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music, cinema, licterature, phylosophy, science, physic...
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anyone can give me some, anyone can take some from me...and this animal from another land...
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all good music... from Stockhausen and Berio passin' through Beatles, Who, Pink Floyd, Battisti, De Andrè to Metallica, Nirvana, Muse, S.O.A.D., Timoria, Estra, Tre Allegri Ragazzi Morti, 24 Grana, Movida, Progressive in general, like Genesis, Gentle Giant, Camel, Banco, Museo Rosenbach and many more!!!

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"Natural Born Killers" and "Twelve Monkeys" on all, but i like all kind of genres... I've to add "Altered States"...;)

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cultural, and here, in Italy, is not so much like what I want, just RAITRE...

Books:

"1984" is GRRREAT!!!

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umh, i don't know what is an hero...maybe these are heroes...
C’era una volta una coppia di asini. Uno era un asino anziano, con tanta esperienza alle spalle; l’altro era un piccolo ciuco, che accompagnava sempre il suo mentore per imparare da lui quanto più possibile della vita. Ogni giorno si recavano dalla loro abitazione sul posto di lavoro, sito alla parte opposta di un folto bosco che i più dicevano, dicevano, fosse per la quasi interezza inesplorato. Ed ogni giorno percorrevano sempre la stessa, medesima, strada, senza tener conto delle varie biforcazioni che gli si paravano dinanzi. Il piccolo ciuco chiedeva “Perché non cambiamo strada, qualche volta?”. In tutta risposta, l’asino anziano, “Perché questa la conosciamo già e non ce ne servono altre.”. Il ciuco non era convinto della risposta dell’asino anziano. Così insisteva “Ma potrebbero essere più svelte le altre.”. E di risposta “Ma perderemmo tempo nel trovare la più consona, e questo è male.”. Il ciuco si ostinava “Ma dopo averne perso di tempo prima, ne guadagneremmo poi, di tempo.”. Ed ancora veniva ammonito “Mai lasciare la strada vecchia per quella nuova.”. Questa il piccolo ciuco proprio non l’aveva capita. Tentò con un ultimo tentato tentativo “Ma potrebbero esserci cose mai viste, panorami stupendi, frutti più gustosi.”. L’asino anziano, spazientito, gli spiegò che l’unica cosa che contasse nella vita non erano delle futili sensazioni di un istante ma la realizzazione che porta il lavoro, ciò che se ne guadagna da esso ed il conoscere bene quello che già si sa. Perché, diceva, “Nel conoscere troppo si finisce col non conoscere nulla.”. Il piccolo ciuco zittì. Ma in cuor suo aveva una voglia immensa di sperimentare le nuove strade, alla ricerca di nemmeno lui sapeva cosa. Ogni giorno, durante il viaggio di andata ed il viaggio di ritorno, rimaneva attirato irrefrenabilmente da tutte quelle anguste biforcazioni che si scontravano contro il suo sguardo. Quasi come sirene che, con il loro canto ammaliatore, lo chiamassero verso il fascino dell’ignoto. Ed ogni giorno era sempre più combattuto dall’ostinatezza dell’anziano a non voler discoprire dove portassero quelle strade e se, effettivamente, portassero al luogo desiderato in minor tempo e miglior agio. I giorni passavano, ed il piccolo ciuco rimuginava ogni giorno maggiormente su quelle misteriose strade che parevano condurre in posti meravigliosi (perché l’ignoto, si sa, è sempre meraviglioso). Una notte il ciuco aveva sognato di addentrarsi da solo per la strada sconosciuta. Paura mista alla voglia di scoperta lo caricavano dell’adrenalina atta a fargli intraprendere questo gesto inconsulto. Inconsulto per gli altri. Ma non per lui. Lui sapeva che doveva farlo. A costo della sua stessa incolumità. Non importava cosa avrebbe trovato. L’importante era arrivare. Non fermarsi al solo desiderare; sperare di pensare di sapere cosa ci fosse. Ma sapere. La strada era scura ed i folti arbusti, i rami caducei degli alberi, limitavano la visione. Al ciuco sembrava di camminare da ore senza mai muoversi. Più si sforzava nel correre e meno riusciva ad andare avanti. Era come girare in una ruota da cavie. Un movimento statico. Una staticità mobile. Quella notte il ciuco si svegliò in un bagno di sudore (ed è un bel dire, visto che gli asini non hanno ghiandole sudoripare). Fu allora che prese una ferma decisione. Fu allora che si disse, fra sé e sé, “Domani partirai prima del tuo mentore ed esplorerai la prima, una delle tante biforcazioni agognate”. E così fece. Al mattino, l’asino anziano trovò un messaggio del ciuco, dicente della sua anticipata partenza. Visibilmente adirato, l’asino anziano pensò “Te la faccio vedere io, se non porti a termine tutto il lavoro prestabilito per la giornata di oggi.”. All’arrivo, sul posto di lavoro, non v’era traccia del ciuco. L’asino anziano, senza troppo scuotersi, si mise subito al lavoro. A metà giornata lavorativa, proprio poco prima della consona ora di intervallo, ecco presentarsi il ciuco. Stanco come non mai, il ciuco era allo stesso tempo agitato ed eccitato. Con la voce tremante si avvicinò all’asino anziano che, prima che il ciuco potesse aprire bocca, lo ammonì dicendo “Bravo! Hai fatto la tua bravata! Ora vai a lavorare, senza pausa, che hai molto da recuperare.”. Senza dire una parola, il ciuco si avviò verso ciò che lo aspettava. Aveva perso molto tempo. E sapeva che avrebbe dovuto portare a termine il lavoro prestabilito entro la giornata. Così, già affaticato dalla sua avventura all’interno del bosco inesplorato, si rimboccò le maniche (pur non portando maglie) e cominciò a darci sotto col lavoro. Ma l’intera giornata non gli bastò, tanto che dovette protrarre le attività fino a notte inoltrata, quando il sole era già calato da un pezzo e l’asino anziano aveva finito il suo lavoro avviandosi da solo verso casa, dove un piatto di buon brodo caldo lo attendeva. Quella sera, il ciuco tornò a casa spossato dalla dura giornata. Ma in cuor suo era appagato dall’avventura mattutina. E tanto era rimasto colpito da quel bosco che, appena finito il lavoro, avrebbe avuto la voglia irrefrenabile di tornarci al momento. Ma la stanchezza era veramente tanta. E, non di meno, teneva presente gli insegnamenti dell’asino anziano, pur contravvenendone, di tanto in tanto, nel caso non ne fosse appieno convinto. L’asino anziano, quando aveva iniziato il ciuco al mondo del lavoro, gli aveva insegnato che non va fatto tutto di fretta, ma gradualmente. “La fretta è cattiva consigliera.”. E, ancora “Pondera prima di agire.”. Così come per coltivare una pianta bisogna aspettare che germogli, prima di coglierne i frutti; così come bisogna lavorare la terra, prima di porre sotto di essa una piccola ghianda (cibo preferito dagli intelligenti quanto superbi maiali) che darà vita ad una robusta quercia. E non serve zappare velocemente. E non serve correre affannosamente. Perché, come le legna di un camino dal fuoco alto, le energie si consumano prima. Il ciuco rimembrava queste parole e ponderò, durante il lavoro duro, sul da farsi. E pensò bene di andare di corsa a riposarsi, seguendo i consigli dell’anziano (che ne aveva di cose da insegnare). Tornato a casa stramazzò sul letto e cadde in un sonno profondo, indenne alle risa dell’asino anziano che infieriva raccontando la mai prima di allora provata bontà di quella zuppa tanto meritata col duro lavoro. Il ciuco sognò. Sognò ancora. Sognò ancora del bosco. Questa volta la visione era più vivida. I sepali che disturbavano la vista ora erano più composti. Quasi piegati dal volere di scoperta dell’avventuriero. Ma il cammino era sempre difficile. Questa volta si parava dinanzi al ciuco un’insormontabile montagna, che mai prima di allora aveva visto emergere dal folto bosco. Come comparsa dal nulla. Il canto del gallo svegliò il ciuco. Che, tra l’altro, stava cercando invano di sormontare la grande gobba terrestre. Svegliatosi, con l’asino anziano ancora dormiente, il ciuco si avviò di nuovo in anticipo per esplorare un nuovo sentiero. E così fece. Ma questa volta arrivò solo con poche decine di minuti di ritardo. Ancora, come la volta precedente, avrebbe voluto fare partecipe l’asino anziano delle sue scoperte. Ma questo, come la precedente, lo ammonì spedendolo dritto al lavoro. Questa volta il ciuco era meno stanco della precedente. Aveva calcolato meglio i tempi. Era riuscito ad amministrare meglio la discesa nella coltre del bosco. Orientandosi con la luce del sole. Con il muschio sugli alberi. Facendo attenzione a tutti quei minimi particolari che tanto sembrano insignificanti ma che, al loro interno, nascondono più di quanto diano a dimostrare. Quella giornata lavorò felice. Aveva visto nuove cose. Cominciava a conoscere quel bosco che, fin da quando era piccolo, aveva sempre avuto dinanzi agli occhi. Fin da piccolo vi aveva addirittura transitato all’interno, ogni giorno (tranne la domenica, giorno in cui ci si riposa), per andare a lavoro. Eppure, fino a quel momento, mai ne aveva avuto percezione. Non l’aveva mai conosciuto. Come vedere un qualcosa in foto o in dipinto. Solo per poi scoprire che nel reale è diverso da quello visto nell’artifizio. Come un’immagine anamorfica, che rivela il suo aspetto solo a pochi. Quei pochi che riescono a rapportarsi con essa. Quei pochi che possono indirizzare gli altri a rapportarsi ad essa. Anche quella sera, il ciuco andò a dormire prestissimo, senza stare a ciarlare con l’asino anziano vicino al focolare come di consueto. Lo aspettava ancora una volta l’ignoto, l’indomani. Il ciuco ancora sognava del “suo” bosco. Stavolta aveva sognato di essere riuscito ad arrivare quasi in cima alla fantomatica montagna. Però c’era un qualcosa di strano. Di irreale. Seppure a pochi passi dal picco, il picco sembrava non voler farsi raggiungere. Sembrava come se ad ogni passo del ciuco la montagna si allungasse della stessa misura percorsa. Ed era inutile voltare lo sguardo in cerca di altro. In cerca di vedute panoramiche dall’alto del monte. L’unica cosa che gli occhi del ciuco coglievano era quel maledetto picco irraggiungibile. La manifestazione psichica fu interrotta dalla sveglia del ciuco, che, come il giorno precedente, si apprestava ad alzarsi in anticipo per esplorare ulteriormente il bosco. E grande fu lo stupore dell’asino anziano quando, arrivato sul posto di lavoro, trovò il ciuco già indaffarato con i compiti da svolgere ed avanti con le faccende rispetto ad esso. A vederlo lavorare così, felice e carico di energia come non mai, l’asino anziano ne risentiva. Ma era troppo orgoglioso per ammettere di essersi sbagliato fino ad allora. Inoltre si riservava sempre (come fa chiunque abbia una certa età) un certo scetticismo verso l’ignoto. Quel pomeriggio, prima che l’asino anziano avesse finito, il ciuco si incamminò verso la strada del ritorno. Ma questa volta percorse il sentiero contrario addentrandosi nei viottoli da poco discoperti. Calato il sole i due si ritrovarono a casa. Il ciuco, pur essendo arrivato prima (ormai conosceva abbastanza bene, seppure in minima parte, il bosco) aveva aspettato l’asino anziano per cenare. Anzi, aveva anche colto delle bacche mai viste prima di allora nel bosco. E ne aveva portate anche all’asino anziano che, però, le rifiutò. Gli disse “Non mi fido di questi frutti. Potrebbero essere velenosi. E non voglio certo star male per un tuo vezzo.” Il ciuco non badò più di tanto alle sue parole. Aveva visto degli uccellini mangiarle. Era sicuro che fossero buone. E, dopo la zuppa, le mangiò, e si andò a coricare. Quella notte i suoi sogni si trasformarono in incubi. Il bosco era più scuro del solito. Ma non scuro dell’ombreggiatura donata dagli alberi, che dona frescura anche nelle afose giornate di sole. Era il buio del cielo coperto. Coperto da minacciose nuvole nere. Nuvole nere che contrastano in modo ineccepibile con i fulmini che violentemente scaricano dal cielo sulla terra. Dall’aria alla terra, con il fuoco della pioggia. Animali che fuggivano da un qualcosa di sconosciuto (ma sconosciuto lo era, forse, solo al ciuco). Un lampo, con il tipico fragore del tuono che l’accompagna, si scagliò su di un albero proprio nei pressi del ciuco, facendolo saltare in una miriade di pezzi di legno ed appiccando un violento fuoco sul tizzone restante. Il ciuco, per fortuna, stava solo sognando. Ma il ritorno alla realtà fu non del tutto consolatorio. Il ciuco si svegliò con un mal di stomaco atroce. Le bacche colte nel meraviglioso bosco erano davvero velenose. O, meglio, non erano supportate dal suo organismo, perché non ancora abituato all’assimilazione di quelle sostanze. Un po’ come quando ci si ubriaca per la prima volta. L’asino anziano, sentendo i rantoli di dolore del povero ciuco, si svegliò. “Te l’avevo detto, che avevi torto! Ma tu non dai mai ascolto! Sei uno stolto!”. “Oddio…” pensò il ciuco “… io sto qui a soffrire e questo si mette pure a parlare in rima!”. Ma l’asino anziano voleva bene al piccolo ciuco e, con tanta pazienza, si alzò ed andò a cogliere nel giardino circostante la casa un’erba dagli effetti miracolosi che, in un attimo, face passare tutti i dolori al ciuco. Anche se ne uscì, da quell’esperienza, assai provato. Tanto provato da essere esonerato dal lavoro per qualche giorno. L’asino anziano, pur non capendo la caparbietà del ciuco e considerandolo troppo avventato in tutto ciò che faceva, provava un bene molto profondo per esso. Quindi decise di restare ogni giorno, finchè il ciuco non si fosse rimesso, un po’ più tempo sul posto di lavoro, per adempiere, in parte, anche ai doveri del piccolo compagno. Alla sera, in ritorno dal lavoro, l’asino anziano era stanco della dura giornata. Stanco come un mulo (i muli, considerati di un ceto sociale inferiore rispetto agli asini, venivano caricati molto più sul lavoro). Il ciuco, molto riconoscente di tutte le premure che l’asino anziano aveva per lui, al ritorno gli faceva trovare sempre degli ottimi pasti. L’asino anziano scherzava “Non ci avrai mica messo dentro quelle bacche o altri frutti velenosi?!”. Il ciuco era convinto che, a mangiarne poco alla volta, l’organismo vi si sarebbe abituato a quella cibaria così gustosa quanto velenosa. Ma non faceva partecipe di questi suoi pensieri l’asino anziano. Né, tanto meno, si permetteva di miscelarle, le bacche, alla zuppa. La sua morale non gli permetteva di indurre con l’inganno altri ad assumere ciò che lui credeva fosse giusto. L’aveva visto fare troppe volte. Si lamentava contro chi dava messaggi, nascosti da altro, al popolo. Non riusciva proprio a digerirla questa cosa; peggio delle bacche della sera prima. Quando l’asino anziano finiva di cenare, affaticato dalla pesante giornata, veniva “cullato” dal ciuco con le avventure che esso aveva vissuto all’interno del bosco (non ci è dato sapere cosa raccontasse il ciuco, perché le notizie riguardanti il bosco non ci sono pervenute). Forse perché stanco. Forse perché interessato. O, forse, solo per condividere qualcosa con il ciuco, l’asino anziano ascoltava ed ascoltava. Finchè non cadeva in un sonno profondo. Ed il ciuco, così preso dai suoi racconti, continuava e continuava ad esporre minuziosamente, nei minimi dettagli, tutto ciò che aveva visto. Con gli occhi lucidi dalla gioia di chi sa. Di chi conosce. Quella notte l’asino anziano sognò. Sognò le meraviglie che il ciuco gli aveva descritto. Che gli aveva descritto in modo così perfetto da fargli immaginare di esserci stato di persona, nel bosco. Ma i sogni, si sa, durano un istante. Ed era già giunta l’ora di tornare al lavoro. Era sabato. L’ultimo giorno prima del riposo domenicale. Ancora una volta, l’asino anziano, si trattenne di più sul posto di lavoro, per dare una mano, per quello che poteva, al ciuco. Ma, per quanto si fosse sforzato, non era riuscito a portare a termine il lavoro del suo compagno. Tornato a casa disse “Mi dispiace, ma il tuo lavoro è ancora incompleto. Se solo non facessi sempre di testa tua!”. Rispose il ciuco “Non preoccuparti. Domani, pur essendo domenica, andrò a lavorare, fin quando non avrò terminato il lavoro prestabilito.”. E così fece. Svegliatosi in anticipo (il lavoro da fare era tanto), il ciuco si incamminò verso il luogo di lavoro, senza destare l’asino anziano che tanto aveva faticato per lui nei giorni precedenti e che ora si stava godendo un meritato riposo. Anzi, gli aveva anche preparato una ricca colazione che avrebbe trovato al suo risveglio, come gesto di ringraziamento. Il ciuco arrivò in un baleno sul posto di lavoro (ormai sapeva orientarsi abbastanza bene nel bosco). Si diede molto da fare, quel giorno che vedeva solo lui impegnato nel lavoro, mentre gli altri oziavano nei loro giacigli o in giro per le strade. Inoltre, il lavoro non gravava più di tanto, ormai, su di esso. Visto che, in quel bosco, aveva trovato una ragione di vita e di interesse (perché, la vita, prima di tutto è interesse). La conoscenza, la voglia di conoscenza, gli faceva distogliere la mente dalla fatica, tanto che si concedette solo pochi minuti per la pausa pranzo. Calato il sole, il ciuco aveva finito prima del previsto il lavoro. Quella sera, però, decise di tornare dritto a casa, senza esplorare il bosco. Ora che era riuscito a mettere la pulce nell’orecchio, nei riguardi del bosco, all’asino anziano, aveva voglia di indurlo a seguire le sue avventure nel bosco, in modo da scoprire insieme quello che ancora c’era da vedere. E mostrargli ciò che gli aveva già raccontato nelle serate precedenti. Tornato a casa, tutto felice, grande fu il suo stupore nel non trovarvi nessuno. Eppure, l’asino anziano di rado abbandonava l’uscio dell’abitazione, se non per andare al lavoro. Anzi, era sicuro, il ciuco, che fossero ormai anni che esso non si recava in nessun altro luogo se non sul posto di lavoro. Ma il ciuco era tranquillo. Sapeva che l’asino anziano aveva tanta esperienza. Ed era un tipo assennato. Così pensò bene di cucinare qualcosa di buono da mangiare insieme al suo ritorno. Intanto che mesceva nel calderone gli ingredienti, gli venne in mente un’immagine. “E se, incuriosito dai miei discorsi, si fosse addentrato di notte, da solo, nel bosco?”. L’asino anziano era, si, prudente nelle sue scelte, ma il ciuco, essendo lui ancora giovane, aveva una reazione più veloce, istintiva, agli eventi. Sapeva dei pericoli che si celavano fra le ramaglie. E sapeva anche che l’asino anziano non se ne sarebbe avveduto di essi. Preso da questi pensieri, il ciuco corse dritto al bosco, lasciando tutto com’era in casa, comprese le vettovaglie che cocevano sul focolare. Addentratosi nel bosco cominciò a seguire le varie tracce lasciate dall’asino anziano: impronte, rami rotti, selva spostata. L’angoscia cresceva sempre più in lui, accortosi che l’asino anziano procedeva, all’interno dei viottoli, a tentoni, senza una premeditazione della strada da prendere. Di tanto in tanto pronunciava il suo nome, con una sorta di voce sperante nel ritrovare presto il suo amico e tornare insieme a casa a gustare la cena. Ma nulla. Nessuna risposta appariva all’udito del ciuco. Sempre più spaventato cominciò ad addentrarsi in sentieri allora mai esplorati nemmeno da lui. La tetra angoscia si trasformò in puro terrore nel vedere la carcassa dell’asino anziano in una pozza di sangue, privata degli organi interni. Schiere di rapaci notturni si accingevano a ripulirne i resti. Il ciuco, in preda al pianto, li scacciò e si coricò, piangente, sul corpo senza vita del compagno, vestendosi per la quasi interezza del suo sangue. Ma presto dovette rizzare i sensi. Un branco di lupi era ora tutto attorno a lui, accerchiandolo. Il ciuco, con voce tremante, disse “Vi prego. Vi Scongiuro. Non mangiate anche me”. Il capo branco si pronunciò “Non ti mangeremo. Per questa sera abbiamo già avuto la nostra razione. Anzi, eravamo venuti qui, sentendo il tuo pianto di dolore, per unirci al tuo cordoglio. Ma è la nostra natura. Senza cibarci di altri animali saremmo costretti alla morte. E, questo, ti assicuro, non ci riempie certo d’orgoglio.”. Il ciuco scappò via piangendo. Sulla strada del ritorno vide una grossa luce. Come un fuoco che ardeva all’interno del paese. Era la loro vecchia casa, ingoiata dalle fiamme del camino incustodito su cui coceva la cena che il ciuco stava preparando con tanto amore al suo compagno. Tutti i paesani erano attorno al rudere in fiamme. Appena videro arrivare il ciuco uno di loro disse “Eccolo. Ha appiccato fuoco alla casa ed ucciso l’asino anziano!”. Un altro “Guardatelo! E’ Pozzo di sangue!” ed un altro ancora “Ha voluto addentrarsi nel bosco maledetto ed è impazzito.”. Ed ancora, l’affermazione che più sconvolse il ciuco “Uccidiamolo, prima che ci pensi lui ad offrirci la stessa sorte!”. Il ciuco scappò via, inseguito dai suoi compaesani più spaventati di lui (o forse allo stesso modo, chi può dirlo). Non si sa se il ciuco sia riuscito a fuggire la collera degli esagitati rifugiandosi nel bosco, dove non sarebbero mai entrati gli inseguitori. O se sia stato giustiziato dalla folla inferocita. Come, del resto, non si sa nemmeno se questa storia sia reale.

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