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Fare musica in questa cittÃ
Lettera aperta pubblicata su “ La Repubblica “ Venerdì 27 Ottobre 2006
Dove c’è fame, c’è guerra!
Fare musica a Napoli non è diverso dal fare qualsiasi altro tipo di mestiere precario.
Fare il musicista in questa città significa apprendere, specializzarsi, è una volta che si è quasi un
“ operaio specializzato della musica “ ci si ritrova come un operario specializzato in un posto in cui non ci sono fabbriche.
Così si lavora con quello che offre la piazza e anche per la musica ci si abbandona a tutti i mali della propria terra.
La domanda quindi è:
chi sono gli operatori nel campo della musica a Napoli?
come lavorano?
Tutti sono impresari ma nessuno è imprenditore, tutti sono pronti a vendere quello che è già di per se vendibile poiché nel suo piccolo si è fatto spazio da solo, cercano di piazzare la loro “merce†come vecchi venditori di biancheria: vendono sul venduto.
Quasi sempre cercano un varco politico, un innesto, un sovvenzionamento, una nuova idea che possa interessare questo o quel politico alla regione, alla provincia, al comune e talvolta diventano diretti referenti di chi dal nord viene a speculare su quello che, musicalmente parlando, c’è in questa città e che può essere in qualche modo un “ fenomeno “ che stimoli la curiosità del resto della nazione.
L’impresario napoletano, quasi sempre, per suo dire, è il manager di questo o di quell’artista, ha la sua bella agenzia e la sua bella lista di artisti, cerca di appoggiarsi politicamente alle persone che contano per lavorare con la politica perché le istituzioni possono pagare di più.
Quello che funziona sempre è fregiarsi di un certo tipo di manifestazioni cosiddette culturali, tutto ciò che è legato in qualche modo alla tradizione, tutto ciò che poi è facilmente associabile al concetto e alla parola “ cultura “ che è sempre un buon biglietto da visita specie in quelle tipiche conferenze stampa per la presentazione di un evento.
Quindi in una manifestazione che si rispetti col patrocinio del comune, della regione, della provincia non guastano mai nomi come: Peppe Barra, Eugenio Bennato, N.C.C.P, Enzo Gragnaniello…
Poi ci sono quelli che da anni cercano di spremere finchè si può quegli artisti rimasti ancora sulla piazza e che un tempo erano associati al cosiddetto “ Neapolitan Power “ degli anni ’80, che senza ombra di dubbio resta l’ultima vera rivoluzione della musica napoletana.
Chi costruì, gestiì e alimentò tutto ciò era un signore che si chiamava e si chiama Willy David, ma quel signore non era e non è napoletano.
Quindi artisti che hanno inorgoglito la nostra infanzia o la nostra adolescenza oggi si ritrovano gestiti da gente spesso incapace che specula sul passato, così ci si ritrova ad ascoltare James Senese spesso in contesti non propriamente adatti; qualche anno fa lo si poteva sentire suonare anche in qualche pub di provincia, mentre tra i tavoli servivano panini, con un paio di musicisti al fianco senza batterista e col suo sax , che è sempre poesia, anche se suonato su basi preregistrate.
Chi è riuscito invece a non suonare più nei pub è Enzo Avitabile che dal musicista funky, metropolitano, un po’ americano che era, oggi vive, fotunatamente, un periodo felice con strepitosi successi all’estero. Ha cambiato strada musicalmente parlando, e oggi fa musica etnica, attinge dalla tradizione popolare la sua musica, i musicisti sul palco sono vestiti da battenti, devoti della madonna dell’arco, ci sono i bottari, e lui canta “ Salvamme ‘ o munno “
Francesco De Gregori in una canzone dice “…. la musica etnica la contaminazione, l’ultima spiaggia dei vigliacchi della comunicazione “ , ma in questo caso ad Avitabile è andata bene il suo impresario ha avuto buon fiuto e intuizione, ma anche Andrea Aragosa non è napoletano è casertano in tutto il suo splendore.
Poi c’è il Jazz napoletano che fa capitolo apparte e spesso si gestisce da solo con il risultato che nomi come Marco Zurzulo e Antonio Onorato rischi di trovarli a suonare anche al bar sport.
Fervore c’è stato negli anni ’90 con il dub napoletano, ma finita la tendenza è finito tutto il movimento; ogni tanto però può capitare di ascoltare Raiz duettare con Sal Da Vinci.
Napoli è fossilizzata è chiusa nella sua stessa morsa della tradizione.
Tutto è legato alla contaminazione con la radice della canzone napoletana, tutto in un modo o nell’altro conserva un non so che di cartolina.
Non si da spazio alla musica realmente contemporanea.
Napoli non è rock, Napoli non è pop, Napoli rischia di divenire con ogni probabilità , in fatto di musica, la città più provinciale di tutta la nazione.
E’ il linguaggio contemporaneo quello che manca è la musica del 2006, non dico avanguardia, ma 2006;
c’è così poco, che quel poco che c’è non permette di vedere se c’è altro.
E si sa:
dove c’è fame c’è guerra e a morire è tutta quella musica a cui non viene data la possibilità di crescere e di essere ascoltata.
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Università degli Studi di Napoli Federico II.
Polo delle Scienze Umanistiche e Sociali.
Facoltà di Sociologia
L'ARTE DELLO SVILUPPO
LO SVILUPPO DELL'ARTE
Problemi e prospettive del rinnovamento culturale.
A Napoli e nel mezzogiorno
In questi anni, si è molto discusso dell'importanza che, il comparto cultura, ha e può avere nella crescita e nel rilancio di Napoli e del sud. Sono stati messi in campo diversi interventi nel settore e alcuni risultati sono stati certamente conseguiti. I nuovi spazi realizzati, ad esempio, per l'arte contemporanea a Napoli rappresentano un indizio importante in questo senso, come pure le tante installazioni realizzate in luoghi "simbolo" e la produzione estetica a corredo della "logistica", si pensi alle stazioni dell'arte. Probabilmente, anche la promozione di taluni "eventi" artistico-spettacolari, di grande impatto collettivo, ha avuto un suo rilevante significato. Eppure, uno sguardo appena appena più attento sulla situazione culturale di Napoli ci rivela che questi momenti, pur importanti, rappresentano, purtroppo, "episodi", circoscritti nei loro "spazi" e confinati nei loro "tempi". La città di Napoli, nel suo complesso, non pare averne ricavato quel generale riverbero positivo che si attendeva. Lo attestano, in modo assai chiaro, alcuni importanti indicatori, di carattere diretto e indiretto, "esterno" e "interno",alla dimensione strettamente "culturale".
I dati del turismo, che alcuni anni fa erano lievitati sensibilmente, sono di nuovo in netto calo. L'economia dell'intrattenimento e dello spettacolo langue un po dappertutto. Nel centro storico di Napoli, che sembrava dovesse diventare laboratorio diffuso della produzione e del consumo culturale, tradizionale e d'avanguardia, molti luoghi di aggregazione hanno smobilitato o si trascinano preda di una crisi profonda, mentre la sicurezza e la vivibilità dell'area hanno subito un netto peggioramento. Non migliore, purtroppo, è - salvo lodevoli eccezioni - la realtà della periferia e della provincia. Tanti giovani artisti napoletani lamentano, oggi, come e persino più di ieri, l'inesistenza, pressocché assoluta, di opportunità , ovvero di un "territorio" agibile, un contesto capace di sostenere la creatività . Per i giovani musicisti, non esistono spazi disponibili per provare, e tantomeno per esibirsi, i locali che fanno musica dal vivo si contano sulle dita di una mano, manca un tessuto imprenditoriale diffuso capace di supportare, in ogni senso, la produzione musicale e discografica, mancano i canali di accesso agli apparati mediatici, letteralmente preclusi ai talenti emergenti. Stessa situazione dicasi per il vasto reticolo di energie creative impegnate, a tutti i livelli, nel campo del teatro, dove a contrastare il declino sono solo pochi operatori valorosi e alcune strutture che devono fare i conti con situazioni sempre più pesanti.
Non migliore sembra essere la situazione del cinema. In questo ambito, certo, non sono le multisale a mancare, ma quanti sono i nuovi registi napoletani, meridionali? E i nuovi attori, i nuovi autori? La situazione langue, e persino alcuni autentici talenti, che erano emersi in questi anni, stanno perdendo l'entusiasmo, col rischio che anche la loro vena creativa si esaurisca del tutto. E la situazione letteraria? Qualche fenomeno mediatico, anche di valore, "spinto" dal fascino della cronaca nera, che il nostro territorio sempre esercita e che continua a vendersi bene. Ma per tanti valorosi creativi, giovani e non, quanto spazio si offre? Quanti grossi editori vi sono, disposti a fornire occasioni ad autori emergenti? Quale spazio culturale vi é per i tanti valorosi scrittori, saggisti, romanzieri, poeti, chi pubblicherà mai i loro lavori, chi potrà mai leggerli? Sono solo alcune possibili esemplificazioni di un ragionamento sull'arte, lo spettacolo, la cultura, qui a Napoli, nostro osservatorio privilegiato, ma il discorso, con qualche variazione può estendersi all'intero sud, che vede un situazione generale di inedeguatezza e stagnazione.
Certo, i creativi non mancano. Ma dove sono le major discografiche, le società di produzione, teatrali, cinematografiche, televisive, e gli editori, i giornali? Presenze sparute, episodi rari. A parte qualche isolato manager, qualche gallerista attivo, qualche operatore culturale impegnato, qui da noi, a Napoli "capitale culturale del mezzogiorno", come nell'intero Sud, una vera e propria industria culturale non esiste, questa è la verità . Una realtà che non può essere nascosta dietro il paravento di qualche occasionale iniziativa di successo.
Le ragioni alla base di questa situazione, evidentemente, sono varie e non semplici da individuarsi, eppure, vi è un aspetto che ha un peso e una centralità : è mancato uno sguardo d'insieme, è mancata una capacità di azione sinergica e globale, che sono semplicemente indispensabili nella società della conoscenza. E' mancata la capacità di comprendere che un reticolo di eventi e un rilancio dell'immagine non creano, di per sé, apparati dinamici, sistemi strutturati, non generano magicamente un territorio produttivo, e un vero mercato, non danno vita automaticamente all'industria culturale. La cui genesi può essere utilmente stimolata se viene "spinta" da un vero, ampio e innovativo progetto, che, se è tale, deve pensarsi in forte connessione con una progettualità avanzata più generale e diffusa. Cosa vogliamo dire? E' semplice, se si vuole il rilancio culturale, a Napoli, in Campania, nel Sud, si deve guardare certo, e in modo scientifico, alla "cultura", in senso materiale e immateriale, ma contemporeneamente si deve guardare a tutto ciò che è (apparentemente) fuori dal suo ambito, a quelli che gli scienziati chiamano i "fondamentali" di un territorio: economia, urbanistica, occupazione, ambiente, sicurezza. Essi, in questi anni, non hanno visto, purtroppo, cambiamenti sensibili. Questa è la realtà dei fatti.
Un forte entusiasmo, un rinato orgoglio identitario, che anche sono importanti, hanno contribuito a valorizzare, per una certa fase, taluni aspetti della vita culturale di Napoli, aiutati da una robusta campagna svolta dai mezzi di informazione. Ma una retorica intelligente, non poteva, certo, da sola, conseguire il risultato di bonificare, effettivamente, l'intero territorio sociale. Esauritasi la lunga benevolenza mediatica, Napoli è ritornata al centro dell'attenzione generale per le solite tristi, ragioni per le quali lo è stata "storicamente": degrado, inefficienze, criminalità . Mancando il suo reale sviluppo l'immagine di Napoli è ritornata ad essere quella di sempre. E' la prova che il rilancio simbolico può essere un utile complemento, se si rinnova concretamente la qualità sociale di un territorio, ma non può sublimare, per troppo tempo, le conseguenze dell'immobilismo e della stagnazione in tanti ambiti della vita economica, sociale, produttiva. In altre parole, lo sviluppo culturale, deve accompagnarsi alla dinamica generale dello sviluppo, tout court, l'intrapresa creativa, l'iniziativa culturale, non possono garantire a lungo, la "tenuta" di un territorio, se non migliorano sensibilmente anche altri decisivi fattori. Il dinamismo innovativo in campo artistico, estetico, persino scientifico, non può che essere contestuale a un moto di rinnovamento che deve investire complessivamente gli ambiti dell'urbanistica, del lavoro, dell'ambiente, della qualità sociale. Non ci si può aspettare dalla cultura che supplisca alle gravissime carenze di un contesto sociale, ne tantomeno che venga usata per occultarle.
Queste note, che raccolgono sollecitazioni scaturite dalla comunità degli artisti e degli operatori culturali, degli intellettuali e dei creativi, vogliono essere il tentativo di stimolare un dibattito serio, concreto e necessario, che chiami in causa la società civile e le istituzioni. Una riflessione attenta, sincera, impegnativa, volta alla elaborazione di un progetto, che si orienti, concretamente, nella direzione del rilancio e del rinnovamento di Napoli e del mezzogiorno.
Napoli, Marzo 2007.