"Sembrerà strano (o no), ma con quella sua barba e quel suo corpaccio, con la sua erre padana e paesana, Guccini è forse il più colto dei cantautori in circolazione: la sua poesia è dotta, intarsio di riferimenti: che coraggio far rimare amare con Schopenhauer! Ma questi riferimenti si fanno accettare come cosa biologica perché si generano gli uni dagli altri, quasi per associazione di idee, di rime". Così si esprimeva Umberto Eco nel 1980, quando ancora il "maestrone" doveva scrivere capolavori come Van Loon e Culodrito, Canzone per Silvia e Farewell, Quattro stracci e Cirano, Autunno e Don Chisciotte; ma quando già aveva scritto Auschwitz e Dio è morto, In morte di SF e Vedi cara, Un altro giorno è andato e Piccola città , Incontro e Canzone delle osterie di fuori porta, Canzone per Piero e L'avvelenata, Il pensionato e Le cinque anatre: canzoni che già da sole giustificavano ampiamente, ed anzi rendevano persino tiepide e misurate, le lusinghiere parole di Eco [che peraltro Guccini corregge bonariamente, precisando che "amare / Schopenhauer" è assonanza, non rima]. L'opera di Guccini, fatta eccezione per quella di De André, non ha infatti pari nel pur ricco e variegato panorama dei nostri cantautori.