AIDES IS COOL
ok ok that's me ANGO_the_Meek_Dead
and this is me with a fan! :-)
and this is a short tale about my own Meek Demons from WRONGBOY, a close friend and a great writer! ( check it's page here: www.myspace.com/60521643 )
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(sorry the tale is only in italian language AND IT'S AMAZING! SO READ IT OR DIE!)
Ango non è uno di quei morti rancorosi e inquieti che tornano a infestare il mondo dei vivi spostando mobili o addentando polpacci. Lui se ne sta tranquillo nel Regno Infero e non fa male a una mosca, perché – come dice il nome – è meek, mansueto come un agnellino. Siccome è anche molto modesto, come occupazione dice che fa il morto, ma in realtà si dà parecchio da fare, laggiù, e ha un modo tutto suo di mettersi in contatto coi comuni mortali: disegna.
Se ne sta seduto tutto il giorno a questo tavolo (un po’ banco del Libro Cuore, un po’ scranno da amanuense benedettino), cercando di amministrare perdite d’inchiostro che sono come flussi di sangue dalle stigmate. Accanto alla sua postazione ci devono sempre essere pile di fogli e barattoli pieni di penne, perché Ango produce a getto continuo: di suo ha conservato delle biro colorate e qualche pennarello delle elementari che funziona ancora. Per il resto Ade gli fa avere personalmente la carta migliore e tutte i Pantone che riesce a recuperare (essendo l’Inferno una specie di prigione, anche i beni di prima necessità scarseggiano, ed esiste un nerissimo mercato sotterraneo di baratti e favori su cui è meglio non indagare). A volte Ango se la cava con pochi segni e qualche macchia di colore, altre si accanisce sul foglio finché non l’ha ricoperto di tratteggi fittissimi, tanto che la carta si ondula e quasi si disfa sotto il peso dell’inchiostro. A volte le linee sono così appuntite e spigolose che sembrano fatte con una lametta. Poi, non si sa bene come, questi messaggi d’inchiostro su carta arrivano fino a noi: probabilmente devono avere il visto di Ade e, siccome è Cerbero a portarglieli (come ogni buon cane che deposita il quotidiano davanti alle pantofole del padrone), i fogli sono sempre un po’ stropicciati e a volte laceri per le zanne infernali e bagnaticci della sua bava.
Su questi fogli Ango disegna strane creature dall’età indefinibile, bambini cresciuti troppo in fretta, baffuti, irsuti, con le guance rosse e gli occhi cerchiati di nero; ometti seri e compunti (come quando mamma dice “Fa’ il bravo, comportati da ometto!â€) o giovani uomini che hanno conservato qualcosa dell’infanzia nel corpo o nello sguardo. Hanno la testa sempre un po’ grossa, come se fossero tutti quanti concentrati là , dentro il loro cranio. Alcuni sono veri e propri macrocefali: teste gonfie come frutti troppo maturi, in cui la buccia si tende pronta ad esplodere dietro la pressione della polpa. Su questi testoni enormi, gli occhi il naso e la bocca vagano alla deriva come continenti non ancorati, raccogliendosi tutti in una zona o divergendo agli antipodi.
Ad esempio, c’è questo giovin signore barbuto, con la faccia tonda, la testa rasata, un anello al naso, un piccolo terzo occhio disegnato al centro della fronte, proprio sopra il monociglio: stringe le labbra come per trattenere un grido di dolore; gli occhi un po’ distanti, sottolineati da profonde occhiaie, quasi gli scappano dalle orbite come per una piccola esplosione interna,. It Hurts!: dice. Che cosa gli è successo? Forse è stato colpito da un proiettile proprio in mezzo alla fronte, forse lo sta prendendo in quel posto e non se l’aspettava, ma sopporta in silenzio, o forse gli si è appena rotto un ginocchio (come potrebbe chiarire La versione torinese dei fatti, che riprende in chiave queer le illustrazioni cronachistiche della Domenica del Corriere, con tanto di strisce di coca nello specchietto portacipria e cannuccia fatta su con una banconota arrotolata). In ogni caso vien da dirgli “Sì, fratello, hai ragione, fa male†e se non fosse solo una testa che levita sopra una scritta gli si potrebbe anche dare una fraterna pacca sulla spalla o un amichevole pugno sul pettorale.
Insomma, che sia una frattura interna, una ferita sanguinante, oppure qualcosa di più generale, come la Vita o l’Amore: fa male! Tutti i personaggi di Ango lo sanno (o lo sospettano), ma ognuno reagisce in modo diverso. Alcuni sognano, anche ad occhi aperti. Alcuni sono tristi. Qualche volta spaventati. Tendono le loro braccine rigide, le loro mani dalle dita unite, come i neonati quando vogliono essere presi in braccio. Alcuni, pochi, sono arrabbiati, come ad esempio l’Anarchico: collo massiccio, piccole orecchie a sventola, baffi appena cresciuti; sembra un bambino ribelle del riformatorio che non ha mai conosciuto l’amore e diventerà un piccolo teppista se nessuno glielo insegna per tempo. Alcuni, i più coraggiosi, affrontano le avversità facendo resistenza passiva, come gli Ercolini Sempre In Piedi, pronti a rialzarsi ogni volta che la Vita li sbatte a terra (ad esempio, c’è qualcosa negli occhi blu di Blessed, un’espressione di sopportazione silenziosa, seria e determinata, quasi eroica, che fa sembrare il disegno il ritratto di un martire). Alcuni nascondono dentro di sé un segreto, uomini matrioska con le guance dipinte di rosso e dei mustacchi ottocenteschi. Ad altri, invece, molto frivoli e leggeri, non frega proprio niente: sono i ragazzi palloncino, dalla testa piena di elio, che ti dicono “Ti voglio bene†o “Mi manchi†con la vocina da Paperino, ma bisogna portarseli dietro con lo spago, perché sono pronti a volare in cielo e poi chi li prende più. Hanno paura sono degli aghi.
Di cosa sono fatti questi personaggi? Sembrano scolpiti nelle patate, o sbozzati rozzamente nel legno tenero con un temperino, dipinti con pennelli da miniature su porcellana molto fragile, o disegnati su uova sode con colori atossici, come l’Umpty Dumpty di Alice nel paese delle Meraviglie. Altri ancora sono di peluche. Come il Ragazzo Cervo: un trudino molto particolare con due corna muscose, dritte come rami potati, conficcate in testa, l’anello al naso, una croce stampata sulla fronte, gli occhi sbarrati, infossati nelle orbite pelose, e la stessa espressione di It hurts: dice di non essere sicuro che nelle sue vene scorra del sangue e per controllare ti propone di tagliargli la gola. Ma sappiamo già tutti che dentro ci troveremo solo pezza, segatura o gommapiuma. E preferiamo accarezzarlo contropelo.
Quasi tutti indossano dei meravigliosi completi di biancheria a strisce che non te li sogni nemmeno da Intimissimi: magliette che lasciano un po’ scoperta la pancia, slip con l’apertura laterale e calzettoni lunghi fino al ginocchio con la punta e il tallone rinforzati. A volte un minuscolo cappello col frontino sfida le leggi della gravità e rimane appeso, quasi aggrappato, al mappamondo della testa. Raramente qualcuno si concede delle scarpe col tacco. E poi tutto un repertorio di piercing al naso, lobi delle orecchie forati, marchiature, cicatrici, amputazioni, stigmate, terzi capezzoli e terzi occhi, protesi, ibridazioni e deformità varie.
Al loro fianco ci sono quasi sempre degli animali, che li seguono dappertutto, come cuccioli da compagnia, spiriti guida, gemelli siamesi, doppi perturbanti, metastasi con vita propria. Orsi acrobati che si esercitano a camminare in bilico sopra una palla, Dodoli incappucciati come boia, che terminano con l’orlo ondulato di un lenzuolo, conigli neri gotici, batuffoli di lana con le orecchie: alcuni sono veri, altri delle emanazioni. Amici immaginari, spiriti di animali morti. Alcuni sono una penitenza, una maledizione, o la materializzazioni di una colpa, come l’albatro del vecchio marinaio. Altri, semplici presenze, che se ne stanno lì e sanno qualcosa che non dicono.
Ci sono anche quelli che rimangono attaccati coi denti alla mano del loro padrone: I will never let you go dicono, e questa frase mostra tutto il suo risvolto sadico e letteralmente cannibalesco, dietro l’apparenza convenzionale e zuccherosa. La scena viene riproposta anche in The See-Saw e in I love you too: “Ti amo anch’io†dice il bambino all’orsetto che gli sta mordendo a sangue la mano. E non c’è contraddizione, perché quel morso è l’unico modo di mostrare amore che l’orso conosce e lo si capisce dal suo sguardo carico di senso di colpa che chiede scusa e dice “Posso?â€. Il bambino l’ha capito e si lascia mordere (ma mostra anche lui una chiostra di denti aguzzi, pronto a ricambiare il favore). E forse l’essenza della meekness sta proprio qui, nel dire “Ok, mordimi pure, ti voglio bene lo stesso!†(che poi è la frase che tutti gli orsetti carnivori vorrebbero sentirsi dire) e forse è così che si diventa santi (qui però si imbocca una strada accidentata e pericolosa che fa lo slalom tra sacrificio, masochismo e martirio, e che forse è meglio non seguire fino in fondo).
Anche quando sembra andare tutto bene, il paesaggio è idilliaco, i colori sono veramente quelli di una fiaba, e i due personaggi con la testa a mongolfiera sono arrivati alla fine della giornata e si riposano all’ultimo sole, con la schiena appoggiata alla parete o seduti sul tetto della loro casetta di legno in mezzo al bosco, ecco che arriva il titolo Enjoy! The end is near che getta una luce sinistra su tutta la scena come se dietro ad ogni felicità fosse nascosta in agguato qualche terribile minaccia. Allora si spera che almeno per i due personaggi che dormono abbracciati sotto la coperta quadrettata della nonna, in Rest, il risveglio non porti brutte sorprese…
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