Metafora dolorosa dell’aggressione sistematica, spietata ed imperturbabile inflitta all’individuo - ed alla sua capacità reattiva - nell’era della war/raw e della violenza mediatica, roger mette in scena il malessere inconsolabile della condizione umana contemporanea, costretta ad un'impotenza lacerante senza scampo. Il primo uomo (o forse l’ultimo) del nostro mondo rinnova, nella ciclicità dell’esistenza, il dolore universale della Storia, pagandone lo strazio direttamente sul proprio corpo, trafitto da lame invisibili quanto affilate. Immagini di guerra e di morte - familiari come videogames - bombardano, mute e martellanti, il suo cervello, ininterrottamente sotto tiro del fucile mediatico. La solitudine è sconfinata. Lo spazio di manovra limitato ed angusto. La bocca vomita sangue, segno di rifiuto, nausea e malattia. In un luogo onirico, fuori dal tempo e dallo spazio, il condannato a morte tenta, in un gesto estremo, la sua ultima ribellione, principio di rinascita e ricerca. Ma da vittima si ritroverà inconsapevolmente carnefice, contribuendo a scrivere la Storia con il sangue, spettatore attivo di una ferocia che rende tutti - attori e pubblico inerme - corresponsabili. Il percorso è già segnato, non sono ammesse deviazioni. Ogni tentativo di rivolta è soppresso, ogni volontà di manifestare vana. Il dolore si materializza nelle ferite. Piedi e mani immobilizzate. Il condannato è pronto per l’esecuzione. "noi dobbiamo costruire un uomo che non soccomba alla degenarazione di questa nuova era. il giovane tedesco del futuro dovrà essere agile e slanciato, vivace come un levriero, corriaceo come il cuoio e, duro come l' acciaio di krupp"da un discorso di adolf hitler nel tempo in cui i sui generali nei lager torturavano e uccidevano con infamia milioni di ebrei. La trasposizione di un dolore di una madre che compiange il figlio morto; che da intimo e personale diventa collettivo in seguito all’ imposizione di un confronto posto con umiltà e naturalezza. I fedeli cercano convincimento, insistentemente, in preda ad una fede cieca. Una lunga tavola imbandita, impone il confronto tra violenza e religione, in un rapporto limpido, una silente intesa che racchiude dentro di se la storia del sangue dalle crociate al terrorismo contemporaneo. un perseverante gesto, violento, getta luce su uno scenario feroce, una trasposizione dell’ intimo umano materializzato in un corpo di gesso lasciato su un tavolo da macellaio. un spazio coinvolgente, ipnotico, uno scavare dentro di se attraverso la perdita dell’ orientamento. l’ estenuante ritmo dei colpi d’ ascia di un boia, mostrano l’ azione devastante, un feedback, ogni colpo una verità , un dolore, un continuo infliggere violenza gratuita che, rievoca, il ritmo del consumare per produrre, cavalcato dalla sporca politica degli interessi. abbiamo fallito, tutti, politici, manifestanti, forze dell’ ordine, black bloc, chi c’ era e chi no. del g8 di genova rimane il dolore, la paura, si acutiizza l’ impossibilità dell’ individuo, il movimento ne esce idealmente ferito, carlo giuliani che perde la vita non ne esce affatto. sangue e violenza sporcano tutto ciò che ha di meraviglioso il manifestare le proprie idee. le bastonate repressive inflitte al movimento concettualmente fanno più male di qualsiasi dolore fisico. apercezione tematica la piena agonia delirante di un corpo crocifisso, antrace, guerre biologiche,maschere antigas, paura dell’ ignoto, ansia. l’ umano si ritorce contro se stesso nel subbire l’ ennesima tortura mediatica. il corpo si trasforma in pensiero, in stato d’ animo, diventando simbolo di una malattia sociale “L’evoluzione ha generato specie umane differenti. Etica e società sono termini in disuso da tempo. Dai corpi morti si estraggono sogni…diventati merce preziosaâ€. Con questa didascalia si apre il cortometraggio Insògno, diretto da Pier Paolo Patti, girato e montato interamente in digitale il corto è un viaggio nell’incoscio di un essere umano. Un “sopravvissuto†ad un mondo-discarica dove i giorni sono illuminati esclusivamente dalla luce crepuscolare in attesa di una notte in cui non è consentito sognare. Non resta che rifugiarsi in un sonno indotto, in immagini sfocate in b/n, prodotte da una sostanza sintetizzata nelle “Dream Factoryâ€. Fabbriche/laboratori, come antri infernali, sviluppatesi nelle viscere delle vecchie città .