About Me
Assai lunga e appassionante è la formazione umana e musicale di Cinzia La Fauci e Alberto Scotti, membri fondatori dei Maisie.Cinzia nasce a Messina il 25 Maggio del 1972. La sua infanzia è caratterizzata da una profonda passione per la scuola (elementari e medie brillanti, con un tonfo liceale dovuto a uno spirito anarchico e a una genuina pigrizia). Cinzia è una bambina buona, diligente, ordinata. La sua principale passione nell’infanzia consiste nel confezionare oggetti, giocattoli, vestiti per le bambole con svariati materiali domestici (carta, cartone, colla, colori). Ben presto si accorge della sua femminilità e inizia così a essere ossessionata dall’idea di indossare completini alla moda perfettamente coordinati (spesso confezionati dalla madre Lilliana, abilissima sarta e raffinata parrucchiera). L’amore per il canto e per la musica va di pari passo con quello per il look e Cinzia inizia presto ad esibirsi su ogni palco che le capita a tiro: feste di paese, veglioni aziendali e party condominiali. Il suo cavallo di battaglia dell’epoca è il classico “Cin Cin Pon Ponâ€, canzone con la quale partecipa alle selezioni regionali per il celeberrimo “Zecchino d’oroâ€. La sua esibizione viene ripresa in diretta dall’emittente messinese RTP. Le cose non andarono bene, successe infatti che al momento di esibirsi la piccola Cinzia scoppiò in lacrime, quando vide, tra il pubblico in sala, la zia Angela commuoversi per la sua presenza sul palcoscenico. Continua però fino alle medie a registrare reinterpretazioni di canzoni famose con il piccolo mangianastri di casa, insieme al fratello Danilo (che percuoteva bicchieri e pentole con le forchette) e la sorellina Sonia, che mugolava improbabili cori.Alberto nasce a Messina il 13 Settembre del 1971. È un bambino introverso, solitario, paranoico. Il suo gioco preferito consiste nel torturare le molle, infilato sotto al letto matrimoniale dei genitori. Abilissimo costruttore di villette con il lego, pignolo fino alla follia (un mattoncino mancante scatenava in lui paralisi emotiva e pianto isterico). Verso i 5 anni esplode una passione ossessiva per la musica, mai abbandonata. È in quel periodo che inizia la sua precoce attività di Dj, suonando in casa i classici di Raffaella Carrà e Johnny Dorelli su un mangiadischi arancione (autentico compagno di vita). Unica spettatrice degli eventi la sorella Carmen. Il suo primo strumento è una tastierina Yamaha (ancora oggi udibile su alcuni brani dei Maisie) che impara a strimpellare seguendo un corso su cassette De Agostini del maestro Colombo. Alberto è comunque troppo ansioso, emotivo e frettoloso per imparare davvero a suonare, così prima di aver capito come sincronizzare la destra con la sinistra sulla tastiera passa alla chitarra (prima una “classicaâ€, poi una orrenda imitazione a costo zero di una telecaster). Ovviamente a tutt’oggi il nostro non è capace di suonare decentemente nulla (e questo resta un suo secreto cruccio al quale è comunque “impossibile†porre rimedio). Iscrittosi, con esiti tra il mediocre e il sufficiente, al liceo scientifico statale “Archimedeâ€, Alberto si appassiona alla politica, diventando un fiancheggiatore di Democrazia Proletaria, affascinato dal mito morente dell’Unione Sovietica e totalmente insofferente a qualunque forma di autorità (tendenza che lo porta a scontri quasi fisici con svariati professori, tra cui il rigido fascista Antonino Sirti). È in questo periodo che si stabilisce un sodalizio musicale con i compagni di classe Aurelio N. (figlio di un professore emiliano comunista, nerd con la passione “machista†per i guitar heroes anni ’80: Steve Vai, Impillitteri, Van Halen) e Francesco P. (entusiasta qualunquista con una superficiale, estetizzante passione per il jazz e per gli Inxs). I tre sono accumunati inconsciamente dall’essere più o meno dei reietti sociali in quegli anni di bellezza, soldi e paninari. Aurelio è bruttino, goffo con le ragazze e probabilmente imbarazzato dall’impegno politico del padre (la sua “ribellione†si concretizza in frequenti sfoghi a base di: “meno assistenza sociale e più mercato, ecco quello che ci vuoleâ€). Francesco è totalmente ricoperto di brufoli (storiche le sue guerre personali contro patatine fritte e cioccolata). Alberto è di gran lunga il più bello ed è infatti l’unico a intessere storie sentimentali con il sesso opposto (una sua bionda e formosa vicina di casa poi l’avvenente ultraborghese Gabriella e in seguito una fragile e complessata ragazza dal nome bizzarro). Questo relativo successo con le ragazze gli attira una grossa, malcelata antipatia da parte dei due amici, parzialmente consolati dal fatto che la popolarità sociale del comunista, trasandato Alberto resta comunque assai bassa. Francesco si dedica al basso, Aurelio alla chitarra e Alberto alle tastiere (compra una Korg 707). Quest’ultimo è sicuramente il meno dotato del trio e gli sberleffi si sprecano (un trauma dell’epoca consiste nel non essere mai riuscito ad imparare il riff di “Jump†dei Van Halen). Questo combo senza nome continua incessantemente a provare in una saletta vicino alla caserma dei pompieri, la “sala del mediterraneoâ€. Il loro repertorio consiste in goffi tentativi di cover dei Pink Floyd, di Vasco Rossi e di svariati gruppi metal dell’epoca. La svolta arriva verso la fine degli anni 80, quando i tre rispondono all’annuncio di tale Vittorio T., batterista intenzionato seriamente a metter su una band con proprio repertorio. Il T. sembra saperla assai lunga in fatto di rock! Celeberrimo il suo amore maniacale per gli U2 e di conseguenza per qualunque gruppo irlandese avesse pubblicato qualcosa nell’intero arco del ‘900 (suo unico cruccio il fatto che anche gli odiati Virgin Prunes fossero originari della verde Irlanda, odio che lo portò a regalare ad Alberto un loro LP, al grido di: “porta via questa merda da casa miaâ€). Vittorio era all’epoca un bel ragazzo biondo ed era fidanzato con una ragazzona, tipo fotomodella. Il suo stile strumentale era frutto di ascolti compulsivi della band di Bono & Co. (il suo idolo, manco a dirlo, era Larry Mullen, di cui imitava pedissequamente ritmi e pettinatura). Alberto e Vittorio diventarono immediatamente i leader naturali di questo quartetto che assunse il nome di Nouvelle Vague ma le loro ideologie erano destinate ben presto a scontrarsi, dando vita ad un costante rapporto di amore/odio. Tanto era anarchico, concettuale ed intellettualoide Alberto (bisogna smetterla con i brani di tre minuti! Dilatiamoci, sperimentiamo) quanto era un mistico populista e cattolico Vittorio (il rock è la salvezza! È la poesia della strada, bisogna credere in qualcosa!). Il principale credo del batterista finiva comunque per essere la rincorsa al successo (suoniamo, suoniamo sempre, qualcuno ci noterà , bisogna fare un disco, possiamo essere la più grande rock band italiana!). Francesco nel frattempo vaneggiava di composizioni “perfetteâ€, jazz raffinato e altre amenità e Aurelio era sempre più perso dietro ai suoi virtuosismi circensi alla chitarra (spettacolare quando dal vivo metteva la mano destra, ad arte, sui capelli, per far notare che eseguiva il tapping alla perfezione con la sola sinistra). Alberto compose “Nothingâ€, la prima canzone del gruppo, con la sua tastierina Casio, sulla poltrona di casa. Si trattava di una sorta di rock’n’roll, vagamente new wave e incidentalmente punk. Vittorio rispose con “Omen†(è ormai consegnato alla storia l’epico intro “voglio andare, voglio scappare dove nessuno ha osato sognareâ€). Il mostruoso repertorio si arricchiva con l’agghiacciante “Fammi vedere†(un athem orgogliosamente maschilista, composto da Alberto), con la pretenziosa “La macchina di Giovanni†(di Francesco P.) e con un micidiale lentone strumentale con accordi diminuiti imposto alla band da Aurelio N. Alla fine ne veniva fuori un polpettone che sapeva di Litfiba, Pink Floyd, Simple Minds e Genesis! Cinzia seguiva Alberto in questi suoi primi concerti e la sua faccia disgustata (malamente celata da sorrisi di circostanza) la diceva lunga sulla qualità della proposta musicale dei Nouvelle Vague. Il cammino del gruppo verso la gloria (lungamente, appasionatamente profetizzato da T.) stentava parecchio. Francesco e Aurelio abbandonarono la band (il primo vagheggiava di fumosi progetti di musica classica jazz) e il secondo si trasferì a Bologna per inseguire il suo sogno da ingegnere. I due superstiti diedero così il via a micidiali provini, alla ricerca di degni sostituti. Durante quella lunga estate fecero parte del gruppo un tizio con la statura di Nanu Galderisi e la presunzione di Claudio Villa (l’ometto in questione faceva costantemente notare che il suo stile blues non aveva nulla da invidiare a B.B.King), poi un cantante spettacolare con la mania per il culturismo (indimenticabili le sue descrizioni sull’assunzione controllata di integratori proteici). Infine il colpaccio! I Nouvelle Vague riuscirono a cooptare nientepopodimeno che Paride A.! Lui era una affermata star locale, un vero Robert Plant messinese che da anni furoreggiava su tutti i palchi cittadini con una band di hard rock anni ’70 dal fascino irresistibile. Oggi, per la cronaca, A. è una stella del musical, affermata su tutto il territorio nazionale, grazie alla sua interpretazione di Gesù in “Jesus Christ Superstar!â€. Durante la sua breve sosta nel gruppo non mancò di far pesare la sua enorme grandezza. Svaccato su una sedia con il microfono tra le mani, faceva ondeggiare la poderosa, bionda capigliatura e infilava mollemente in ogni dove i suoi “Yeah! Rock’n’roll revolution!â€. Oggi le sue interpretazioni di “Occidente†(un’incommentabile canzonetta rock di stampo antimilitarista, che rappresenta uno dei punti più bassi mai toccati da Alberto come compositore) varrebbero oro sul mercato delle rarità musicali. Vittorio era al settimo cielo ma ovviamente l’idillio non durò molto, infatti Paride mollò i N.V., con evidente sollievo, all’inizio dell’autunno. La ricerca di nuovi componenti non durò a lungo, entrarono quasi subito nel gruppo un chitarrista simpaticissimo e un altrettanto simpatico bassista di cui nessuno al mondo ricorda il nome. La particolarità principale del nuovo atleta delle 6 corde era di essere universalmente noto al mondo come “Saccottino†(probabilmente solo la madre lo chiamava Walter). Questo ragazzo, fanatico a livelli parossistici, dei Litfiba era un fiero cittadino di Patti (un paese della provincia). L’origine del nomignolo si perde nella leggenda: pare che un giorno la sua ragazza, per vezzo, lo chiamò davanti a tutti con questo affettuoso vezzeggiativo (a causa della sua dolcezza e della somiglianza fisica con l’omonima merendina del mulino bianco). L’evento suscitò sfottò e ilarità tra tutti gli amici, tanto che da quel giorno "Saccottino" gli si appiccicò addosso come una vera e propria seconda identità . Walter era assolutamente entusiasta del repertorio di Alberto e lo vivacizzò con il suo tocco sanguigno e verace. I Nouvelle Vague erano sempre più rock, i rapporti umani miglioravano (grazie alla simpatia dei nuovi componenti) ma cresceva forte e strisciante l’insofferenza di T., che vedeva i mesi passare e nessun contratto discografico all’orizzonte. All’improvviso il biondo batterista ebbe la folgorazione: “ci manca un vero cantante, un trascinatore, ci manca il nostro Bono Voxâ€. Alberto aveva la risposta in tasca, il suo asso nella manica! Qualche tempo prima, durante la visita militare a Taranto, aveva infatti conosciuto tale Davide D., un personaggio che per descriverlo ci vorrebbe un tomo dell’enciclopedia britannica. Provate ad immaginare un anarchico militante, costantemente depresso, autolesionista, affascinato dai miti adolescenziali della rivolta, della morte veloce e romantica, del “dark style†come attitudine esistenziale, innamorato di Peter Murhpy, pelosissimo sotto le ascelle, volgare, sboccato, maledetto, ribelle...cazzo! Era il trascinatore tanto desiderato, non c’erano dubbi! Davide fu così convocato e inizialmente tutti ne furono entusiasti. Il nostro simpatico anarchico saltava come un grillo tarantolato nella saletta, sudava come un camionista bulgaro, sputava, dava testate sul lampadario, si aggrappava all’asta del microfono come il miglior Vasco degli esordi, si rotolava sul pavimento gridando i testi, fondamentalmente piccolo borghesi, delle canzoni della band, come se fossero attacchi mortali al cuore dello stato. È con questa formazione che arrivò l’attesissimo concerto al Joe’s Garage, il locale più IN della città . Che esibizione memorabile! L’invasatissimo seguace di Stirner interpretava le canzoni di Alberto e Vittorio con una passione tale da far scappare atterriti tutti gli spettatori delle prime file (le sue chiazze di sudore si possono notare ancora oggi sulla moquette). Le sue grida isteriche facevano volare la musica dei Nouvelle Vague a quote impensabili, ad un certo punto “l’ammazza-multinazionali†si mise a strisciare sul pavimento come manco Iggy Pop. La serata finì così, con i proprietari del locale che posero l’interruttore della corrente elettrica su off (era l’unico modo per farli smettere). Il giorno dopo Alberto, Vittorio, Walter e il misterioso bassista si riunirono, si guardarono in faccia, ci fu un lungo silenzio e poi quasi all’unisono: "per trascinare trascina, per colpire colpisce, per sudare suda, ma, per dio! È stonato come una campana incrinata di una chiesa di campagna!" Alberto abbozzò una difesa d’ufficio, l’umore era pessimo, "Saccottino" disse: “cazzo, noi siamo Maradona, lui è la Spal! Maradona non può giocare nella Spal!†(l’esempio è in effetti bislacco, però si capiva che, secondo il suo punto di vista, i N.V. erano Maradona e lui era la Spal!). Eppure si decise di dare ancora fiducia al D., giusto per avere il tempo di vivere una delle esperienze di studio più comiche della storia della musica mondiale. T. fu perentorio: “dobbiamo andare a registrare! Ci serve un demo, subitoâ€. Già , si, ma dove trovare i soldi per lo studio? Ci venne incontro “Saccottinoâ€, il cui padre, finanziere, conosceva un tipo incredibile con uno studio a Oliveri (un ameno paesino marittimo della provincia). Quest’uomo era stato chiaro: "registrerete gratis!". Insomma una pacchia tipo vincita al superenalotto per gli squattrinati ragazzi peloritani. Il fonico, artista, produttore in questione era noto a tutti come Don T. Descriverlo non è facile, ci vorrebbe un film girato a 6 mani tra Ciprì, Maresco e Pietro Germi. Don T. era un uomo di mezza età , con un fare tra i ragazzi di Mean Streets e “Il giorno della civetta†(bisogna essere siciliani per capire certe cose). Lui parla poco, ammicca, ci mostra, con la fierezza di un Pippo Baudo che parla di Giorgia, la sua galleria di artisti (a cui fa anche da manager), un lombrosario fantastico di guitti (c’era uno che faceva in italiano tutti i pezzi di Michael Jackson). Don T. stava con le mani in tasca e tesseva le lodi di questi musici che presto, a suo dire, sarebbero divenuti i nuovi Nino D’angelo e Marco Masini. Un suo aneddoto esilarante (al cui racconto assistette anche Cinzia) lo vedeva bersagliato da noiose telefonate del direttore generale della Rai che lo scongiurava di concedergli il diritto di usare una sua composizione per la sigla delle olimpiadi. La sua maschia risposta era: “Ho detto di no! Io sono fatto così, vado a simpatieâ€. Finito il racconto fissò i quattro ragazzi negli occhi e disse: “se questo telefona ancora lo denuncioâ€. Vittorio friggeva come uno scampo in padella; ricordiamo tutti la sua faccia vitrea di fronte al fonico/artista che diceva: “ma tu ancora con la batteria vera vuoi registrare? Ma tu non sai un cazzo, qua c’è il computer, i tempi te li programmo tutti io! Ma che vivi nell’800? Oggi si fa così! Nessuno usa più quella merdaâ€. Poi aggiunse, rivolgendosi a "Saccottino": “ma che minchia mi rappresenta ‘sta chitarra? Senti qua ‘sto pezzo che ho fatto io!â€. Schiaccia un tasto e viene fuori un raccapricciante assolo alla Europe eseguito da una chitarra sintetizzata che avrebbe fatto la gioia dei Residents nei loro momenti di più grande passione per la spazzatura. Poi chiosò: “ora non mi dite che questa non è meglio di una chitarra vera!â€. Niente! I Nouvelle Vague furono sordi a tutti i suoi appelli e T. (per il quale ogni forma di elettronica era peggio che il demonio per Savonarola) fumava dalle orecchie. Si andò avanti con un suo geniale metodo che prevedeva che il cantante cantasse a cappella sul metronomo, poi si aggiungevano le chitarre, le tastiere, il basso e alla fine la batteria. Ragazzi! Venne fuori un roba che quelli della Skin Graft se la sognano! Non c’era una sola nota a tempo. Impagabile T. che sudava cercando di chiudere le sue rullate irlandesi sul nulla iperreale di quel minestrone folle. Grossa delusione, depressione, ilarità irrefrenabile di Alberto e Cinzia. I Nouvelle Vague se la presero con il povero Davide che fu cacciato, con disonore, dalla band. Alberto rimase come un separato in casa per un pò di tempo e presto ne seguì le sorti. La notizia era nell’aria e si concretò in una minacciosa telefonata del mistico T. che tuonò: “Alberto, vieni a portar via la tua tastiera dalla saletta, non sei più nel gruppo!â€. Il tirannico batterista tenne in piedi i N.V., praticamente in solitudine. Fino a qualche anno fa si potevano leggere sui principali quotidiani messinesi annunci come: “batterista rock cerca bassista con quel qualcosa dentroâ€. Oggi i Nouvelle Vague hanno cambiato nome e attraverso svariate formazioni sono arrivati, finalmente, agli inizi del 2000 a pubblicare un mini cd per la Toast. Le sparute recensioni lo bollavano come un mediocre esempio di rock dal sapore mediterraneo.L’amicizia tra Alberto e Davide cresceva di giorno in giorno, tra scontri ideologici tipo: “Marx è un bastardo figlio di puttanaâ€. “No! È Stirner che è un fumoso coglioneâ€, sogni di figa, occupazione di centri sociali (furono proprio loro due i primi a mettere piede, in avanscoperta, nei locali di quello che divenne il C.S.O.A. “Fata Morganaâ€). Come nelle migliori coppie comiche Alberto (che all'epoca si dilettava anche come poeta, autore di liriche auto-compiaciute dal sapore soft-dark) era la spalla e Davide quello che faceva ridere (epocale una sera in cui il carabettista anarchico prese a calci e pugni una trentina di automobili, ferendosi in ogni dove, rotolandosi in terra e urlando alla gente che voleva soccorrerlo succosissimi insulti, roba che manco Alvaro Vitali al massimo della forma!). Tra uno psicodramma e l’altro nacque una nuova band: i Pas de Zephir. Alberto era l’intettuale appassionato della 4Ad e della Rec Rec, Davide, il solito maledetto. La formazione era completata da Domenico R. al basso (un ragazzo simpatico, gioviale con una formazione musicale un pò lacunosa e lacunare, ondeggiante tra il rock e il dark), il superlativo Pierguido S. alla chitarra (giovane ragazzo punk, con tanto di cresta ma assolutamente alieno da tentazioni politiche! Un caciarone simpatico, affettuoso, fondamentalmente saggio e autenticamente borghese per estrazione e segrete ambizioni) e Alessandro C. alla batteria (un cultore della Sarah Records e dei Cocteau Twins, assolutamente ammaliato, al limite della passione fisica, dalla personalità di Davide, al quale “invidiavaâ€, da ricco e inquieto ultra-borghese qual era, la ribelle violenza fisica e dialettica. Autentico acrobata della battuta acida, Alessandro risultava essere un perfetto incrocio tra un dandy decadente alla Oscar Wilde e una quieta, notturna figura da popstar inglese).
Fu immediato e fortissimo il sodalizio tra Alberto, Alessandro e Davide, un continuo dramma psicologico punteggiato da attrazione, paura, amore, repulsione, invidia e uno strisciante, persistente, continuo desiderio di spaccarsi la faccia a vicenda. Il repertorio dei Pas de Zephir risultava un minestrone indigeribile fatto di punk psichedelico (come dimenticare le circensi esibizioni di Pierguido S. con il wah-wah impazzito!), fraseggi arabeggianti (tutti di Domenico R.), hardcore risibile (Davide che urlava come un ossesso: “come correre di notte in un prato con le lucciole†è purissima arte trash ormai consegnata alla storia dell’umanità ), dark intellettuale con batterie elettroniche primitive (“Cosmo tu che mi opprimi†vantava un testo di Davide capace di far impallidire Giacomo Leopardi nei suoi momenti di peggior depressione). I Pas de Zephir si esibirono al “Fata Morgana†tra le risate generali, freakkettoni che ballavano canzoni hardcore fuori tempo e Alberto che massacrò la sua Korg T2 eseguendo un assolo con i piedi (letteralmente!). Davide era però sempre più perso tra desideri compulsivi di figa (mascherati da drammi esistenziali) e propositi di lotta politica che prevedevano la fine delle istituzioni statali, a livello globale, in tempi rapidissimi. Il gruppo si sciolse, Alberto e Davide, ormai ai ferri corti, misero fine alla loro lunga amicizia e si andò verso un inevitabile sodalizio tra i due “cervelli†della defunta band: Alberto e Alessandro.Orfani del poeta maledetto, con il pallino della politica, i due poterono dare libero sfogo alle loro ambizioni, ormai non più tanto segrete, di musicisti intellettualoidi, borghesi, raffinati e sperimentali. Mancava un cantante e la scelta ricadde, convintamente, su Cinzia La Fauci. Nacquero così i Maisie (la scelta del nome fu facilissima, essendo tutti loro dei patiti di Barrett). I tre erano sostanzialmente d’accordo su tutte le scelte musicali e presto registrarono le prime canzoni, in modo a dir poco raffazzonato. Il trio non disponeva di un multitraccia (neppure di un miserabile fostex a cassetta), così Alberto si inventò una cosa geniale, creando uno studio virtuale che prevedeva dei complicati passaggi seriali tra una piastra, un amplificatore per karaoke e un’altra piastra. Ovviamente ad ogni passaggio si accumulava un incredibile fruscio che rendeva il tutto assolutamente inascoltabile. La prima canzone che fu registrata aveva bisogno di effetti sonori alla Steven Spielberg. Ricordiamo con chiarezza l’assoluta esigenza di un rumore di passi sul selciato. Come fare? Beh semplice! Basta avere un walkman con il tasto rec e trovare un posto dove la gente cammina sui sassolini. Dove cammina la gente sui sassolini? È ovvio: al cimitero. Ecco dunque questi tre sperimentatori cretini intenti a pedinare, come agenti segreti in un film di Jesus Franco, dei poveracci che portavano i fiori sulle tombe dei loro cari. Il materiale si accumulava, i litigi tra Cinzia e Alessandro arrivavano alla violenza fisica, lui l’accusava di essere stonata (e in effetti anni di inattività avevano piuttosto arruginito le corde vocali di quella macchina melodica che è oggi la signorina La Fauci) e lei si incazzava parecchio, anche perchè il sarcasmo del C. avrebbe fatto imbufalire anche il più pio degli chierichetti. Il risultato di tanto sforzo fu la prima cassetta dei Maisie, dal titolo “Il cinerama di Grimoin-Sanson†(il titolo la dice lunga sulle cialtronissime pretese dei 3). Si trattava di qualcosa a metà strada tra Sonic Youth, Tuxedomoon e il nulla assoluto (ben rappresentato da quel fruscio insopportabile di cui si parlava in precedenza). I Maisie ebbero persino l’ardire di spedire la cassetta all’indirizzo privato di Steven Brown (che gli era stato procurato da un negoziante di dischi megalomane, esoso e leggermente psicotico, che sosteneva di conoscerlo di persona, raccontava aneddoti come: “proprio l’altra sera ero a cena con lui, qua ci stavo io, li ci stava lui"). Ancora oggi i Maisie non hanno la più pallida idea di quale disgraziatissimo cittadino belga sia in possesso di quel nastro.
Tra litigi, sarcasmi e violenze psicologiche assortite i Maisie andarono avanti ancora un po', fino a quanto risultò palese che due figli del popolo non potevano convivere con il futuro filosofo e altolocato proprietario terriero messinese.Cinzia e Alberto si ritrovarono soli e del tutto spaesati, insomma non era facile registrare delle nuove canzoni non sapendo suonare praticamente nulla (Alessandro C. era comunque un ottimo, dotato chitarrista creativo). Ci serviva almeno un bassista e i due lo trovarono in Pierluca M., uno studente calabrese che non aveva mai toccato uno strumento in vita sua ma che andava matto per i Cure. Lui li convinse che basta la volontà e che alla fine suonare il basso è una cazzata, basta trovarne uno di seconda mano. Ecco la manna dal cielo! Su un giornale locale di annunci viene scovato un tizio che vende il suo basso (in ottimo stato) per sole 50.000 lire. Si Mettono insieme i soldi e ci si reca da questo ragazzo che mostra, con fare da teleimbonitore, questo mostriciattolo rosso, leggero come una piuma, bello da vedere in fondo. Dice che è una vera figata e i Maisie lo comprano! Arrivano felici nella loro saletta (corredata da una vicina di 80 anni che urlava come una pazza non appena il gruppo accennava una nota) e Pierluca inizia a suonare su una base elettronica fresca-fresca di composizione. Niente, è tutto stonato! Ma come è possibile? L’accordo è MI, io suono il Mi sul basso ed è stonato. 2 settimane vanno via con questo dramma nel cuore e alla fine ci si rende conto che la prima corda dello strumento non è MI come su tutti gli altri colleghi bassi di lusso, è un LA, se lo accordi a MI il ponte si piega e il prezioso 4 corde si spezza come uno stuzzicadenti dell’hard discount. Risolta la faccenda i nuovi Maisie registrano la prima canzone, dal titolo “Tender is the Nightâ€, il pezzo era costituito da un giro di basso di tre note, accompagnato da una batteria elettronica alla Sister of Mercy e da Alberto che faceva un casino osceno con la chitarra. Cinzia si mise a cantare quello che vedeva scritto sulla maglietta di Pierluca (appunto la poesia di Keats). Ah, Corbezzoli! I Cure al confronto erano Field of Nephilism! Adesso il gruppo era anche dotato di un 4 piste della Fostex, chi poteva fermare la musica? Le ambizioni del trio crescevano insieme all’ego ipertrofico di Pierluca, che si stava trasformando da simpatico studente calabro in trasferta nella buffa controfigura di Robert Smith, con tanto di poesie meditative, ossessione compulsiva per l'abito scuro, ammirazione incondizionata per chiunque vestisse di nero (una volta un tipo ci mise 3 ore a scrollarselo di dosso, continuava a ripetere: “non so chi cazzo siano sti Joy Division, mi è semplicemente morta una ziaâ€). Questa ventata di dark a buon mercato fece virare i Maisie verso un esistenzialismo d’accatto (memorabili i testi apocalittici e depressi di Cinzia, in quel periodo) e un uso smodato del flanger (c’erano canzoni che avevano l’odioso, ingombrante effetto sulla voce, sul basso, sulle chitarre e persino sulla batteria). È di questo triste periodo la cassetta “Marguerite Saquiâ€, che fu, sfacciatamente, inviata alla mitica tape label Snowdonia, gestita dal poeta Marco Pustianaz. Incredibilmente Snowdonia ne fu entusiasta (otite?) e il lavoro fu pubblicato! A Pierluca ormai mancava solo il rossetto ed era Robert Smith, Cinzia e Alberto non ci capivano molto ma quella pubblicazione li rese davvero felici (anche se di fronte al Pierluca M. era bene non sorridere troppo, rischiavi di fare la parte del comune, volgare popolano).
Nonostante l’inopinato successo anche questa formazione volgeva al tramonto. Il nostro bassista inseguiva sogni da esteta, sognava la figa (ma in modo molto raffinato), riempì l’armadio di capi costosi alla moda inglese anni ’80 e se ne andò per la sua strada.Nuova solitudine per i nostri fidanzatini artisti ma chi se ne fregava? “M.Saqui†era finita tra le mani della responsabile di una etichetta romana, invaghita di Ayrton Senna (che c’entra con la musica? Boh), Death in June e dei ragazzi in generale (basta che avessero la tisi o almeno una polmonite). Sara S. appariva essere una coatta con manie e atteggiamenti da dark lady maledetta. Le lettere di lodi alla band messinese si sprecarono, tanto da spingerla a proporre la pubblicazione di un 7â€! Entrò nella formazione un altro che non sapeva suonare nulla: Danilo La Fauci (il fratello di Cinzia) e i tre si trovarono di fronte ad un dilemma: continuare con il lo-fi domestico oppure fare le cose per bene in uno studio? Si optò per la seconda ipotesi e si scelsero quattro canzoni per il 45 giri: Persuasion (una gelida cover del classico dei Throbbing Gristle), Road tenders, Job e I’m the blender. L’entusiasmo era alle stelle, i tre immaginavano già le loro facce su Mtv. La scelta dello studio cadde sul mitologico Acqualuce di Torino, di proprietà del DsorDNE Marco Milanesio. I Maisie furono squisitamente ospitati a casa di Marco Pustianaz (un vero tempio dell’underground anni ’80) e le registrazioni iniziarono. I 3 ragazzotti di provincia si ritrovarono ad avere a che fare con situazioni altamente tecnologiche che facevano loro l’effetto che farebbe una enorme torta ad un bambino goloso. Marco Milanesio si rivelò assai diverso da quel pensoso intellettuale anarchico che si immaginava, era piuttosto una sorta di esuberante, creativo, stizzoso simpaticone trash tra Alvaro Vitali e il Monnezza. Giusto per fare un esempio riportiamo questo dialogo. Alberto: “Marco, fa freddo qua dentro, non riesco a suonare la chitarraâ€. Marco: “prova a metterti le mani nel culo e scoreggiarci sopraâ€. Alberto provava simpatia per quel fonico così “rude†ma allo stesso tempo professionale e competente ma a quanto pare (anche se è solo un sospetto) la simpatia non era ricambiata. Sembra che Milanesio vedesse in Scotti una sorta di stronzetto, intellettuale e prevaricatore (e magari non aveva tutti i torti). Nonostante questi piccoli “problemi†i Maisie ottennero finalmente una signora registrazione che suona ancora, a distanza di anni, alla grande. Cinzia, Alberto e Danilo, baldanzosi come i tre marmittoni si recano a Roma, con il prezioso master da consegnare nella mani della Santona del Tufello. Furono accolti con baci, abbracci e quel caratteristico odore di incenso, rose e pajata che si portava dietro la darkettona. Il pomeriggio trascorse quietamente in una villetta comunale. Fu micidiale (e rivalatore) un colpo di teatro della Siouxie di Torpignattara che sentendo una vecchia chiamare un infante, esclamò: “me pareva la mi nonna che è mortaâ€. Scese una lacrima (probabilmente procurata con una pompetta raccattata a Cinecittà ) e i Maisie trattenero a stento le risate, fingendo squallidamente pietà e commiserazione. In attesa dell’esordio discografico i 3 tornarono nella natia Sicilia. La Elisabeth Fraser di Torvergata si diede alla macchia, requisendo il prezioso dat-master che fu restituito solo nel 2003 (ormai illegibile).Il singolo non uscì mai ma, ancora una volta, i Maisie fecero spallucce. Ormai i due avevano ereditato Snowdonia da Pustianaz e progettavano già quel disco da culto che fu la compilation “Orchestre Meccaniche Italiane†(che conteneva il meglio di quella scena jazz, no wave, sperimentale di cui si erano invaghiti). Ovviamente doveva esserci posto anche per i Maisie nel cd. Per la partecipazione furono scelte “Road Tenders†e “I’m the blender†ma siccome c’era posto si decise di tornare all’Acqualuce, dove furono registrate, alla presenza della nota grind-core band Cripple Bastards altre nuove canzoni: “My Body was a luminous accumulatorâ€, “I am a compacter of Rubbish†e “19:00â€. Danilo, che i Maisie non finiranno mai di ringraziare per aver realizzato su “I’m the blender†uno degli assoli di chitarra più genialmente idioti di tutti i tempi, abbandona momentaneamente la band, per tornare, subito dopo, nel ruolo di programmatore di batterie elettroniche.Cinzia, Alberto e Danilo tornano a Torino l’anno successivo, con l’idea di registrare il loro disco d’esordio. Dopo un paio di canzoni fu però tristemente chiaro che non si riusciva ad ottenere il risultato per cui si era partiti. L’intento era quello di realizzare delle canzoni che suonassero ruvide, violente, sfottenti e scazzate. Purtroppo non si riuscì a registrare bene quello che doveva essere, per sua stessa natura, registrato male. Danilo fa nuove amicizie e lascia i Maisie, che si ritrovano, ancora una volta, ad essere un duo (la striscia di cadaveri lasciati sul campo di battaglia inizia a diventare lunga). Si rispolvera il 4 piste Fostex (che nel frattempo era diventato un 3 piste, a causa della rottura di un paio di tasti) e con una chitarra a 5 corde (il mi cantino non fu mai ricomprato), la “solitaâ€, fida Korg T2, il vecchio basso del fu Pierluca e un microfono da carrettino della frutta (costo 25.000 lire) nasce il nucleo centrale di “Maisie and the Incredible strange choir of Paracuwaii†(disco che ottiene un assurdo, inaspettato successo di critica, finendo a distanza di anni sull’enciclopedia di Scaruffi, tra i dischi più significativi degli anni ’90 in Italia!!!). Le canzoni erano comunque pochine e i Maisie, sparagnini e proletari, pensarono: “perchè pubblicare 40 minuti di musica quando con lo stesso prezzo se ne possono pubblicare 77?â€. È così che nasce l’idea (anche se ci saranno sicuramente significati inconsci più profondi, che ci sfuggono) di invitare musicisti amici (Jacopo Andreini, Gi Gasparin, l'ex TAC Andrea Azzali, Monia de Lauretis e le sue Joyce Whore Not ecc..) a realizzare cover in tempo reale del materiale contenuto nel disco.L’anno successivo i Maisie decidono di comprare un multritraccia digitale, roba di lusso! L’incontro tra l’imperizia strumentale, l’aggressività , il gusto dello sfottò e cotanta tecnologia produce il secondo cd “Do you still remember when you found your IUD in my nostril?â€. Anche questa volta Cinzia e Alberto assistono increduli e divertiti ad un successo di critica persino imbarazzante (l’8/9 che i due si beccarono su Blow Up risulta ancora oggi un evento che odora di paranormale). Legato a quel periodo è un gustoso aneddoto (va beh! È una cosa che fa ridere solo loro): nella foga interpretativa di “She’s a mongoloid pin upâ€, nel momento in cui in testo dice “please mom, dont beat me†Alberto prende alla lettera il “Pleaseâ€, così pensa di mettere le mani giunte a mo’ di implorazione e per far questo si scorda di avere in mano il microfono, che finisce rumorosamente sul pavimento (quel rumore è udibile sul cd). Alberto canta anche molte altre canzoni del disco (evento raro e assolutamente irripetibile).Quando fu chiaro che il lo-fi stava dando loro gloria e popolarità i due capricciosi artisti pensarono che era ora di darsi all’alta fedeltà . Danilo aveva comprato una apparecchiatura straordinaria: un groovebox della Yamaha, bastava premere un tasto e diventavi Fatboy Slim in 5 secondi. Alberto se lo fece prestare e iniziò ad accumulare nuove composizioni, sotto l’influenza del ricordo di un cartone animato che aveva segnato la sua infanzia: Barbapapà . Le canzoni risultavano briose, armonicamente ricche e persino ballabili. Così caldamente jazz/swing da apparire “sprecate†con arrangiamenti freddamente, puramente elettronici. I Maisie si misero dunque alla ricerca mentale di un musicista che si accollasse il titanico compito di suonare, con “veri†strumenti, tutte quelle partiture. La scelta ricadde sul francese Falter Bramnk, un incredibile, ultra-creativo polistrumentista francese. Falter compì il miracolo, si aggiunsero Jacopo Andreini e i tedeschi Daisy Cooper e voilà , ecco la nascita di “Music is a fish defrosted with a hair-dryerâ€. Per realizzare la copertina fu acquistato presso “Il paradiso del surgelato†un vero pesce, ovviamente surgelato. Cinzia lo coccolò sulla terrazza della casa di Alberto, Carmen, la di lui sorella, scattò le foto e anche questa era fatta (per la cronaca il pesce fu poi mangiato da Bia, la gatta della famiglia Scotti). Altro 8 su Blow Up e incredibile recensione di Rockerilla che tratta il cd come se fosse il disco del ritorno di Syd Barrett in persona.Il 2003 è l’anno di “Bacharach for president, Bruno Maderna superstar!†(il titolo rivela, senza falsi pudori, l’amore per due musicisti che hanno profondamente influenzato il gruppo negli ultimi anni). La scelta di registrare in hi-fi è ancor più evidente, le canzoni diventano più fruibili, persino fischiettabili (è il caso dell’anthem “balneare†Sipsysolly). Fondamentale è la collaborazione con due creativi e simpatici polistrumentisti autoctoni: Vittorio De Marin (che suona violino, chitarre, tastiere e quant’altro) e Riccardo “Scarapocchio†Amabili, responsabile di arrangiamenti ed esecuzioni mirabili (Sipsysolly, Dancing stone...). Le canzoni nascono, una per una, seguendo il metodo della collaborazione postale. Ci voleva a questo punto un vero studio per la registrazione di tutte le parti vocali e per una masterizzazione degna di questo nome. Cinzia e Alberto si presero un intero dopocena per decidere e giunsero alla conclusione che il nome giusto era il Seahorse Recording studio dell’ex Silken Barb e Ulan Bator Paolo Messere. La registrazione del cd dei Missselfdestrrruction li aveva molto colpiti. La decisione era presa, i due fecero le valige e partirono, risoluti, alla volta di Napoli. I Maisie furono accolti dalla calorosa famiglia Messere al completo che mise loro a disposizione un poderoso ventilatore, in grado di salvarli dal soffocamento, nel corso di quella afosa estate campana. Paolo Messere è quello che si dice un artista completo: fonico attento, mirabile strumentista, malinconico e rarefatto compositore (i Blessed Child Opera sono il suo progetto personale). Le registrazioni filarono via in allegria e totale relax e andavano nascendo tutti i presupposti per un duraturo sodalizio umano e musicale (che inizia a concretizzarsi con la partecipazione vocale di Paolo su diverse canzoni). Il disco venne fuori benissimo, tanto da essere stampato e distribuito, con successo, negli Stati Uniti dall’etichetta sperimentale Acidsoxx. Da segnalare, tra le altre, una lusinghiera recensione scritta su Rockit da Massimiliano “cuore di pietra†Osini.Nello stereo dei Maisie Alberto Camerini, Claudio Villa e Giovanna Marini avevano ormai preso di posto di Suicide e Sonic Youth. Una riflessione sorgeva spontanea: “siamo italiani, perchè diavolo cantiamo in inglese?â€. Per carità , nessun becero nazionalismo! Semplicemente la consapevolezza che le radici contano qualcosa (grande influenza ebbe la visione di “Polvere di Napoli†di Capuano, soprattutto la folgorante scena in cui gli africani fanno vivere davvero il jazz, massacrato da due tristi uomini bianchi). Nascono così le canzoni che andranno a far parte di “Morte a 33 giriâ€. Alberto si occupa degli scheletri elettronici (con l’ausilio del Groovebox e di software vari) e Paolo Messere da loro vita con l’aggiunta di chitarre, bassi e altri fondamentali strumenti elettrici. La formazione si completa con una pletora di sensibili solisti di area Seahorse (Vincenzo Bardaro, Paolo Coraggio, Alfredo Spinelli, Enzo Onorato ecc..) che arricchiscono le canzoni con fisarmonica, violino e percussioni. Vengono anche invitati Bugo, che canta e scrive il testo di “Sottosopraâ€, divertendosi parecchio, Tae dei Tottemo Godzilla Riders (a proposito: il gruppo si presenta al completo in studio dopo aver preso parte ad un pantagruelico banchetto per il compleanno del nonno di Nicola), Stefania Pedretti delle Allun/Ovo che, torbida come sempre (in più aveva anche le mestruazioni, per cui figuratevi!) regala agli ormai ex no-wavers una spaventosa nenia horror alla Diamanda Galas (corredata da un violino-killer) su “Sistemo l’america e torno†e Riccardo Amabili, che con grande pudore cesella un intervento vocale su “Una canzone riciclataâ€. Fu durante queste registrazioni che il combo messinese conobbe Carmen D’Onofrio, esuberante cantante lirica (ma nelle sue corde c’è anche il soul, il pop e il canto “popolareâ€) con un passato da torbida dark lady nel gruppo culto degli Argine. L’amore fu immediato e reciproco e la riccioluta cantante fu subito reclutata nella band. Il duo diventa così un quartetto: Cinzia, Alberto, Paolo e Carmen (Alberto è l’unico dei 4 che non canta, facendo così sfumare il sogno dei Maisie di essere i nuovi Cetra). La nuova formazione debutta nel settembre del 2005, con la pubblicazione di "Morte a 33 giri", prodotto da Snowdonia e Seahorse.Il disco si rivela un successo ma i Maisie non sono nati per dormire sugli allori e quindi iniziano immediatamente le registrazione di "Balera Metropolitana", un ambizioso doppio cd con la partecipazione di Amy Denio, del polistrumentista Francesco Bosa, di Dario Giovannini degli Aidoru e tanti, tanti altri. Durante la fase iniziale delle registrazioni si decide l'ennesimo cambio di formazione: Paolo Messere (sempre più impegnato con i suoi Blessed Child Opera) lascia il gruppo e viene sostituito da Michele Alessi (Saint Ferdinand, Captain Quentin...), al quale si affiancano Luigi Porto (Appleyard College) e la cantante Serena Tringali. Attualmente il gruppo è impegnato in un minitour nel quale verrà proposto il meglio di "Morte a 33 giri" e verranno anche presentate in anteprima parecchie canzoni del nuovo cd che vedrà la luce a Settembre 2007.