"Oggi ancora sento in me uno di quei brividi dell’infanzia quando penso che in realtà io faccio dell’illusionismo, perché il cinema non esiste che grazie a una imperfezione dell’occhio umano, la sua incapacità di percepire separatamente delle immagini che si susseguono rapidamente e che essenzialmente sono simili…
Facendo un film mi rendo dunque colpevole di un imbroglio, mi servo di un apparecchio grazie al quale trasporto il mio pubblico, come su un’altalena, da un sentimento a quello opposto, lo faccio ridere, sorridere, gridare di spavento, credere a leggende, indignarsi, risentirsi, entusiasmarsi, eccitarsi o sbadigliare. Sono quindi un ingannatore, o - nel caso di un pubblico cosciente dell’inganno - un illusionista. Mistifico, avendo a mia disposizione il più prezioso e stupendo degli apparecchi magici che sia mai stato, nel corso della storia del mondo, in mano a un prestigiatore. C’è in questo (dovrebbe esserci, per tutti coloro che creano o sfruttano i film) la fonte di un insolubile conflitto morale."
Ingmar Bergman