X: lettera negata o ultima lettera dell’alfabeto latino. X per annullare, sottendere un vuoto oppure svelare, proibire e sospendere. X come ciò che dai ricordi è stato cancellato, per paura, censura o divieto morale, perché...
A partire dalla primavera 2007 Motus ha dato avvio a una specifica ricognizione, quasi documentaria sull’adolescenza: il progetto “X(ics)†con sviluppo triennale; da esso scaturiranno quattro spettacoli, un film e svariati piccoli eventi installativo-performativi.
X: letter denied or last letter of the Latin alphabet. X to cancel, subtend a vacuum or to unveil, forbid and suspend. X for what has been cancelled from the memory, out of fear, censure or moral prohibition, because… In spring 2007 Motus began a specific documentary reconnaissance on adolescence: the project “X(ics)â€, to be developed over three years and resulting in four shows, a film and various small installation-performance events.
X(ics) RACCONTI CRUDELI DELLA GIOVINEZZA
Comédie de Valence,Théâtre de la Ville, Valence, Francia _2007
[X.02 Movimento secondo]
Il nuovo viaggio intrapreso vuole indagare i terreni del consumo dei corpi, il passaggio del tempo dall’adolescenza all’età adulta, i mutamenti che questo comporta nell’individuo, sulla sua pelle, nelle sue passioni, nel suo rapporto con gli oggetti e con il mondo. L’indagine sulla X è allo stesso tempo l’indagine su una generazione che decora di teschi tutto il suo campionario d’abbigliamento, avanzando verso il sogno sempre più ritualizzato e mediatico dell’allontanamento della morte, del rifiuto della vecchiaia, di un corpo imperfetto. L’assenza di tolleranza per il diverso, anche per il “proprio corpo diverso†dagli imperativi di bellezza e sicurezza vigente, è ancora inscrivibile nel percorso di ricerca sul “fascismo quotidiano†intrapreso negli ultimi spettacoli dedicati a Fassbinder, ma il viaggio dentro la X accoglie in più la caustica interrogazione dell’ultimo libro di James G. Ballard “Il regno a venireâ€, ovvero: può il consumismo tramutarsi in fascismo?
The new journey aims at investigating the lands of consumption of bodies, the passage of time between adolescence and adulthood, the changes this brings about in individuals, their skin, their passions, their relationship with things and the world. The inquiry into X – a denied letter or the last letter of the Latin alphabet, a letter used for cancelling out, subtending a nothingness or revealing, a letter that also indicates what has been struck out of memory due to fear, censure or moral prohibition – is at the same time an inquiry into a generation that decorates its clothing with skulls, moving towards an increasingly ritualised and media-influenced distancing from death, the refusal of old age, of an imperfect body. Lack of tolerance for the different, including “one’s own different bodyâ€, different from the imperatives of beauty and security currently in force, was already a part of the research into “everyday fascism†undertaken in the last shows dedicated to Fassbinder. But the journey into X further accommodates the caustic questioning of James G. Ballard’s latest book Kingdom Come, or: could consumerism turn into fascism?
X (ics) nasce come progetto composto da passaggi di tempo, time-lapse ostinati e accumulabili, come cartografie immaginarie di corpi immersi nelle inquietanti urbanizzazioni periferiche. Nelle residenze del gruppo, Silvia, protagonista dello spettacolo, realmente va in strada, si sposta alla velocità dei suoi rollerblade per incontrare gruppi di sconosciuti che aderiscano a una “partitura fisica di emergenzaâ€, per affrontare il disastro finale, l’ora X del pianeta; ed è proprio all’interno di uno di questi spostamenti che Silvia ha incontrato l’argentino Sergio, commesso del boowling di una multisala, poi entrato a far parte dello spettacolo sebbene non avesse mai avuto esperienze teatrali…
Ics è costruito all’insegna dell’apertura e della condivisione: in ogni città in cui vengono effettuate le residenze della compagnia si coinvolgono giovani incontrati negli spazi in cui Motus si sposta con le telecamere, centri commerciali e sale prove musicali: in Francia abbiamo incontrato e portato in scena e in video il filippino Mario Ponce-Enrile, danzatore hip-hop e il ventenne algerino Sid Hamed Mechtà , che ci ha guidato nel suo quartiere partecipando a numerose scene girate nella banlieue di Fontbarlettes, dove abbiamo lavorato per tre settimane.
X (ics) therefore came into being as a project consisting of passages of time, sustained and cumulative time-lapses, like imaginary cartographies of bodies immersed in the disturbing outer city suburbs. During the group’s residencies Silvia, the leading actress, really hits the street, moving at the speed of her rollerblades to meet groups of strangers who will join a “physical emergency orchestration†to face the final disaster, the planet’s X hour: and it was precisely during one of these forays that Silvia met Sergio, an Argentine working in the bowling alley of a multi-theatre cinema: though he had no acting experience, he has become a part of the show….
Ics is constructed in the name of openness and sharing: in every city hosting the group’s residencies we involve young people we meet as we travel around filming, in shopping centres and band rehearsal rooms: in France we met a hip-hop dancer from the Philippines, Mario Ponce-Enrile, who performed on stage and on video; and a twenty year old Algerian, Sid Hamed Mechtà , who took us around his district and participated in numerous video scenes shot in the banlieue of Fontbarlettes where we worked for three weeks.
In giugno un altro mese di residenza ad Halle Neustadt per il Festival Theater der Welt. Questa città della ex DDR ha vissuto, dopo il crollo del muro e della produzione industriale locale, un fenomeno di spopolamento, di fuga dei lavoratori improvvisamente disoccupati a causa della chiusura delle grandi fabbriche: alcuni enormi complessi abitativi popolari sono stati abbandonati, interi quartieri implosi, trasformandosi in aree fantasmatiche e inquietanti. E' un nuovo fenomeno urbanistico legato alle trasformazioni della produzione che accomuna diverse città industriali, (Liverpool, Detroit, Kiev, Manchester, New Delhi...) le cosiddette “Shrinking citiesâ€, che simboleggiano forse un ulteriore modificazione-ultimo stadio, della “Nuova periferia†pasoliniana. Qui debutterà X.03 (ics) Racconti crudeli della giovinezza [movimento terzo]...
This last version will be preceded by a residency of about a month in Halle Neuestadt.
After the fall of the Berlin wall and of local industry this very peculiar city of former East Germany underwent depopulation, with the flight of workers suddenly left unemployed by closure of the big factories. Huge areas of council housing were abandoned, entire districts imploded and were transformed into disturbing phantom zones. A new urban phenomenon, linked to transformations in production and shared by various industrial cities (Liverpool, Detroit, Kiev, Manchester, New Delhi...), the so called “shrinking cities†that perhaps symbolise a further modification-last stage of Pasolini’s “New Suburbsâ€...
Inauguriamo un nuovo viaggio dunque, sempre più all’interno dello Junkspace contemporaneo, là dove sei incerto su dove ti trovi, hai poco chiaro dove stai andando e il luogo in cui eri è già scomparso.
So we're setting out on a new voyage, increasingly within contemporary Junkspace where if you're uncertain about where you are then you don't have a clear idea about where you're going, and the place you were in has already disappeared.
cruel tales of youth
Motus is a Latin word meaning movement, and the idea of movement has framed the whole of our activity: both for the ongoing, almost obsessive need to seek and challenge different expressive formats and for the nomadic dimension that our projects have taken on from time to time. Behind each new theatre itinerary – towards the universe of an artist or of a specific theme – there is always a foray of reconnaissance, study and gathering of materials in the world of things. “I live in things†is also the title of our latest book, published by Ubulibri in Milan with the subtitle Travel Notes from Rooms to Pasolini…
Motus, nucleo di lavoro aperto alle ibridazioni fra arti e linguaggi, è nato a Rimini nel 1991.
La follia d’amore, i meccanismi artificiosi della seduzione, i limiti del corpo e la sua indagine hanno da sempre invaso le nostre scene:
dagli eccessi masochistici di “O.F. ovvero Orlando Furioso impunemente eseguito da Motus†(1998), all’amore disperato e funereo di Orfeo per Euridice in “Orpheus Glance†(2000), a quello sanguinoso delle mistiche “Visio gloriosaâ€( 2000), sino alle storie romanzesche di tradimenti in albergo e gelosie borghesi del progetto “Rooms†(2002) e le incursioni della banda di gangster sognatori nei grandi alberghi di tutta Europa di “Splendid’s†da Jean Genet...
Una lunga residenza in Francia ci ha condotto alle liriche d’amore di Pier Paolo Pasolini, alla sua irrinunciabile attrazione “per i corpi senz’anima†che popolano le notti delle periferie romane in “Come un cane senza padroneâ€(2003) e “L’Ospite†(2004).
Con “Rumore rosaâ€(2006) il tema dell’amore e dell’abbandono è stato ancor più sviscerato, con l’avvallo di alcuni stralci di dialogo furente da “Le amare lacrime di Petra Von Kant†di Reiner Werner Fassbinder, manuale d’amore universale e melodrammatico. Il 2006 ha visto anche un ritorno a Samuel Beckett, con la video-performance “A place. That againâ€, ispirata a “All strange awayâ€, l’unico testo “pornografico†dello straordinario autore irlandese. Sempre nello stesso anno è uscito con Ubulibri “Io vivo nelle cose†libro-catalogo fotografico, sulle ultime produzioni della compagnia.
Con X diamo avvio a un nuovo viaggio senza appigli o riferimenti a testi e autori che sempre hanno popolato i nostri universi creativi, per cercare una diversa formula espressiva in grado di coniugare, secondo percorsi inattesi, il freddo crudele dell’immagine digitale e l’erotismo ingenuo della fisicità giovanile, perseverando nella sfida con quest’ostinato presente che amiamo e odiamo.
NO, bisogna trovare qualcos’altro, una ragione migliore,
per non fermarsi,
un’altra parola, da mettere al negativo,
UN NUOVO NO
X(ics) RACCONTI CRUDELI DELLA GIOVINEZZA
Theater der Welt Festival, in Halle 26_27 Giugno 2008
[X.03 Ultimo movimento]
RUN
[una videoinstallazione per due schermi]
X (ics) racconti crudeli della giovinezza
[X.01 Movimento primo] Rimini-Ravenna 2007
a
Motus, X (ics) racconti crudeli della giovinezza (Santarcangelo 07. International Festival of the Arts)
di Rodolfo Sacchettini
Con il nuovo progetto X i Motus scelgono l’adolescenza e le periferie come “tempo†e “spazio†per leggere le “mutazioni†del nostro presente. Si tratta di un progetto che impegnerà la compagnia per un paio di anni tra Italia, Francia e Germania, con immersioni nelle banlieues francesi e in una “shrinking city†della ex DDR (Halle). Riflettere sui ventenni di oggi significa confrontarsi con una generazione messa all’indice dall’opinione pubblica che li vuole torturatori dell’aula scolastica, registi di filmini porno da far girare online e criminali a tutti i costi. Sono i nuovi “extraterrestri†partoriti dal piccolo schermo, come svuotati di tutto e ridotti a superfici patinate e digitali. Dentro ai tanti luoghi comuni dei media, dentro a un rapporto di potere vecchi-giovani che la nostra società non riesce mai a mettere in discussione, è assai difficile prendere una posizione che permetta di essere critici ma non rassegnati, che lasci vedere tutte le “mutazioni†(profonde), senza dimenticare “le permanenze†e di avere uno sguardo “nuovo†su una “realtà nuovaâ€. In questo senso il primo atto “crudele†dei Motus, perché lucido e doloroso, è il tentativo di aprirsi a un contesto, di inserire il proprio sguardo in un orizzonte più ampio. Solo all’interno del contesto – dentro al quali tutti ci muoviamo - è possibile dare spessore a un pensiero e a una visione specifica sugli adolescenti.
Se un po’ di anni fa, nel progetto Rooms, era stata una camera di motel, più americana che italiana, il luogo dal quale osservare un’umanità nomade e solitaria, ossessionata da una nevrotica “paura di morireâ€, adesso il luogo scelto a simbolo per guardare “fuoriâ€, è quello di una panchina. Omaggio all’amato Malcolm di James Purdy, la panchina diventa la zona di frontiera banale e quotidiana, lo spazio per incontri fugaci e casuali. E anche il pubblico è come fosse seduto su una panchina ad osservare carrellate di periferie italiane, proiettate su uno schermo da cinema (simile a quanto accadeva in Come un cane senza padrone).
Sarebbe troppo pretendere da uno spettacolo teatrale una riflessione analitica sulla “giovinezza†di oggi e sui cambiamenti radicali che investono le città e le loro periferie, ma è del tutto lecito aspettarsi un’opera che se vuole parlare dell’oggi, si prenda il rischio di una scelta. E i Motus provano a tagliare in due il presente, a conficcarsi in quel limbo, complesso e contraddittorio, che è il nostro contemporaneo.
Più un limbo di attese e noie, che non un inferno di violenza generata e subita. Anche se gli abiti e le acconciature lo ricordano molto, non siamo dentro Elephant di Gus Van Sant. Ancora nessuna scuola è stata messa a ferro e fuoco, ma Elephant potrebbe essere sottinteso come naturale (perché folle) conseguenza di un mondo impazzito. Le pareti si sono estese a dismisura e l’occhio che corre lungo le periferie è interessato soprattutto a cogliere una realtà italiana che appare contrassegnata da speculazioni edilizie, dal traffico automobilistico, da una base militare che interrompe il paesaggio urbano e da una guerra vera, ma invisibile e lontana. L’occhio dei Motus è più interessato – sulla scorta di Malcolm - a insinuarsi nelle pause, nei vuoti, nelle flebili relazioni che si instaurano tra i personaggi, a indagare cioè l’influenza e la pressione del mondo esterno sui piccoli episodi quotidiani, piuttosto che a riflettere sugli esiti più eclatanti e distruttivi. In questo senso non vi sono nemmeno i ballardiani “giochi da bambini†che uccidono padri e maestri. Ci si ferma poco prima, nello spazio dell’intimità e dell’incontro, in un abbozzo di vita quotidiana, rappresentando soprattutto i “corpi†dei giovani e dando pochi ma efficaci strumenti per disegnare una cartografia inquietante del contemporaneo. Se dovessimo dare un limite geografico, i Motus pongono come colonne d’Ercole invalicabili, come dogmi indiscutibili del presente il consumismo (come forma sostitutiva dell’esperienza) e il turismo (come nuovo sguardo sulle cose). X (ics) racconta tutto questo, ma senza dir quasi niente. Il linguaggio della scena si avvale di uno schermo da cinema che, come finestra sul mondo, mostra continuamente spezzoni di storie, ora in bianco e nero e ora a colori, dove si alternano in modo complesso i piani di realtà . Anche i registri utilizzati nel video confondono e rendono sfaccettato l’immaginario evocato, a una parte più documentaristica, dove avviene l’incontro con il giovane attore, si alternano momenti più cinematografici. Vi è poi tutta una dimensione virtuale di videogiochi e screen saver, di paesaggi urbani e umani in pixel che rendono l’orizzonte cupo e astratto.
Inserirsi in una dialettica contemporanea è per i Motus da sempre riflettere sul controverso rapporto tra virtuale e reale, tra cinema e teatro, tra diretta e differita. Il tentativo in questo caso è far saltare alcuni meccanismi della “rappresentazioneâ€, rendere complesso il rapporto tra autentico e inautentico. Siamo dentro a un film, osserviamo una sorta di backstage e alcune prove, ma siamo sempre dentro a un teatro, con dei corpi reali che continuamente danno vita a delle piccole scene. Tutto è intrecciato o giustapposto e sembra quasi che sia il virtuale a dilagare e a occupare il reale, e che l’â€opera†sia mossa dalla volontà e dall’ansia di abbracciare un orizzonte ampio, ponendosi essa stessa come superficie stratificata e complessa. Nelle interruzioni, nel susseguirsi di piani differenti il tentativo è bloccare ciò che fuoriesce dalla “rappresentazioneâ€, bagliori di vita o di autenticità . In questo senso il discorso rimane molto “aperto†e pare non si voglia irreggimentare lo spettacolo in una ferrea struttura, ma lo si lascia quasi in uno stato di attesa con imperfezioni e fragilità . A tratti la drammaturgia appare troppo letteraria, con qualche nodo macchinoso, dovuto anche alla non precisa corrispondenza dei personaggi in video e sulla scena. A volte qualche scena live sembra un po’ stereotipata, ma tutte le fragilità è come facessero parte di un percorso davvero difficile che si prende il rischio di mettere a fuoco cosa “tenere†e cosa “buttare†dei nostri tempi. Proprio in questo senso i Motus si espongono in modo spericolato sui segni del contemporaneo, col costante pericolo del fallimento, soprattutto perché gettando “l’acqua sporca†si rischia di buttar via pure “bambini e adolescentiâ€, ma tenendo tutto si aderisce a una realtà inquinata e inaccettabile.
La complessità della realtà si traspone in una superficie di reale e virtuale continuamente mescolati e confusi, creando una patina che non è mai né vera, né finta, ma sempre verosimile. E il verosimile, come dimensione della realtà e come possibilità per rappresentare e far esplodere le contraddizioni di oggi, deriva probabilmente dalla forte presenza di J. Ballard e in particolare dell’ultimo romanzo Regno a venire dove si racconta delle derive fasciste (con violenze, razzismi, nuovi fanatismi…) insite dentro a un sistema consumistico. Anche l’orso iniziale che appare sullo schermo, composto da un’infinità di pixel, come un puzzle che piano piano va a comporsi sulla scena, pare rimandare a quegli orsi-mascotte del centro commerciale Metro-Centre, nuovi idoli da adorare e venerare.
Come leggendo Ballard, si assiste con X (ics) a una sorta di zona irrequieta, sospesa tra presente e futuro. Tratti di acuta sociologia si alternano a visioni future talmente prossime da risultare già in atto. Ancora una volta rimaniamo disorientati da una fantascienza che – come è stato detto più volte da questa rivista - si fa neorealismo, da un tempo accelerato eppure ristretto nell’arco del presente. Ma si rimane disorientati soprattutto da un’umanità “mutata†e dai nuovi sistemi che essa è in grado di creare.
Anche sul piano “emozionale†tutto il lavoro dei Motus appare segnato da uno sfondo frigido e glaciale e perfino i corpi sulla scena sono confezionati in pose e atteggiamenti autoriflettenti. Non c’è un pubblico a osservarli, ma forse solo uno specchio sul quale ammirarsi. Una sorta di narcisismo compulsivo annichilisce emozioni ed eros, restituendo glamour e seduzione. Ma il tentativo di tutto il lavoro è proprio quello di andare a sbattere contro “l’artificio naturale†ricreato sulla scena, di trovare, oltre alle “confezioniâ€, alla “patinaâ€, ai “clichèâ€, i cedimenti e le crepe, cioè le elementari particelle di umano che nonostante tutto resistono e come brace ancora accesa, covano sotto strati di plastica e consumo. Sono spesso segni di rabbia e disperazione, ma anche di vera bellezza e leggera allegria.
In questo senso tutto il lavoro potrebbe essere visto al contrario e dietro alle enormi mutazioni accennate ed evocate da un immaginario che ha con sé le riflessioni di Pasolini ma anche le visioni di Ballard, si guarda poi con pudore e delicatezza a “permanenze†di grandissima semplicità : un amore, la musica, un gesto di solidarietà , un bambino che gioca.
Non possiamo certo emozionarci di fronte a un cartellone pubblicitario, al massimo possiamo esserne sedotti, ma non è comunque l’emozione (troppe volte ricattatoria e drogante) la cosa che più ci manca.
In questo lavoro dei Motus quello di cui siamo maggiormente privati – come pubblico – è il sentimento di pietas. Non si dà per scontata un’adesione incondizionata agli “adolescenti†perché “adolescentiâ€, non si obliterano le distanze che provoca un universo di superfici, fatto da corpi consumatori e anime consumate. Il respiro dei ragazzi sulla scena sembra essersi nutrito fin dall’inizio da aria condizionata dal consumismo. I corpi sono confezionati in abiti fashion e sfacciati, le pettinature estremamente curate nascondono una pelle che pare intercambiabile, composta da vestiti alla moda e accattivanti. Non di rado teschi e segni di morte appaiono come loghi da sfoggiare su magliette e gadget. Pur se visibili entrambi in poche semplici posizioni (lei con un pattino al piede corre in cerchio per la scena, lui è seduto su uno scalino o con una chitarra elettrica in mano), dei due giovani è sempre difficile scorgere il volto. Una zazzera troppo lunga o la testa reclinata impediscono di vedere i loro occhi. In linea con il bel catalogo Faccia a faccia. Tra ritratto e autoritratto, curato da William A. Ewing (Contrasto 2007), possiamo dire che lo spazio di frontiera, vero termometro umano delle trasformazioni in corso, è proprio il volto. E anche nella scena d’amore il ragazzo (Sergio Policicchio), con un grosso cappuccio, appare senza testa e lei (Silvia Calderoni) si maschera, tirandosi su la maglietta con stampato il muso di un orso. Vengono fuori due figure “ibrideâ€, due animali strani che nel continuo coprirsi paiono nascondere un pudore tenero e delicato. Poi si baciano, mentre del polistirolo tracimato scende giù come neve, a ricordarci forse degli spazi di dolcezza ancora possibili nell’era della plastica e della pubblicità , o forse a indicarci la bottiglietta di vetro dentro alla quale, come nuovi turisti dell’anima, si dolcificano i ricordi e i sentimenti.
La “comunione di dolori†è perciò evidentemente tutta da ristabilire, il dialogo interrotto tra generazioni è ricostituibile solo attraverso la bellezza e la fragilità , rintracciando cioè le paure e gli entusiasmi negli occhi spersi e in attesa dei ragazzi e di chi li guarda.
In fin dei conti nei progetti precedenti era proprio una sorta di pietas ad entrare negli interstizi delle storie, nei destini di personaggi abbozzati e nomadi. Soprattutto la consapevolezza era quella di non essere fuori a guardare, ma di far parte pienamente di quel mondo raccontato e criticato, anche con ambiguità e dolore. Ma adesso è tutto più difficile perché la convivenza con il pubblico, dietro alla facciata seduttiva della scena, può passare solo “sottovoce†e per alcuni accadimenti anche molto semplici. Il tentativo è comunque quello di mettersi dalla parte dei ragazzi e fin dal titolo la generazione X (quella sostanzialmente di Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande), raccontata dal cinico romanzo di Douglas Coupland, crea un ponte con i nuovi “extraterrestriâ€, declinati in tre minuscole lettere: “icsâ€. Dany Greggio (un giovane padre) e la ragazza siedono sulla stessa panchina.
La distanza che si vuole tenere con il pubblico è invece sempre molto accentuata e il segno più tangibile di avvicinamento si rivela al contrario un evidente atto critico. Una valanga di pixel dallo schermo inizia a precipitare pericolosamente giù in platea e come se entrassimo nello screen saver di un computer, veniamo risucchiati otticamente in una dimensione virtuale. D’altronde i personaggi sulla scena erano addirittura “rapitiâ€dall’astronave di un videogioco.
È solo dunque nell’ascolto e nella bellezza e solo condividendo la “visione†del contesto che possono ristabilirsi reali attimi di dialogo e aperture tra scena e pubblico. Il limbo che si rappresenta appare allora attraversato da continue scosse di “vita†che sono poi i momenti musicali dal vivo, le schitarrate del giovane Malcolm, una pallina da tennis lanciata da un padre oltre alla recinzione militare, i giri a vuoto su un pattino solo di un’androgina ragazza “che si sta cercando†e un suo monologo rabbioso gridato al vento, mentre si sale uno scivolo senza più acqua.
Via via il tempo scorre e lo spettacolo pare non voler finire mai, fino a quando la storia subisce un’accelerata e la scena, questa volta dietro lo schermo da cinema, mostra la ragazza appesa in aria e come suicidatasi. Ma non è vero, la ragazza scende e al suicidio si risponde col ritorno al corpo e al sesso. Una nuova scena d’amore che sembra davvero chiudere il lavoro si tramuta a sua volta in un gioco leggero e allegro tra i due ragazzi, fatto di musica e danza. Forse allora non è neppure l’amore e la coppia, la via d’uscita o almeno lo spiraglio per “far luce da noi stessiâ€, ma il gioco e la passione. Anche perché poco dopo la ragazza si rivelerà piuttosto una “cattiva maestraâ€, abbandonando il giovane “Malcolm†alla propria solitudine.
Infine nella completa condizione di abbandono, il ragazzo impugna la propria chitarra, la propria piccola passione, “triste†forse, ma pur sempre passione. E con un gesto di rabbia e disperazione sfascia quel poco che può sfasciare, cioè uno scatolone pieno di quella neve artificiale che poco prima lo aveva ingannato e tradito.