Alberto Giovannini (Orvieto-1970) vive e lavora a Viterbo.
Dottore in Scienze Forestali è impegnato nel sociale; per anni ha lavorato in una casa famiglia per disabili adulti e collaborato ad attività volte al reinserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Ha cominciato a dipingere nel 1998, inizialmente imprimendo sulle tavole colate di materiale plastico per poi passare all’uso di colori ad olio o acrilici utilizzando sempre e comunque materiali che infondessero spessore e fisicità alle opere (carta vetrata, legno, gesso, fili di ferro).
"Che sia più o meno grande, ogni supporto è sempre troppo piccolo per contenere paure ed entusiasmi.Che la libertà non sia una condizione di naturale appartenenza a questa vita mi appare come una verità sempre più imponente, tanto che sono costretto a tradurre in colori e linee ciò che in altro modo non posso esprimere".
"Amo raffigurare l’invisibile, quello che si nasconde dietro un viso, i colori delle persone e non le loro facce, i profumi di un paesaggio e non i contorni, i graffi della luna e non la luna."
SITO PERSONALE: http://www.albertogiovannini.it
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Mi sono chiesto molte volte sia durante la lavorazione di un'opera, sia quando questa, una volta terminata, rimane ferma appesa ad muro della mia casa, in cosa consista il mio lavoro di artista. Se questo è la naturale conseguenza di una esigenza primordiale di comunicare al mondo con un linguaggio non convenzionale o se, in modo molto più sentimentale, (in a sentimental mood per dirla alla Duke Ellington) trattasi di una ricerca interiore etica-estetica necessaria per dare un senso più ampio alla mia esistenza. Ad ogni modo lavorando mi rendo conto dell’impossibilità di definire ciò che sto creando e soprattutto dell’impossibilità di raggiungere un punto di arrivo prefissato. Questo aspetto mi fa sentire molto vicino al musicista jazz quando, libero da ogni spartito, si trova ad improvvisare tirando fuori tutto ciò che ha dentro in quel momento, raggiungendo alla fine del concerto, un risultato, e uno solo, fra i tanti (infiniti??) possibili. Sento molto mio il concetto di improvvisazione in questi termini, che poi è un concetto di libertà , di movimento, di azione svincolata dai limiti che inevitabilmente il cervello umano si impone nell’elaborazione di un tema, portandolo in una direzione obbligata a lui più familiare. Generalmente quando inizio un'opera ho sempre un'idea (o un ideale) su come realizzarla, ma quando le mani cominciano a muoversi sulla tela e il cuore a sbarazzarsi del sangue in modo più irregolare, questa inevitabilmente viene sopraffatta dall’emergere di mille altre verità espressive che mi portano a raggiungere obiettivi diversi, non immaginabili a priori, certamente validi ed autentici perché realmente liberi. Tecnicamente questa elaborazione si traduce in una continua sovrapposizione di colore che produce nelle opere uno spessore ben evidente che amo definire la “parte fisica†del quadro dalla quale emerge il disegno, o segno finale, che deve adagiarsi su di essa, secondo la mia idea, in perfetto equilibrio visivo. Il risultato spesso è imprevedibile, a volte indecifrabile, fantastico o drammatico. Un po’ come la vita di tutti i giorni.
Nella storia dell’uomo non è una novità che alcuni abbiano cercato nuove modalità espressive per codici linguistici preesistenti.
E questo perché, per quanto ricchi e complessi, quelli vigenti non sono mai riusciti né riusciranno a ricalcare la complessità esistenziale di ognuno.
L’esigenza primordiale di imprimere nuove forme a suoni, parole, materie e colori è necessità di dare alla luce delle verità sedimentate che altrimenti non riuscirebbero ad essere espresse. Ma l’esigere e il ricercare non sempre determinano la scoperta del proprio codice linguistico, che diventa tale quando è compreso anche da altre persone che non ne necessitano una decodificazione ulteriore, perché basta a sé stesso.
Le opere di Alberto Giovannini sono interessanti soprattutto per questo, perché mostrano l’evoluzione della ricerca, a partire dall’impulso primo di necessità . Dal vagito alla parola compiuta. L’artista sviluppa una continua tensione verso la definizione sempre più rigorosa del proprio codice espressivo che non ha ovviamente come scopo finale l’essere definitivo e immutabile, immediatamente riconoscibile e quindi esauribile.
Se infatti è vero, come per lui è vero, che la libertà non è una condizione di naturale appartenenza della vita, è fondamentale che lo sia del linguaggio che ha scelto per esprimere ciò che in altro modo rimane inesprimibile.
F.M.N
La carta vetrata …materiale per ripulire,…grattare, …togliere, diventa nelle mie opere materiale da sovrapporre a sua volta sovrapponibile.
Aggiungerla per creare rilievi, confini, spaziature, le fanno svolgere un’azione perfettamente contraria al suo scopo, si libera del suo valore utilitaristico e torna ad essere quel che vuole…colore e materia
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