NDDDI // variazione 21.4
un progetto di PURPLEhaze
Spazio Liberato Ex Breda Est - Pistoiacon Luca Priviteratesti Marco Carlesivideo InFluxNDDDI // variazione 21.4
..NDDDI //Storia di un vestito, un paio di limoni e qualche abitudine
un progetto di PURPLEhazecon Fabio cerri, Lucia Mazzoncini, Massimiliano Meoni, Luca Priviteratesti Marco Carlesiregia InFluxNDDDI
..NDDDI // Niente di diverso da indossare
un progetto di PURPLEhazecon Fabio cerri, Lucia Mazzoncini, Massimiliano Meoni, Luca Priviteratesti Marco Carlesicostumi O’re DoNDDDI è un progetto teatrale che affronta la tematica dell’abitudine vista come indumento ricorsivo con cui l’individuo si veste per non porsi mai il problema di qualcosa di diverso. Il vivere, rivivere e ripetere nuovamente, affinché tutto sia già stato vissuto; nessuna novità , niente di nuovo, perché niente di diverso e fuori dall’ordinario possa accadere. La sicurezza, ricercata nell’eliminazione e nell’assenza dei fattori variabili; lo scegliere sempre lo stesso per non porsi mai il problema di decidere davvero.Attorno ad un tavolo, emblematico luogo dell’abitudine, l’ego si siede con le abitudini di spazio, tempo ed azione, ed attorno a questi fattori si sviluppa la soluzione scenica: una soluzione scenica fatta di traiettorie, elettrodomestici, fasci di luce, suoni, parole. Nascono così gesti e significati che rendono vivo e tangibile il concetto di abitudine, in un meccanismo perverso ed irreversibile fatto di sicurezze ripetute e che appare fisicamente sempre più inarrestabile.Le nostre abitudini, il nostro fare senza mettere in discussione, sia esso frutto di strutture e contesti sociali, o sia invece strettamente legato all’esperienza della propria soggettività , conduce alla mera negazione della libera iniziativa. Si crea così una gabbia, una prigione di tempi e spazi, un sequenza di movimenti concentrici che imprigiona, e non salva.Simbolo delle possibilità di cambiamento che ogni giorno si incontrano e che mai si colgono, il prendere finalmente coscienza delle proprie abitudini è il primo passo di un possibile percorso di liberazione; ma ciò che si rivela non è che il modificarsi di un’abitudine per aggiungerne altre. Quando qualcosa è cambiato ma comunque tutto è rimasto uguale, quando si arriva al punto morto, allora l’abitudine dell’abitudine stessa prende il sopravvento, risucchia, ingloba.Non è possibile o non certo facile mutare ciò che da molto tempo si è impresso nel carattere. Le forze in gioco sono quelle dell’inerzia e della conservazione, della stabilità sociale e degli equilibri di potere, del mercato e dei bisogni, degli usi e dei costumi, e di quant’altro caratterizza le azioni, i luoghi, i ritmi e i riti dell’oggi. Ma ancor quando si muti, l’umana tendenza all’abitudine ostacola il recupero della piena libertà .
Poco dopo l’essersi vestiti lo stimolo creato dall’abito scompare dal nostro sistema nervoso e ne diventiamo inconsapevoli. Così si cade di nuovo nell’abitudine, ed il grande meccanismo prosegue.In quella che non è soltanto un’indagine estetica, ma la ricerca del luogo più profondo dove si muovono l’anima e la personalità stessa: una realtà colma di estasi e tensione, cadenzata daritmi ossessivi, da calcoli meticolosi, da traiettorie obbligate, da un progressivo ordine stringente, da un susseguirsi frenetico di plasticità e frasi sussurrate, come un urlo al vento.Un mero dipinto delle nostre misere vesti, pilastri del grigio quotidiano moderno e della struttura sociale dell’oggi. Un teatro di abitudini che animano, governano e dominano; a meno che non si scelga diversamente.
Niente di diverso da indossare
Storia di un vestito, un paio di limoni e qualche abitudine Lavarsi le mani.
Lavarsi le mani e sciacquare i limoni. Lavare la frutta prima di servirla o metterla in bocca.
Lavarsi i denti.La rotazione della mano è netta, il polso fluido non perde un colpo.
Così neppure io.
La crema si sparge correttamente e non lascia trasparire segni.Ci sono segni di ogni tipo, giorni di ogni tipo.Ci sono parole di ogni tipo e orecchi di ogni tipo. Come creme, penne, fogli e cappelli.Ci sono mani, dita lunghe e pronte. Le labbra e i denti.E poi ci sono io, un tutt’uno, un insieme.
Compreso il mio egoismo.
Le mie creme.
I miei fogli.
I miei cappelli.I cappelli, i vestiti e i miei passi in cerchio.I miei passi in cerchio. Osservare i passi e poi porli in fila.Porre i passi in fila.
Porre i piedi uno dietro l’altro.
Porre me, dietro di me, e poi io avanti ancora.
E ripetere. Ripetere. Ripetere.Una scarpa dietro l’altra, e dietro i gambali, così io.Osservare.
Osservare la luce, al buio e alla luce.
Trovare gli spazi, trovare lo spazio per giungere.
Giungere negli spazi mentre ci si prepara ad uscire.Posare i passi.
Posare i passi in fila, i piedi in fila, le orme.
Posare i passi di nuovo.Posare gli abiti.
Posare gli abiti sul corpo e posare il corpo negli abiti.
Corpo, ed abiti.Prima di ricominciare di nuovo.Muoversi.
Il passo, il verso, la direzione.
Cercare la linea marcata,
la via erosa,
la terra consumata,
la stoffa lisa.Ore che passano,
ore ed appuntamenti.Spazio. Seguire spazi e tempi.Col volto stirato,
i capelli asciutti
i limoni lavati
e pronti in bella vista
sul tavolo.
Il volto stirato,
i capelli asciutti,
e poc’altro da prendere.
Quando giunge l’ora.Ci sono parole che ripeto ogni giorno senza mai ascoltare.Nello stare seduti.
Stare seduti o rimanere in piedi.
Condividere in piedi e convivere seduti.
Mangiare bere e quant’altro.La sedia indica il mio posto.
Senza esitazione.Stare seduti.
Bere.
Parlare. Dire cose
senz’altro dire,
e ripetere e ripetere,
senza mai comprendere le parole dette.Così un passo dietro l’altro,
e tutti gli altri passi dietro.
Verso la soglia
e dalla soglia
poi indietro ancora.Per andare avanti e restare seduti.
Per lavare i limoni,
spargere la crema e muovere il polso,
sedersi a tavola e poi alzarsi di nuovo;
ed asciugarsi i capelli.I limoni e la crema, il polso e la sedia,
i passi, i capelli,
per essere pronti ad uscire
ed iniziare di nuovo.Fino a porsi sulla soglia
del non essere mai gli stessi,
ed interrompersi per poi ricominciare,
dopo essersi chiesti incessantemente
chi siamo in realtà ,
oltre i nostri abiti logori.Ma quando si scalpita e si continua a scalpitare
avvolti nell’oscuro niente,
allora non c’è più, non c’è più nessuno là .Lavarsi le mani.
Lavarsi le mani e sciacquare i limoni.
METAMORPHOSIS
un progetto di PURPLEhaze
Cantieri Culturali Ex Macelli - Prato
testi Marco Carlesi
scenografia Daria PastinaUna unità di luogo trasformata in se nel suo fine.
La carne lascia il posto all’arte, per un nutrimento diverso e non più corporeo:
si modificano i suoni che abbandonano gli stridii industriali per nuove melodie musicali.
Non si vedono animali sgozzati ma arte.
Dove prima si divideva un corpo in pezzi separati, divisi, per diversi usi, fini, utilizzi,
destinazioni, adesso i singoli, le parti del corpo della società , vengono riuniti in un
pubblico per ascoltare musica, osservare immagini, fruire arte.
La metamorfosi di un luogo accompagna il cambiamento di chi lo abita,
ed al sangue si sostituiscono parole e sudore di una nuova carnalitÃ
che si completa tra spazi espositivi,
concerti, proiezioni: quei luoghi non più necessari al sistema produttivo e
che si sono resi adatti adessere occupati da un’arte in cui il pubblico può tornare ad ù
essere uno. Immergersi. Pensare.
Metamorphosis
..
Nella terra stessa un progetto di PURPLEhaze Cantieri Culturali Ex Macelli - Prato con Fabio Cerri e Clarissa Tullitesti Marco Carlesi scenografia Daria Pastinavideo InFlux L’analisi dell’innegabile rapporto tra corpo e spazio conduce, nella ricerca delle origini, al primo spazio creato per l’uomo e al primo uomo creato per esservi ospitato. “Nella terra stessa†affronta il primordiale legame tra Adamo e l’Eden, attraverso gli indelebili segni lasciati dai primi passi, dai primi movimenti, dalle prime parole pronunciate. La visione simbolica dell’interazione tra l’uomo e il suo abitare il mondo esterno, nel suo esplorarlo, modificarlo, dominarlo. Un viaggio poetico attraverso suoni e immagini, tra l’Eden e il mondo esterno, oltre la cacciata e l’apocallisse, fino al sacrificio della Terra e al ritorno dell’uomo nella terra stessa. Tratto dal racconto breve “La parola di Adamo†di Marco Carlesi.Nella terra stessa un progetto di PURPLEhaze Abitazioni. Lo spazio del corpo Parco Pertini Agliana - Pistoia con Fabio Cerri e Clarissa Tullitesti Marco Carlesi scenografia Daria Pastina video InFlux