersi dell’azione racchiude l’importanza data allo spettatore nella sua centralità, intorno a cui tutto lo spettacolo viene progettato. Da qui nasce l’esigenza della scelta e dello studio del luogo. Ogni tipo di spazio si presta, con le sue caratteristiche, ad essere abitato dall’arte e da esserne reinterpretato. La scenografia stessa si viene così a formare di volta in volta sulla base delle caratteristiche primarie del luogo, siano esse puramente fisiche o legate alla usa storia ed alla sua funzione. Un luogo che non è solo palco, ma che fornisce allo spettacolo stesso i motivi e le ragioni di esistere. Un luogo protagonista quindi non solo nello svolgersi ma nella genesi stessa dell’opera. E’ qui che i mezzi prendono vita: la tecnolgia ed il video sono utilizzati come proiezione del corpo e della mente, come strumento per rappresentare qualcosa che va oltre e per andare oltre lo strumento stesso, utilizzando la tecnologia e non venendone utilizzati. Ogni elemento ha l’obbligo di avere un motivo di esistenza o, ancor meglio, una causa di presenza. Un punto chiave di PurpleHaze è la sua interdisciplinarità: le forme comunicative sono le molecole che compongono la materia dell’opera, le parti che creano l’organismo artistico. Andare oltre la parola, oltre il video e la scena stessa, per dare corpo e vita a sentimenti ed emozionalità. La cura di ogni singolo aspetto rispetta così la visione dei singoli componenti, mentre la scelta stessa dei movimenti e delle azioni dei singoli attori si sviluppa sulla base dei performer chiamati ad intervenire, in un’interazione tra il loro modo di vivere il personaggio e le sensazioni e i concetti che devono essere trasmessi al pubblico. Al centro degli elementi coinvolti si trova il concetto di tempo: lo spazio, non considerabile se non in base al tempo che lo modifica, così come il corpo e la vita stessa che viene messa in scena, descrivono lo svolgersi dell’azione. Un tempo che si carica di ogni attimo precedente, in un evolversi di attimi che giungono ad un tempo nuovo, diverso, in cui il cambiamento appare come la soluzione naturale all’evolversi degli eventi. Un cambiamento che però non sempre si ha la forza di ottenere, o le cui conseguenze non sono sempre prevedibili. IN PURPLEHAZE: .: Performer Fabio Cerri Lucia Mazzoncini Massimiliano Meoni Luca Privitera Clarissa Tulli .: Sound Tomaso Azara Federico Fiori .: Video InFlux .: Abiti Massimiliano Meoni (O Re Do) .: Scenografia Daria Pastina .: Testi Marco Carlesi sostengono PURPLEhaze .: Associazione Culturale Vdg25.org .: Associazione Culturale Klab PROSSIME DATE .: NDDDI // variazione 29.5Giovedi 29 Maggio 2008 ore 20:00 Spazio Corte 17 - Via Genova, 17 - Pratocon Luca Privitera testi Marco Carlesi video InFluxNDDDI // variazione 2.7Mercoledi 2 Luglio 2008 ore 21 Ginger Zone - Piazza Togliatti - Scandiccicon Luca Privitera design scenico Daria Pastina testi Marco Carlesi video InFluxNDDDI // variazione 9.7Mercoledi 9 Luglio 2008 ore 21 Ginger Zone - Piazza Togliatti - Scandiccicon Lucia Mazzoncini design scenico Daria Pastina testi Marco CarlesiNDDDI // variazione 18.7Venerdi 18 Luglio 2008 ore 21 Ginger Zone - Piazza Togliatti - Scandiccicon Fabio Cerri design scenico Daria Pastina testi Marco CarlesiMEOLANDIAMercoledi 23 Luglio 2008 ore 21 Ginger Zone - Piazza Togliatti - ScandicciNiente di diverso da indossare… con Meo Niente di diverso da suonare… con Meo Niente di diverso da vedere… con InFluxA:A:A - SPAZIO URBANO CERCASI 11/05/08 Azione urbana in sostegno dello "Spazio Liberato Ex Breda Est"..

My Interests

Music:

NDDDI // variazione 21.4 un progetto di PURPLEhaze Spazio Liberato Ex Breda Est - Pistoiacon Luca Priviteratesti Marco Carlesivideo InFluxNDDDI // variazione 21.4
..NDDDI //Storia di un vestito, un paio di limoni e qualche abitudine un progetto di PURPLEhazecon Fabio cerri, Lucia Mazzoncini, Massimiliano Meoni, Luca Priviteratesti Marco Carlesiregia InFluxNDDDI
..NDDDI // Niente di diverso da indossare un progetto di PURPLEhazecon Fabio cerri, Lucia Mazzoncini, Massimiliano Meoni, Luca Priviteratesti Marco Carlesicostumi O’re DoNDDDI è un progetto teatrale che affronta la tematica dell’abitudine vista come indumento ricorsivo con cui l’individuo si veste per non porsi mai il problema di qualcosa di diverso. Il vivere, rivivere e ripetere nuovamente, affinché tutto sia già stato vissuto; nessuna novità, niente di nuovo, perché niente di diverso e fuori dall’ordinario possa accadere. La sicurezza, ricercata nell’eliminazione e nell’assenza dei fattori variabili; lo scegliere sempre lo stesso per non porsi mai il problema di decidere davvero.Attorno ad un tavolo, emblematico luogo dell’abitudine, l’ego si siede con le abitudini di spazio, tempo ed azione, ed attorno a questi fattori si sviluppa la soluzione scenica: una soluzione scenica fatta di traiettorie, elettrodomestici, fasci di luce, suoni, parole. Nascono così gesti e significati che rendono vivo e tangibile il concetto di abitudine, in un meccanismo perverso ed irreversibile fatto di sicurezze ripetute e che appare fisicamente sempre più inarrestabile.Le nostre abitudini, il nostro fare senza mettere in discussione, sia esso frutto di strutture e contesti sociali, o sia invece strettamente legato all’esperienza della propria soggettività, conduce alla mera negazione della libera iniziativa. Si crea così una gabbia, una prigione di tempi e spazi, un sequenza di movimenti concentrici che imprigiona, e non salva.Simbolo delle possibilità di cambiamento che ogni giorno si incontrano e che mai si colgono, il prendere finalmente coscienza delle proprie abitudini è il primo passo di un possibile percorso di liberazione; ma ciò che si rivela non è che il modificarsi di un’abitudine per aggiungerne altre. Quando qualcosa è cambiato ma comunque tutto è rimasto uguale, quando si arriva al punto morto, allora l’abitudine dell’abitudine stessa prende il sopravvento, risucchia, ingloba.Non è possibile o non certo facile mutare ciò che da molto tempo si è impresso nel carattere. Le forze in gioco sono quelle dell’inerzia e della conservazione, della stabilità sociale e degli equilibri di potere, del mercato e dei bisogni, degli usi e dei costumi, e di quant’altro caratterizza le azioni, i luoghi, i ritmi e i riti dell’oggi. Ma ancor quando si muti, l’umana tendenza all’abitudine ostacola il recupero della piena libertà. Poco dopo l’essersi vestiti lo stimolo creato dall’abito scompare dal nostro sistema nervoso e ne diventiamo inconsapevoli. Così si cade di nuovo nell’abitudine, ed il grande meccanismo prosegue.In quella che non è soltanto un’indagine estetica, ma la ricerca del luogo più profondo dove si muovono l’anima e la personalità stessa: una realtà colma di estasi e tensione, cadenzata daritmi ossessivi, da calcoli meticolosi, da traiettorie obbligate, da un progressivo ordine stringente, da un susseguirsi frenetico di plasticità e frasi sussurrate, come un urlo al vento.Un mero dipinto delle nostre misere vesti, pilastri del grigio quotidiano moderno e della struttura sociale dell’oggi. Un teatro di abitudini che animano, governano e dominano; a meno che non si scelga diversamente. Niente di diverso da indossare Storia di un vestito, un paio di limoni e qualche abitudine Lavarsi le mani. Lavarsi le mani e sciacquare i limoni. Lavare la frutta prima di servirla o metterla in bocca. Lavarsi i denti.La rotazione della mano è netta, il polso fluido non perde un colpo. Così neppure io. La crema si sparge correttamente e non lascia trasparire segni.Ci sono segni di ogni tipo, giorni di ogni tipo.Ci sono parole di ogni tipo e orecchi di ogni tipo. Come creme, penne, fogli e cappelli.Ci sono mani, dita lunghe e pronte. Le labbra e i denti.E poi ci sono io, un tutt’uno, un insieme. Compreso il mio egoismo. Le mie creme. I miei fogli. I miei cappelli.I cappelli, i vestiti e i miei passi in cerchio.I miei passi in cerchio. Osservare i passi e poi porli in fila.Porre i passi in fila. Porre i piedi uno dietro l’altro. Porre me, dietro di me, e poi io avanti ancora. E ripetere. Ripetere. Ripetere.Una scarpa dietro l’altra, e dietro i gambali, così io.Osservare. Osservare la luce, al buio e alla luce. Trovare gli spazi, trovare lo spazio per giungere. Giungere negli spazi mentre ci si prepara ad uscire.Posare i passi. Posare i passi in fila, i piedi in fila, le orme. Posare i passi di nuovo.Posare gli abiti. Posare gli abiti sul corpo e posare il corpo negli abiti. Corpo, ed abiti.Prima di ricominciare di nuovo.Muoversi. Il passo, il verso, la direzione. Cercare la linea marcata, la via erosa, la terra consumata, la stoffa lisa.Ore che passano, ore ed appuntamenti.Spazio. Seguire spazi e tempi.Col volto stirato, i capelli asciutti i limoni lavati e pronti in bella vista sul tavolo. Il volto stirato, i capelli asciutti, e poc’altro da prendere. Quando giunge l’ora.Ci sono parole che ripeto ogni giorno senza mai ascoltare.Nello stare seduti. Stare seduti o rimanere in piedi. Condividere in piedi e convivere seduti. Mangiare bere e quant’altro.La sedia indica il mio posto. Senza esitazione.Stare seduti. Bere. Parlare. Dire cose senz’altro dire, e ripetere e ripetere, senza mai comprendere le parole dette.Così un passo dietro l’altro, e tutti gli altri passi dietro. Verso la soglia e dalla soglia poi indietro ancora.Per andare avanti e restare seduti. Per lavare i limoni, spargere la crema e muovere il polso, sedersi a tavola e poi alzarsi di nuovo; ed asciugarsi i capelli.I limoni e la crema, il polso e la sedia, i passi, i capelli, per essere pronti ad uscire ed iniziare di nuovo.Fino a porsi sulla soglia del non essere mai gli stessi, ed interrompersi per poi ricominciare, dopo essersi chiesti incessantemente chi siamo in realtà, oltre i nostri abiti logori.Ma quando si scalpita e si continua a scalpitare avvolti nell’oscuro niente, allora non c’è più, non c’è più nessuno là.Lavarsi le mani. Lavarsi le mani e sciacquare i limoni.

Movies:

METAMORPHOSIS un progetto di PURPLEhaze Cantieri Culturali Ex Macelli - Prato testi Marco Carlesi scenografia Daria PastinaUna unità di luogo trasformata in se nel suo fine. La carne lascia il posto all’arte, per un nutrimento diverso e non più corporeo: si modificano i suoni che abbandonano gli stridii industriali per nuove melodie musicali. Non si vedono animali sgozzati ma arte. Dove prima si divideva un corpo in pezzi separati, divisi, per diversi usi, fini, utilizzi, destinazioni, adesso i singoli, le parti del corpo della società, vengono riuniti in un pubblico per ascoltare musica, osservare immagini, fruire arte. La metamorfosi di un luogo accompagna il cambiamento di chi lo abita, ed al sangue si sostituiscono parole e sudore di una nuova carnalità che si completa tra spazi espositivi, concerti, proiezioni: quei luoghi non più necessari al sistema produttivo e che si sono resi adatti adessere occupati da un’arte in cui il pubblico può tornare ad ù essere uno. Immergersi. Pensare. Metamorphosis
..

Television:

Nella terra stessa un progetto di PURPLEhaze Cantieri Culturali Ex Macelli - Prato con Fabio Cerri e Clarissa Tullitesti Marco Carlesi scenografia Daria Pastinavideo InFlux L’analisi dell’innegabile rapporto tra corpo e spazio conduce, nella ricerca delle origini, al primo spazio creato per l’uomo e al primo uomo creato per esservi ospitato. “Nella terra stessa” affronta il primordiale legame tra Adamo e l’Eden, attraverso gli indelebili segni lasciati dai primi passi, dai primi movimenti, dalle prime parole pronunciate. La visione simbolica dell’interazione tra l’uomo e il suo abitare il mondo esterno, nel suo esplorarlo, modificarlo, dominarlo. Un viaggio poetico attraverso suoni e immagini, tra l’Eden e il mondo esterno, oltre la cacciata e l’apocallisse, fino al sacrificio della Terra e al ritorno dell’uomo nella terra stessa. Tratto dal racconto breve “La parola di Adamo” di Marco Carlesi.Nella terra stessa un progetto di PURPLEhaze Abitazioni. Lo spazio del corpo Parco Pertini Agliana - Pistoia con Fabio Cerri e Clarissa Tullitesti Marco Carlesi scenografia Daria Pastina video InFlux