ALCUNE SCENEGGIATURE di ERNESTO GASTALDI
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PEARCING - CON GLI OCCHIALI DA SOLE ANCHE DI NOTTE-
Giulio Perrone Editore
STRALCIO :
"... Deve essere lui “the King†come dichiara il cartello appeso all’ingresso. I due si salutano e Joy viene avvolto dai grossi muscoli del tatuatore, sparendo nell’abbraccio di quell’orco. Poi mi presenta, intimidita sorrido per mantenere un contegno e allungo la mano in segno di pace. Provo diffidenza per il luogo, per lui e per la ferraglia
che gli pendeva da dosso.
La saletta dove ci conduce l’omone è piccola ma pulitissima.
Un telo bianco sul lettino fa capire l’attenzione all’igiene. Joy si spoglia e io rimango sbalordita: si abbassa i jeans e i boxer in un colpo solo, ha deciso che vuole un pearcing proprio “lìâ€!
La scena è buffa, quasi grottesca: Joy è nudo dalla vita in giù, bloccato dai jeans scivolati sulle caviglie che coprono parte degli anfibi. “L’orco†impartisce lezioni sulla miglior disinfezione del pene vittima della sevizia ormai prossima. Io rimango impalata con occhi e bocca spalancati. Non riesco a muovermi o ad articolare
parola. Sul primo momento immagino uno scherzo ma
poi la serietà del proprietario e i sui consigli tecnico-sanitari, mi fanno capire che la decisione di Joy è storia vera. Mi sorride e mi prega di assistere alla “carneficinaâ€. Vuole che io tenga a battesimo
il suo dolore. Mi annuncia l’intenzione di condividere
con me quella piccola sofferenza ma lo dovrò guardare negli
occhi durante l’inserimento dell’anello che inciderà la sua carne.
Non so nemmeno come ho fatto: ho promesso tutto quello
che mi chiedeva e sono stata capace di fissare il suo sguardo durante quello strano rito crudele.
Non un gemito, solo un gran respiro e l’intensità dell’espressione di Joy che mi entrava dentro, fino alla bocca dello stomaco.
Non ricordo altro.
Dopo aver concluso la sua prestazione, l’omone carico di
metallo infilzato in ogni centimetro del corpo, ci lascia soli.
Dice all’amico che deve aspettare qualche minuto prima di
vestirsi e gli fa le ultime raccomandazioni su come tenere la parte ben disinfettata. Siamo rimasti soli e Joy mi ha spiegato che nel momento del buco, guardandomi, ha accomunato il piacere al dolore. È convinto che ora il passo indispensabile sia quello di provare un orgasmo insieme a me e al suo anellino.
Nel giro di mezz’ora siamo fuori da quel negozio di follia.
Gli domando, balbettando imbarazzata, come possa portare la
moto in quelle condizioni.
Lui si fa una sonora risata! Mi spiega che finalmente per ogni curva che prenderà , sentirà un piccolo dolcissimo dolorino..."
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ALCUNI MIEI SCATTI
IL REFOLO di Alessandro Troisi
ROMA
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ROMA: RIPRESE, REGIA E MONTAGGIO MELISSA BRAGAGLIA
COMMEDIA TEATRALE LATTE IN POLVERE
di Marco A. Romano e Alessandro Davico
LA TRAMA:
Un manager, esponente di punta della new economy italiana. Una vita di lusso e di eccessi, fatta di illeciti, di accordi trasversali, di potere che ad un tratto giunge ad una terribile resa dei conti, al confronto con la realtà . Un castello posato su fondamenta di cristallo sta per sfasciarsi al suolo. Testimoni e fautrici di questo crollo umano sono tre entità mitologiche. Ate, Ibris e Moira. Manifestazioni antiche della coscienza, del buonsenso tradito. La voce e l'ira di una sapienza antica. Il buon nome dei padri, dei propri avi è un valore che non può essere infangato anche perchè non ci appartiene mai completamente.
In vendita su ... http://www.lulu.com/content/316218
DAHLAK
Caldo umido da mozzare il fiato, il vento violento sbatte le ciocche rigide di salsedine sulla faccia. Cerchiamo il nostro punto d’immersione, il sole si sta adagiando sull’acqua. L’immersione è stata pianificata, cinquanta minuti, torneremo al tramonto.
Sono inquieta quando devo immergermi. Ma conosco il mio respiro, so che mi calmerò e appena l’acqua mi avrà ingoiato, starò meglio qualche metro più giù. Finisco di vestirmi, allaccio gli strumenti, apro la bombola e controllo il manometro. Faccio la conta di tutto, mentre il vecchio motore diesel rallenta, i suoi colpi ritmano il beccheggio della barca sulle onde.
La grossa chiazza nera che si intravede tra lo smeraldo dell’acqua mi indica il punto in cui ci butteremo. Il mare si sta alzando.
Mi tuffo, le onde mi sollevano e mi adagiano sul loro fondo, inizia l’immersione.
L’acqua gelida saetta sulle tempie diretta al cervello. Una lama fredda scorre sulla schiena, controllo la respirazione e inizio la discesa, la corrente non permette perdita di tempo. Siamo in cinque, veloce compenso e aguzzo lo sguardo nel blu per non perdere i miei compagni.
Ora il respiro è quasi regolare. La fatica che provo nel contrastare la corrente non mi permette un perfetto equilibrio. Il mare mi avvolge, il buio risucchia i raggi solari che entrano prepotenti in una massa densa e nera. Non esiste più suono né distrazione, la concentrazione è totale.
Il rumore dell’erogatore che espelle l’aria respirata è la colonna sonora di quest’emozione che diventa unica ogni volta che m’immergo.
Siamo su una terrazza di corallo, a quarantacinque metri. Sembra di essere nella platea di un teatro pochi attimi prima che il sipario si alzi. La luce ora fievole, ancora non abbandona, permettendoci di osservare lo squarcio di fondale più in basso. Mi tengo salda alle rocce per contrastare la corrente impietosa, le unghie si spezzano molli dall’acqua. Stiamo aspettando il passaggio di pesce grosso. Lo sguardo imprigionato nello specchio della maschera carpisce un’ombra scura tra le mie pinne, sobbalzo e mi volto di scatto.
E’ un “pinna biancaâ€, squalo di barriera che è venuto a curiosare tra le nostre gambe. Mi accorgo che al seguito ce ne sono altri sei. Alcionarie e ventagli di gorgonie fanno da cornice, ma lo spettacolo deve ancora iniziare ed è sotto di noi.
Convinco i miei pensieri che i curiosi di turno sono innocui e mi concentro nel tentativo di distinguere ombre che vanno e vengono alcuni metri più giù.
Sono loro: arrivano maestosi a decine, sagome nere, enormi, nuotano flessuose in formazione come fossero militari.
Sono tanti da non poterli contare, i loro musi delineati dal tipico martello. L’emozione è così violenta da respirare al minimo per poter godere del loro passaggio senza disturbarli. Corrono altri brividi. Li sento arrivare fin sulle caviglie.
Ora gli squali di barriera che si strusciano tra le pinne sembrano dei gattini. Il computer al polso conferma che il tempo per la massima profondità sta finendo, è ora di risalire.
Lo squarcio di luce della pila di Marco entra diretto nella maschera e abbacina. Siamo sul pelo dell’acqua.
Ahmad, la guida sub, gonfia il segnalatore che svetta alto tra le onde. La cima luminosa permette al nostro equipaggio di rintracciarci anche nell’imbrunire.
Il mare si è ingrossato e la schiuma delle creste si rifrange più in là , prepotente, verso la barriera corallina.
Scorgiamo in lontananza l’imbarcazione d’appoggio che a fatica cerca di raggiungerci, i marinai si muovono spasmodici.
Quando si avvicina mi accorgo di alcuni puntini in movimento sulla sagoma dello scafo: c’è qualcun altro a bordo, ma non riesco a distinguere bene. Il sole è sceso oltre l’orizzonte, in questi luoghi la sera avvolge in fretta cielo e mare.
-Ehi! Ahmad, ma quanti sono? –
La mia voce viene soffocata dallo schiaffone dell’onda che mi ricopre di schiuma.
Ahmad allunga il collo e punta lo sguardo verso la barca.
- Hai ragione, c’è gente a bordo! Eren è al timone, i due ragazzi a prua… ma ne vedo altri tre a poppa. Forse sono sub dispersi, capita di raccogliere gente in mare in questa stagione .-
-Non credo siano sub, non vedo le attrezzature. –
Marco è un istruttore esperto, pare diffidente.
Anche Lara e Pietro cercano di capire. Siamo un grappolo di teste che galleggia incuriosita tra un maroso e l’altro.
La barca si avvicina. Le luci di posizione accese. Ci investe il fascio potente della lampada posta a prua. Arriva prima l’odore acre dello scarico e il fumo denso del motore, poi come a concederci la sua generosità , il pancione bianco e cangiante dello scafo, si accosta a noi e ci porge il fianco, adornato dai riflessi dello sciabordare marino.
Sento delle voci concitate, una su tutte, quella del capitano Eren. I suoi due marinai si sporgono per aiutarci a salire, uno slancio di reni e molta volontà mi aiutano, entro in barca grondante, ho ancora le bombole in spalla.
Lo sguardo spaventato di uno dei ragazzi mi coglie di sorpresa. La sua pelle scura risalta gli occhi spalancati, le pupille dilatate, contornate dalle cornee candide, cercano di trasmettermi un messaggio che io non comprendo. Mi accorgo solo che in quegli occhi c’è paura.
D’istinto guardo a poppa, un uomo è alle spalle di Eren, sul fly, alla guida esterna dell’imbarcazione e lo controlla. Gli altri due sono in piedi nello specchio di poppa, a gambe larghe per contrastare il moto delle onde che sta aumentando. La lampada che illumina l’esterno della barca oscilla fra un viso e l’altro dei due uomini.
Le facce sono dure, le espressioni contratte e io continuo a non capire.
Uno degli uomini a poppa grida, deve essere un comando. Il ragazzo che mi sta aiutando con le bombole trema così forte da fargli scivolare ripetutamente le dita sui miei spallacci nel tentativo di afferrare la bombola.
Guardo Ahmad, l’unico tra noi a parlare il sudanese, mi accorgo che è atterrito, rigido e con la bocca spalancata.
Marco aiuta il ragazzo con le mie bombole, viene investito dall’urlo dell’uomo più anziano, è di certo il capo del gruppo. Ahmad gli domanda qualche cosa, l’uomo, continua a sbraitare, gesticolando isterico.
- Ordina di stare seduti! Non muoversi finché non lo dice lui! -
Fa eco Ahmad che oltre a farci da guida è anche il nostro interprete.
- Questi sono pirati, cerca di muoverti il meno possibile. –
La sua voce trema.
- Pirati? Sono qui per cosa? -
- Non lo so, rubano ai turisti e sono pericolosi. Cerchiamo di assecondarli. Ho saputo che a volte è finita male. -
Ascoltiamo allibiti. Eravamo consapevoli di poter andare in contro ad una serie di pericoli, ma nessuno del gruppo avrebbe mai pensato di dover affrontare dei pirati come secoli fa!
Le labbra livide di Lara sono il segno evidente che i brividi dell’immersione sono scivolati in quelli della paura. Pietro le stringe la mano con forza. Seduti sulla panca rigidi dalla tensione, ondeggiano come certe alghe sott’acqua.
Uno degli uomini che prende ordini dal più anziano si avvicina e fa una serie di gesti che non riesco a decifrare.
- Ahmad, che vuole questo? –
- Vuole sapere dove sono le nostre borse! –
- …Sottocoperta. – Risponde Lara con un soffio.
- Accanto alla cabina del capitano. – Si accavalla la risposta di Pietro.
Ahmad riferisce in fretta e l’uomo sorride soddisfatto scoprendo una fila di denti bianchissimi, poi si tuffa verso le cabine alla ricerca dei nostri bagagli.
- Speriamo che se ne vadano subito… – Lara trema, la muta non protegge dalla paura.
- Stai tranquilla, vedrai che se ne andranno. Forse offrendo gli orologi e i soldi si accontenteranno. –
- In genere è quello che cercano. – interviene Marco – Tu però non fare cose che non ci vengano chieste. Lascia che siano loro a condurre, non si sa mai… -
Marco ha navigato molte volte in questi mari, ha una grande esperienza, pur conoscendo poco la lingua, sa trattare con questo popolo, ha imparato a conoscere i loro gesti e le espressioni. Ha capito il loro orgoglio, è capace nel trasmettere rispetto, anche di fronte alla barriera di una cultura diversa.
Col pensiero vado alle tante serate passate a progettare questo viaggio. Accovacciati sul tappeto a culo in su per studiare nei dettagli la cartina. Eravamo eccitati e si discuteva per le soste da fare, da che porto salpare, di quanto bagaglio fosse concesso a noi donne. L’ultimo punto era fonte di convincimento da parte nostra, che cercavamo di far capire quanto fossimo giustificate, per mille motivi, nell’aver diritto a qualche chilo in più.
La voce straniera mi riporta di fronte al viso color cuoio che mi si è avvicinato, mi tocca i capelli, il suo gesto mi fa arretrare d’istinto, sbatto la testa sull’oblò alle mie spalle.
Ho i capelli biondi e questo per la gente di qua è una preziosità molto ricercata. Cerco di non far vedere il mio tremare. Marco interviene. Spiega con segni e parole che non capiamo la sua lingua. Poi mi dice sottovoce che mi sta facendo un apprezzamento, ho la netta sensazione di essere in pericolo più degli altri. L’uomo mi fa cenno di seguirlo, guardo Marco con aria interrogativa, l’uomo insiste. Mi alzo fissandolo negli occhi. Una sensazione che non conosco mi avvolge. Ora non ho più paura e ogni tremito sfuma nell’inchiostro di quella notte irreale. L’attenzione, l’olfatto, l’udito e la vista si sono concentrati e acuiti. Ogni minima parte del corpo è allertata. Devo stare attenta, calcolo ogni movimento, suo e mio.
Mi fa entrare sottocoperta, il primo livello interno dell’imbarcazione si apre in una grande dinette, il salotto dove si pranza alla fine delle immersioni. La luce fioca e giallastra degli interni mi fa capire che le batterie sono allo stremo. Il vetro degli oblò, schermato dal nero dell’esterno, riflette le nostre ombre.
L’uomo fa cenno di aprire i bagagli, faccio quello che vuole. Spuntano dalle cerniere i nostri oggetti e gli indumenti. Ordina di rovesciare tutto. Capisco che l’uomo vuole che sia io ad eseguire. Mi guarda con sfida e resta in piedi di fronte a me, mentre rovisto e poggio sul tappeto etnico che ricopre le assi di legno, tutto ciò che ha valore, distanziandolo dal groviglio d’indumenti.
Passo al mio borsone da viaggio. Apro anche quello e dopo averne rovesciato il contenuto, indico con la mano per attirare la sua attenzione, e poi raccolgo, la scatola di plastica gialla che è rotolata in terra. Me la strappa dalle mani. Si accorge che al suo interno ci sono un paio di orecchini e due catene in oro. Ride soddisfatto e infila tutto il contenuto nella tasca dei pantaloni sdruciti.
Cerco di rimanere lucida, cosa succederà ora? I miei pensieri sono rallentati dalla tensione, non gli stacco lo sguardo di dosso, i suoi occhi sono eloquenti e pericolosi.
Solo una frazione di secondo, mi afferra al fianco, il tempo di capire e vedere la sua mano prepotente su di me, che perdo la sensazione del reale. Afferro il phon rimasto sotto alcuni vestiti e lo colpisco più forte che posso.
Marco ha tenuto d’occhio ogni nostro movimento, gli è alle spalle, un urlo e poi un altro si accavallano. Il breve luccichio di una lama, poi ancora un altro urlo soffocato, su Marco si sono avventati anche gli altri due pirati.
Vedo Eren piombare giù dal fly, si getta sopra all’intreccio umano. Uno dei gregari ha un coltello, non riesco a urlare ma sferro un calcio che finisce con tutta la forza sul suo mento. Il trambusto ci salva, Pietro fracassa un paio di schiene usando le bombole.
I marinai hanno ripreso coraggio e insieme immobilizziamo quei tre bastardi.
Mi accorgo di una striscia rosso brillante sul paiolato. Frugo con lo sguardo nella scena che ho di fronte per capire chi è stato ferito. Il capo ha la camicia stracciata e sporca di sangue ma mi accorgo che Marco ha uno squarcio nella muta e il sangue esce copioso all’altezza del fegato.
Ansima ancora per la violenta colluttazione, cerca di stringere le cime usate per bloccare i tre ma si accascia esanime ai loro piedi.
Pietro lancia un urlo e cerca di soccorrerlo, sento Eren chiamarmi:
- Alba! Presto! Dammi tua roba, dammi tuoi vestiti!!
Non capisco. Seguo il suo sbracciarsi che indica le valigie rovesciate sul pavimento, afferro una camicia.
- Alba stringi forte su sua carne! Ferma sangue e stringi!
Eseguo senza pensare, mi sale la nausea, cerco di controllare il respiro e ne tiro uno fondo.
- Ora porto barca indietro, tu non muovere. Al porto c’è dottore! -
Annuisco in silenzio. Pietro cerca di rianimare Marco. Il suo viso è bianco come la camicia che gli stringo sulla ferita. Mentre uno dei marinai tiene sottocontrollo i tre pirati legati e inginocchiati a poppa, riusciamo a far rinvenire Marco.
- Cerca di respirare, conta e tira il fiato ogni tre secondi! – Gli dice Pietro a voce bassa, per tenerlo lucido.
- Sono tutto bagnato… -
- Non sforzarti, niente parole, conta solo ogni tre secondi e respira! -
Ho i crampi alle mani ma non mi sono mossa da dove sono. La pressione della camicia sulla ferita di Marco così resta costante. Il sudore freddo mi scuote e mi fa tremare, non riesco a controllare i muscoli come i miei denti che sbattono anarchici. Il rallentare del motore ci annuncia che siamo giunti in porto, Marco è svenuto un paio di volte e ha perso molto sangue.
Eren ha già avvisato via radio la capitaneria, c’è una luce lampeggiante che si affaccia nella foschia dell’alba, è del furgone ambulanza che ci attende sul molo.
La polizia ha preso in consegna i tre balordi che docili vengono portati via.
Pietro si accerta che la mascherina dell’ossigeno stia erogando e che Marco respiri regolarmente, mentre il dottore in inglese dà le disposizioni del caso. Siamo scossi ma salvi.
da "IL MIO MARE" Ediz.La Mandragora.
Autrice: Amarilli Gastaldi
EDIZIONI IL FOGLIO - GORDIANO LUPI
LA STORIA DEL FOGLIO
Il Foglio Letterario nasce nel 1999 da un'idea di Gordiano Lupi e Maurizio Maggioni e si pone l'obiettivo di avvicinare i giovani alla lettura e alla scrittura. La rivista si sviluppa a livello locale con lo scopo di salvaguardare e far conoscere il patrimonio artistico-letterario lasciato dalla poetessa Maribruna Toni e dallo scrittore per ragazzi Aldo Zelli. Subito dopo viene coniato il motto I generi a braccetto con la tradizione , perché Il Foglio cerca di coniugare il rispetto per la tradizione letteraria italiana con l'attenzione ai generi (fantastico, horror, noir…). Nel campo narrativo cerchiamo di valorizzare autori che si fanno portatori di nuovi modelli espressivi ma anche di lavori tradizionali di buona qualità letteraria. In poesia l'atteggiamento tradizionale è ancora più marcato. Non siamo per gli sperimentalismi e ricerchiamo versi musicali con scelte lessicali che dimostrino studio e lavoro. Questo è il nostro concetto di poesia. Abbiamo avuto per anni in redazione il grande Peter Russell di cui abbiamo pubblicato gli ultimi due libri. Adesso la collana di poesia annovera persone del calibro di Daniela Monreale e di Ivan Fedeli . www.ilfoglioletterario.it e la mail per info è [email protected].
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GRAZIANO CECCHINI - AZIONE FUTURISTA N°2
Graziano Cecchini -Azione Futurista n.2-
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Chi è GIANNI AMBROGIO?
Storia di un pittore italiano
Gianni Ambrogio è nato a Treviso nel 1928. A sette anni, dipinse il suo primo lavoro, un olio su vetro. Successivamente studiò Arte al Liceo Artistico di Venezia, scelse di non iscriversi all' Accademia di Belle Arti per scelta personale.
La sua prima esibizione ufficiale fu nel 1947, ed ebbe la critica del famoso scrittore Giovanni Comisso
Nel 1949 partecipò al Premio Taranto, insieme con De Chirico, Carrà , De Pisis, Sironi, ed era il più giovane di tutti. Per vivere, dopo numerosi lavori, fu 'assunto' come restauratore free-lance alla "Sovrintendenza ai Monumenti di Venezia" e li apprese nuove tecniche, compresa quella dell’affresco.
Dopo questa esperienza, diresse tre Gallerie d'arte a Treviso, facendo esporre maestri come Guttuso, Sassu, Tomea, Guidi, Saetti, Mascherini, Tassinari.
Con l'aiuto di Berto Morucchio, critico d'arte, inizia ad organizzare eventi culturali nel Veneto e viaggia all'estero: Parigi, Bretagna, Germania, Canada.
Aprì uno studio artistico a Milano; ivi fece ben quattro esposizioni personali in gallerie prestigiose come la Galleria Montenapoleone.
Carlo Munari, ha scritto di lui nel terzo volume della 'Bolaffi della Grafica'.
Ambrogio partecipò e vinse numerosi premi. In “1973 the Europremio†a Londra, gli fu assegnato come il più giovane pittore Europeo. Conquistò due Primi premi a Tuzla in Bosnia – Herzegovina, durante la 'Biennale Internazionale del disegno originale'.
Insieme al 'maestro' Margonari ha vinto il primo premio nella manifestazione 'il Muro Dipinto' (ora in un un museo) a Dozza (città vicino Bologna).
Nel 1992 gli dedicarono una mostra personale al Museo di Roma in Palazzo Braschi.
Con l'architetto Vittorio Rossi ha progettato il monumento ai Caduti a Fontane di Villorba (Treviso), la scultura è in bronzo.
Il noto critico Giorgio Di Genova lo ha scelto nella sua cinquina de:
'I magnifici cinque' per il 'Giornale dell'arte', in 1998.
Molti hanno scritto su di lui : Solmi, Di Genova, De Micheli, Mazzariol, Segato, Portalupi e anche poeti e scrittori come Chiara, Ruffilli, Sala, Spagnoletti, Comisso e Zanzotto.
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MAURIZIO PIO ROCCHI
Un artista sui generis che vive in simbiosi con la sua arte e la sua terra, Tuscania. Maurizio Pio Rocchi è nato a Roma nel 1957, autodidatta ha frequentato per un breve periodo la Scuola di Visione di Londra. Il suo studio è al centro della sua azienda agricola dove vive con la moglie Petra e i suoi tre figli.
Inizialmente la sua arte pittorica è semplicemente figurativa, ispirata alla terra e all'agricoltura, solo dagli anni '90 diventerà arte astratta.Maurizio Rocchi coltiva personalmente i vigneti dell'azienda che sono il suo orgoglio; grazie al vino che produce, infatti, prende parte annualmente alle più importanti fiere del settore in Italia e in Europa. Professionale, ma allo stesso tempo creativo, Rocchi idea le etichette per le bottiglie, raffiguranti periodicamente, l'opera più significativa dell'anno della vendemmia.
Il pittore/contadino, non è complementare a se stesso, ma arte e agricoltura sono una sintesi vera e propria del suo modo di vivere: dalle viti, ai quadri, alle istallazioni, ai vini pregiati, alle auto verniciate a fuoco.Cras Io sono Futuro. Lupo, logo impresso con la vernice a fuoco metallizzata, sopra ad una FIAT Punto, opera intitolata "Fratture 48-32 1994", che significa: "Io, Maurizio Pio Rocchi, sono dentro il Futuro, si pone all'interno di una Rivoluzione Permanente, non di trotzkiana memoria, ma una rivoluzione che in questo caso significa uscire dalle regole accademiche delle gallerie, dei musei e permanentemente "viaggiare dentro" un'opera d'arte. Grazie a questa intuizione è stato l'antesignano delle autovetture decorate, basti pensare che la prima Smart colorata uscirà solo nel 1999 più o meno nello stesso periodo della Polo Volkswagen multicolore.È difficile riuscire ad inquadrare un personaggio poliedrico come Rocchi, le sue attività e il suo curriculum parlano per lui: un suo quadro è esposto in Cina, alla Wang Fung Art Gallery di Pechino, negli archivi imperiali della città proibita.
Nel 1993 introduce l'uso del plexiglass e della luce di Wood per ornare i suoi quadri che raffigurano fratture nel terreno. Gli spazi che si creano tra una frattura e l'altra creano forme antropomorfe illuminate dalla luce di Wood che diventa organica a tutta l'opera.L'artista non si limita alla pittura e alla viticoltura, ma arriva a concepire un nuovo modo di fare arte: la Tras-medialità , e cioè unire tra di loro diverse tecniche quali la fotografia, il cortometraggio e la poesia. Nell'ottobre 2002, a Roma nella Torretta Valadier, ha presentato una mostra di questa sua tecnica sperimentale, intitolata: "Terra, Acqua, Aria, Fuoco, Grande Idea", dove i quattro elementi citati erano i protagonisti del suo cortometraggio e di tutto il suo lavoro Tras-mediale.
FREE TIBET
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"FREE TIBET" è un VIDEO-FOTOGRAFICO, un tributo per simpatia e vicinanza al popolo tibetano, con la speranza che l'autonomia e la libertà non restino solo nel loro spirito.
GIANNI AMBROGIO
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"GIANNI AMBROGIO" è un VIDEO-FOTOGRAFICO, un esempio per i pittori che vogliano dare un respiro diverso alle proprie opere. E' stato caricata solo la seconda parte per motivi di minutaggio.
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ELENA CARRISI
di Amarilli Gastaldi
Edizioni il Foglio
STRALCIO:
"Prima di uscire dalla camera Elena accende lo stereo. La musica dei Doors, proprio quella che suo padre adorava da giovane. C'era un brano che piaceva tanto anche a lei. Mentre percorre il corridoio la musica l'accompagna.
...Come to a door
He looked inside
Father?
Yes, son?
I wanna kill you
Mother... I want to...
Fuck you, mama, all night long
Beware, mama
Gonna love you, baby, all night
Come on, baby take a chance with us...
Meet me at the back of the blue bus,
Blue rock...
...Blue bus.
Kill! Kill!
Sento il freddo dell'arma sulla pancia, è una bella sensazione. L'ho messa sotto la maglietta. ChissÃ
Che farebbe papà nel vedere la pistola. Forse smetterebbe quell’espressione così serena e ottimista da capo-pokemon che ha sempre stampata sulla faccia!
Arianna come al solito non capirebbe una sega!
La pistola si sta scaldando al contatto della mia pelle.
Sto iniziando a sudare. Ora so cosa devo fare.
Percorro il corridoio veloce ed entro in salotto.
Mio padre sta domandando ad Arianna perché non riesca a star ferma. Quella malata continua a passare il peso del corpo da un piede all’altro. Fa venire il mal di mare!
Due colpi secchi! Uno a papà e uno per Arianna!
Le vedo saltare un pezzo di camicia sulla spalla. Riprendo la mira un’altra volta. La centro proprio in mezzo. Ora il resto della camicia diventa rossa all’altezza dello stomaco. Il capo-pokemon ha l’aria stupita. Forse adesso perderà quell’ottimismo stucchevole!
Quella povera scema cerca di ripararsi dietro la poltrona! Sembra una bambina di tre anni! Trema e tossisce.
Bella la cugina! Ora da chi andrai a farti abbracciare?
Arianna non riesce a scappare. Si è accovacciata!
E’ riuscita giusto a coprirsi il viso. Ma la centro in pieno sulla testa con un altro colpo. Muore senza rendersi conto di ciò che le sta capitando. Poveraccia! Non ha mai capito un cazzo!
Mia madre urlando esce dalla cucina, mi volto e mi diverto a divaricare le gambe per mirare. La pistola la tengo con tutte e due le mani come fa un vero killer!
Miro e centro il petto di mamma che si accascia a terra.
Accidenti ho proprio una buona mira!
Sembra di stare a teatro! Il sangue, quelle loro strane posizioni… Mi diverte assistere alle commedie in teatro. Qui sembrano tutti dei manichini buttati in disordine per terra.
La pozza di sangue che si è raccolta sotto le spalle di mia madre immobile sul tappeto, fa capire che l’ho ammazzata sul colpo.
Arianna è afflosciata dietro la poltrona. Ha il cranio aperto che zampilla sangue a intermittenza.
Rimango immobile, osservo la scena. Sono io ora la protagonista del palcoscenico! E’ affascinante.
Sento dei rantoli: è mio padre.
Mi avvicino a lui e capisco che è ancora vivo. Gli parlo lenta, chissà se mi capisce ancora. Voglio bene a papà e voglio essere dolce con lui. Mi chino verso la sua faccia, ha un’espressione incredula. Respira ancora e ripete il mio nome. E’ bello sentirsi chiamare da lui così dolcemente…
- Elena… Elena…
Mi volto di scatto per non guardarlo. Ora non voglio più sentire la sua voce. Mi pesa, mi ha stancato!
Sparo.
Sono già in cucina. Arrivo alla credenza. Afferro un coltello dal ceppo che mamma adora tanto. Glielo regalò la zia a natale. Mica ho mai capito che cazzo ci trovasse in un tocco di legno con quattro coltelli infilati! Eppure sembrava che le avessero regalato un gioiello. La lama è affilata e pulita. Mamma li lucida tutti i giorni!
Mi sento volare e con un solo passo sono di nuovo in salotto.
Sento che le mani si muovono da sole. So che devo terminare in fretta. Se ci riesco bene vinco. I grassetti del salame li ho indovinati tutti oggi! La carta igienica è scomparsa nel cesso dopo il mio desiderio! Ho battuto anche il tempo con le piastrelle! Devo farcela anche qui! Se riesco a fare in fretta vinco ancora! La lama brilla e si conficca nella carne di mio padre…â€
PRESENTIAMO IL VIDEO "ROSILLUSA" tratto dall'omonimo brano autori: NICOLA SARTORI e TOMMASO FRANCO.
REGIA MARCO A. ROMANO
MONTAGGIO ERIC VALSECCHI
Si ringrazia MELISSA BRAGAGLIA per la partecipazione.
COORDINATRICE ALLE RIPRESE, ORGANIZZAZIONE, SUPERVISIONE al MONTAGGIO: AMARILLI GASTALDI
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NICOLA SARTORI
Cantautore, nasce a Verona il 3 Aprile 1976.
Nel 2002 realizza un videoclip nella capitale con la regia di Marco Antonio Romano, già regista del primo cortometraggio della rock band trevigiana Estra.
Nel 2004, con la band Rosillusa divide diverse volte il palco con la band veronese Farabrutto, assieme ai quali partecipano al Mei Fest Tour "Pasqua Indipendente", organizzato dal Meeting Etichette Indipendenti di Faenza.
Nella primavera del 2005 il brano “Scrigno†funge da colonna sonora ad uno dei servizi presenti all’interno del programma “Futura cityâ€, in onda su Rai Due.
Dopo diverse eperienze in band locali, decide, nel 2006, di iniziare la carriera solista.
Si esibisce accompagnato dal pianista veronese Tommaso Franco.
Attualmente in fase di produzione il nuovo cd.
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Io se fossi Dio di Giorgio Gaber - 1980
Io se fossi Dio
E io potrei anche esserlo
Se no non vedo chi.
Io se fossi Dio non mi farei fregare dai modi furbetti della gente
Non sarei mica un dilettante
Sarei sempre presente
Sarei davvero in ogni luogo a spiare
O meglio ancora a criticare, appunto
Cosa fa la gente.
Per esempio il cosiddetto uomo comune
Com'è noioso
Non commette mai peccati grossi
Non è mai intensamente peccaminoso.
Del resto poverino è troppo misero e meschino
E pur sapendo che Dio è il computer più perfetto
Lui pensa che l'errore piccolino
Non lo veda o non lo conti affatto.
Per questo io se fossi Dio
Preferirei il secolo passato
Se fossi Dio rimpiangerei il furore antico
Dove si amava, e poi si odiava
E si ammazzava il nemico.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
Io se fossi Dio
Non sarei mica stato a risparmiare
Avrei fatto un uomo migliore.
Si, vabbè, lo ammetto
non mi è venuto tanto bene
ed è per questo, per predicare il giusto
che io ogni tanto mando giù qualcuno
ma poi alla gente piace interpretare
e fa ancora più casino.
Io se fossi Dio
Non avrei fatto gli errori di mio figlio
E specialmente sull'amore
Mi sarei spiegato un po' meglio.
Infatti voi uomini mortali per le cose banali
Per le cazzate tipo compassione e finti aiuti
Ci avete proprio una bontÃ
Da vecchi un po' rincoglioniti.
Ma come siete buoni voi che il mondo lo abbracciate
E tutti che ostentate la vostra carità .
Per le foreste, per i delfini e i cani
Per le piantine e per i canarini
Un uomo oggi ha tanto amore di riserva
Che neanche se lo sogna
Che vien da dire
Ma poi coi suoi simili come fa ad essere così carogna.
Io se fossi Dio
Direi che la mia rabbia più bestiale
Che mi fa male e che mi porta alla pazzia
È il vostro finto impegno
È la vostra ipocrisia.
Ce l'ho che per salvare la faccia
Per darsi un tono da cittadini giusti e umani
Fanno passaggi pedonali e poi servizi strani
E tante altre attenzioni
Per handicappati sordomuti e nani.
E in queste grandi cittÃ
Che scoppiano nel caos e nella merda
Fa molto effetto un pezzettino d'erba
E tanto spazio per tutti i figli degli dèi minori.
Cari assessori, cari furbastri subdoli altruisti
Che usate gli infelici con gran prosopopea
Ma io so che dentro il vostro cuore li vorreste buttare
Dalla rupe Tarpea.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
Io se fossi Dio maledirei per primi i giornalisti e specialmente tutti
Che certamente non sono brave persone
E dove cogli, cogli sempre bene.
Signori giornalisti, avete troppa sete
E non sapete approfittare della libertà che avete
Avete ancora la libertà di pensare, ma quello non lo fate
E in cambio pretendete
La libertà di scrivere
E di fotografare.
Immagini geniali e interessanti
Di presidenti solidali e di mamme piangenti
E in questo mondo pieno di sgomento
Come siete coraggiosi, voi che vi buttate senza tremare un momento:
Cannibali, necrofili, deamicisiani, astuti
E si direbbe proprio compiaciuti
Voi vi buttate sul disastro umano
Col gusto della lacrima
In primo piano.
Si, vabbè, lo ammetto
La scomparsa totale della stampa sarebbe forse una follia
Ma io se fossi Dio di fronte a tanta deficienza
Non avrei certo la superstizione
Della democrazia.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
Io se fossi Dio
Naturalmente io chiuderei la bocca a tanta gente.
Nel regno dei cieli non vorrei ministri
Né gente di partito tra le palle
Perché la politica è schifosa e fa male alla pelle.
E tutti quelli che fanno questo gioco
Che poi è un gioco di forze ributtante e contagioso
Come la febbre e il tifo
E tutti quelli che fanno questo gioco
C' hanno certe facce
Che a vederle fanno schifo.
Io se fossi Dio dall'alto del mio trono
Direi che la politica è un mestiere osceno
E vorrei dire, mi pare a Platone
Che il politico è sempre meno filosofo
E sempre più coglione.
È un uomo a tutto tondo
Che senza mai guardarci dentro scivola sul mondo
Che scivola sulle parole
E poi se le rigira come lui vuole.
Signori dei partiti
O altri gregari imparentati
Non ho nessuna voglia di parlarvi
Con toni risentiti.
Ormai le indignazioni son cose da tromboni
Da guitti un po' stonati.
Quello che dite e fate
Quello che veramente siete
Non merita commenti, non se ne può parlare
Non riesce più nemmeno a farmi incazzare.
Sarebbe come fare inutili duelli con gli imbecilli
Sarebbe come scendere ai vostri livelli
Un gioco così basso, così atroce
Per cui il silenzio sarebbe la risposta più efficace.
Ma io sono un Dio emotivo, un Dio imperfetto
E mi dispiace ma non son proprio capace
Di tacere del tutto.
Ci son delle cose
Così tremende, luride e schifose
Che non è affatto strano
Che anche un Dio
Si lasci prendere la mano.
Io se fossi Dio preferirei essere truffato
E derubato, e poi deriso e poi sodomizzato
Preferirei la più tragica disgrazia
Piuttosto che cadere nelle mani della giustizia.
Signori magistrati
Un tempo così schivi e riservati
Ed ora con la smania di essere popolari
Come cantanti come calciatori.
Vi vedo così audaci che siete anche capaci
Di metter persino la mamma in galera
Per la vostra carriera.
Io se fossi Dio
Direi che è anche abbastanza normale
Che la giustizia si amministri male
Ma non si tratta solo
Di corruzioni vecchie e nuove
È proprio un elefante che non si muove
Che giustamente nasce
Sotto un segno zodiacale un po' pesante
E la bilancia non l'ha neanche come ascendente.
Io se fossi Dio
Direi che la giustizia è una macchina infernale
È la follia, la perversione più totale
A meno che non si tratti di poveri ma brutti
Allora si che la giustizia è proprio uguale per tutti.
[.]
Io se fossi Dio
Io direi come si fa a non essere incazzati
Che in ospedale si fa morir la gente
Accatastata tra gli sputi.
E intanto nel palazzo comunale
C'è una bella mostra sui costumi dei sanniti
In modo tale che in questa messa in scena
Tutto si addolcisca, tutto si confonda
In modo tale che se io fossi Dio direi che il sociale
È una schifosa facciata immonda.
Ma io non sono ancora nel regno dei cieli
Sono troppo invischiato nei vostri sfaceli.
[.]
Io se fossi Dio
Vedrei dall'alto come una macchia nera
Una specie di paura che forse è peggio della guerra
Sono i soprusi, le estorsioni i rapimenti
È la camorra.
È l'impero degli invisibili avvoltoi
Dei pescecani che non si sazian mai
Sempre presenti, sempre più potenti, sempre più schifosi
È l'impero dei mafiosi.
Io se fossi Dio
Io griderei che in questo momento
Son proprio loro il nostro sgomento.
Uomini seri e rispettati
Cos'ì normali e al tempo stesso spudorati
Così sicuri dentro i loro imperi
Una carezza ai figli, una carezza al cane
Che se non guardi bene ti sembrano persone
Persone buone che quotidianamente
Ammazzano la gente con una tal freddezza
Che Hitler al confronto mi fa tenerezza.
Io se fossi Dio
Urlerei che questi terribili bubboni
Ormai son dentro le nostre istituzioni
E anzi, il marciume che ho citato
È maturato tra i consiglieri, i magistrati, i ministeri
Alla Camera e allo Senato.
Io se fossi Dio
Direi che siamo complici oppure deficienti
Che questi delinquenti, queste ignobili carogne
Non nascondono neanche le loro vergogne
E sono tutti i giorni sui nostri teleschermi
E mostrano sorridenti le maschere di cera
E sembrano tutti contro la sporca macchia nera.
Non ce n'è neanche uno che non ci sia invischiato
Perché la macchia nera
È lo Stato.
E allora io se fossi Dio
Direi che ci son tutte le premesse
Per anticipare il giorno dell'Apocalisse.
Con una deliziosa indifferenza
E la mia solita distanza
Vorrei vedere il mondo e tutta la sua gente
Sprofondare lentamente nel niente.
Forse io come Dio, come Creatore
Queste cose non le dovrei nemmeno dire
Io come Padreterno non mi dovrei occupare
Né di violenza né di orrori né di guerra
Né di tutta l'idiozia di questa Terra
E cose simili.
Peccato che anche Dio
Ha il proprio inferno
Che è questo amore eterno
Per gli uomini.
..
ROSSO TREVI
UNA MACCHIA DI COLORE VI TUMULERA'
"Inizia così per noi futuristi un nuovo millennio, una nuova adesione alle evolute tecniche e ai nuovi mezzi espressivi, interpretando un rinnovamento totale". E termina con un'esclamazione "Eja! marciare per non marcire, lottare per non morire". Vi sono cenni alla situazione sociale italiana: "Noi precari, disoccupati, anziani, malati, studenti, lavoratori, stiamo arrivando con il vermiglio per colorare il vostro grigiore".
Vittorio Sgarbi lo propone per un premio speciale: ....Visto che la fontana non ha subìto alcun danno che problema c'è? E' stato un gesto di grande valore artistico. In Italia, per fare qualcosa c..è sempre bisogno dell..autorizzazione, una concezione diametralmente opposta a quella dell'arte...
La modificazione percettiva di uno dei luoghi simbolo di Roma, il rendere inusuale un posto che è di tutti e che è universalmente riconosciuto come luogo d'arte, cambiandone la natura ed il modo di essere guardato, è senz'altro un'impresa coraggiosa e di grande impatto. Un monumento illustre manipolato e trasformato in opera d'arte contemporanea in una perfetta commistione di neoclassicismo, barocco, futurismo e follia dei nostri tempi.
E' scomparso dalla circolazione in una misteriosa località della Toscana, scrive il New York Times. La realtà è che Graziano Cecchini, l'uomo accusato di aver colorato di rosso la Fontana di Trevi, ha trovato asilo e ospitalità nel Residence San Rossore, con Oliviero Toscani pronto a dargli asilo mediatico. Così il sedicente neofuturista si è immerso in una vasca da bagno del Residence, colma di liquido rosso. E Oliviero Toscani si è fatto in quattro per fotografarlo. Da “Il Messaggeroâ€
Dopo il rosso Trevi, ci sarà il blu Puffo", minaccia enigmatico il "futurista". "Lo spargeremo se non ci daranno risposte sui costi, i ricavi e i singoli beneficiari del Festival del cinema di Roma". Blu Puffo? Che vuol dire? gli domanda il cronista. "Vedrete!"
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