Spesso accade che per certi insaziabili ed onnivori
ascoltatori di musica ad un certo punto scatti qualcosa,
dentro. Una spinta a passare dall’altra parte, a tentare
di farla, la musica.
L’intento razionale pare il piu' nobile: dare quel piccolo
contributo che, fra tanti modelli illustri, si pensa non sia
stato ancora dato (che scelleratezza il solo pensarlo, e
che insolenza ).
L’impulso irrazionale e' invece inspiegabile:
questa sete di creazione ti cattura, e devi darti alla musica.
Per me e' accaduto cosi', e purtroppo in eta' gia' avanzata:
gli ultimi anni del liceo mi vedono acquistare la mia chitarra
acustica; vado a lezione da un “luminare†dalla trentennale
esperienza, i risultati sono quasi disastrosi: passando
il tempo a cercar di comporre qualcosa con gli unici primi
tre o quattro accordi imparati, trascuro esercizi e solfeggio,
e a lezione sono sempre impreparato.
Presto lascio perdere e mi dedico a un auto-didattismo del
tutto subordinato alla “messa in musica†dei miei scritti.
Qualche tempo fa la rivelazione mi investe : capisco cosa
c’e' dietro la mia sete, la mia urgenza, o meglio la rivesto
di nuovo significato.
La nostra vita e' dominata dal “numero finitoâ€, le pagine
del nostro diario sono numerate e contengono esattamente
quel numero di albe che ci sorprenderanno svegli, cosi'
come quel preciso numero di volte che ameremo fisicamente
qualcuno, o che mangeremo il nostro piatto preferito, o che
ci guarderemo allo specchio, o che una persona cara ci
avra' stretto a se' prima di lasciarci per sempre.
Quel numero di volte, non una di piu'.
Che grossolano malinteso, l’ aver creduto per anni che si
stesse parlando di numeri infiniti, di sistemi aperti, di attese
di nuove cose destinate a non estinguersi mai e a
susseguirsi ancora e ancora.
Oggi so che non avrei niente da dire, e che forse non ci
sarebbe niente da dire e quindi nessuno scritto da mettere
in musica, se non fosse vera questa cosa del numero finito.