About Me
Flim
L'alchimista dell'indietronica
di Alessandro Biancalana
Il tedesco Enrico Wuttke, alias Flim, ha scritto alcune delle pagine più interessanti della musica degli ultimi anni, al crocevia tra elettronica, folk e pop. Un percorso culminato nel suo album migliore, "Helio". Ne ripercorriamo la carriera con questa monografia
Enrico Wuttke è un piccolo folletto, disperso e solitario. Nato nel 1971 a Muhlhausen, Germania, Enrico suona il piano già all'età di 7 anni. Continua a studiare arti raffinate, fino alla realizzazione della sua prima opera, attraverso una cassetta, prodotta in privato, nella sua dimora. Con il passare degli anni, nel 2001, riesce ad avere contatti con la Tomlab: è l'inizio di una collaborazione che porta ai primi due album. Esordio spiazzante con Given You Nothing (2003). Un ibrido intrigante tra dei Rachel's virati glitch e dei Matmos meno cervellotici. Il risultato è una manciata di canzoni dal sapore di tradizione e d'innovazione allo stesso tempo. A partire dalla partitura pianistica ammorbata da un drone ossessionante di "Hell" arrivando fino alla suite per glitch, organo e acusticità di ogni sorta di "Linker2". "April" satura i sensi uditivi con un marasma di suoni analogici. "My Czesko Guitar" lascia a bocca aperta per il suo piglio sbarazzino e scanzonato. Pare di sentire un gruppo di bambini un po' psichedelici giocare in prato su un pianeta alienante. Non lascia scampo alle definizioni. Sarebbe estremamente limitativo e sbagliato incanalare l'opera in un particolare filone. Siamo noi a doverlo scoprire e rimanerne ammaliati.
Passa nemmeno un anno e siamo già al successore, Helio (2004). Ambient-pop per una cameretta giocosa. Colonna sonora per una giornata solare e zuccherosa. Bozzetti dalla fragilità granitica. Un bel frappè in cui mettiamo dentro in parti uguali: Fridge, Mùm, Piano Magic, Bola, The Blood Group. Scuotete per bene il tutto e otterrete il cocktail delle vostre giornate autunnali. Una sequela di minimali quadretti dalla bellezza cristallina. Spumeggiante fantasia compositiva, luccicante saltellare del ritmo. "How I Trashed My Knees" ammalia con il suo loop di fisarmonica, disparati errori screziano un'andatura già di per se claudicante, un synth dalle sembianze aliene lacera e ricuce. Un piano, in sottofondo, propina note casuali, aleatorie, completamente avulse. Ossessionante rimbalzare di note. Timbri a mezz'aria. Percussione finta. Linee tastieristiche minimali. Atmosfera oscura e scabrosa. Tutto ciò è "Little Rodachè". Altra gemma scintillante è "Conversation", basata su una reiterazione malata e su alcuni fraseggi synth-etici. "Chime" è un capolavoro. Evoluzione sonora fuori da ogni limite di definizione. Dalla calma sorniona a ritmi marcianti. Organo, glitch, percussioni, noise. Una centrifuga di contrappunti. Catastrofe spaziale. Piccola suite in "Is That Me?". Uno xilofono ricama sinuosoidali disegni dai colori tenui, uno strumento a corda orna con calma pachidermica. Si passa da un maliconico drone di armonica in "New Living" all'indie-glitch-pop Mùm-style della title track. Trascorrono minuti preziosi ed emozionanti con la tenera "Snow Behind", prima di lasciarsi andare dalla movimentata "For Fred". Helio è un album per esseri timidi e innamorati.
Nel 2004 Flim produce un pezzo di Mark Robinson, nell'album "Babe Rainbow", dal nome "Stuttgart Please Please", un moderato andamento down-tempo con tentazioni synth-pop. Seguono apparizioni fugaci in due raccolte, la prima dal nome "Fork Ends" su Audio Dregs, con il pezzo "Donkey Trains" (sciabordare metallico e andamento claudicante); la seconda, dal nome "Many Things Worth Living For", con la composizione "Meet Me In C..", è una conferma del suo debordante estro compositivo.
Sbarchiamo nel 2005 e cade dal cielo un gioiello chiamato Holiday Diary . Diario d'una vacanza solitaria e straziante. Il solito afflato giocoso, sbarazzino, sconclusionato. Piccolissimi spartiti bambineschi per giornate minuscole e appartate. Un sapore digitale dolce e pacato, delicato quanto un fiore appena sbocciato, bagnato da una rugiada saporita. "Murmur Room" è il ripetersi del solito accordo di chitarra acustica, sottofondo composto da delicati synth spumosi, rumorini fragorosi, microscopici tocchi d'uno strumento misterioso. Astrazioni soniche per folletti alati, disegnati da colori sfavillanti, sapori gustosi. "Lime" è un claudicante bozzetto in cui confluisce uno spirito in disparte, tormentato da timbri scabrosi, irregolari, dilungati. Il piano dipinge un cielo oscuro, vari strumenti acustici dettagliano, con ciclico ripetersi, piccoli lampi di disturbante potenza. Accenni noise, delicate pause rilassanti, distese d'un paesaggio sconfinato. "Current Description" è una proto-ambient, screziata da disturbi rumorosi, drones sinuosi e sinuosoidali, striscianti e viscidi, schizofrenici e sfuggenti. Pace e pathos onirico. Note aleatorie per stanze scure. "Above Seagullis" approccia un piglio più ritmico. Un turbine percussionistico è stabile e prezioso, svolazzanti contrappunti di armonica, synth, piano, spasmi elettro(sonici) piccoli quanto un atomo. Tappeto sonoro per momenti solitari, davanti a un fuoco, la propria musica da conservare gelosamente. "Home" è un capolavoro. All'apparenza una semplice scalata pianistica, nei suoi angoli nasconde la genialità . La coda sonora del piano viene loop-ata creando un effetto disorientante, in cui le scale timbriche sbattono contro gli effetti ossessionanti d'una macchina architettata per destabilizzare. Bella da far male. "No Guitar Please" è un giochino emozionante. Un armonica suonata su una montagna sconfinata, contrappunti d'una fisarmonica saltellante, pause che rendono statico lo spazio circostante. Sorrisi e amore. Sospiri e palpiti. Una giornata leggermente nuvolosa, un prato bagnato da una pioggia dimenticata, un gruppo di arcani esseri lasciano al silenzio. Un'orgia di suoni distesi e rilassanti. "Ecstatic Brown" è la logica conclusione d'un (altra) opera scintillante. Venti d'un mondo sconosciuto, concreti tocchi d'un demone impazzito, sovente uno strumento a coda lascia rintocchi precisi, lo scorrere è lento e prolungato, progressivamente tutto si scioglie in un mare di dolcezza.
Poco dopo l'uscita di quest'ultimo il nostro instancabile gnometto indie-tronico registra un altro disco, Simple Pleasures (2005). Ed è ancora una mistica magia avvolgere le nostre menti. "Hell 3" è un viaggio tra spazi interminabili, senza una limitazione d'esplorazione. "Hard Boiling Paradise" riprende certe atmosfere del passato, centrifugando fantasia sbarazzina, genialità e sfrontatezza. "In Schlingen" ammalia, cattura, carpisce senza freni, "Bless You Kid" è un pezzo perfetto per una compilation della Morr Music, "A Mental State" è un oblio di colori sfavillanti. "Lantin 11" conclude in un continuo sfasciarsi d'un suono rimbombante. Nel complesso dei suoi quattro album è riuscito a creare un ibrido quasi inedito tra sensibilità classica e influenze digitali. Una incredibile capacità di fondere l'amore per i suoni tradizionali e un'innata curiosità per le nuove tecnologie.
Nell’arco del 2006, vengono rilasciati ben due titoli in cui Flim collabora. Le coordinate stilistiche precedentemente delineate vengono ora lasciate da parte per una cesellatura sonora più essenziale, strutturata con pochi suoni di piano o tastiere, e resa essenziale da un approccio ambient che prende animo dal Satie più astratto al Brian Eno più atmosferico. Una musica triste, solitaria, uccisa da un evento che solo le sue parole possono spiegare :â€Come poter giungere a patti con la realtà della perdita di un figlio? Ci sono momenti, nella vita, in cui le parole non possono far nulla per noi e cerchiamo conforto altrove. Possiamo trovare, fuori o dentro di noi, suoni e immagini così potenti da poter trascendere la morte e la disperazione. Per evitare di apparire patetici, dobbiamo trovare il giusto equilibrio tra speranza e frustrazioneâ€. Da questo racconto si può capire l’essenza delle sue due ultime prove, profondamente intrise di malinconia e speranza, allo stesso tempo capaci di incantare, far capire che il futuro non è poi così malvagio. Se Pola Music risulta estremamente frammentario e a tratti quasi amatoriale (“Picture 7â€, però, è esaltante) , Ohne Titel 1916 è una raccolta di fragorosi acquarelli che paiono frammenti di ricordi offuscati, piccoli schizzi fatti a mano e ripassati con il liquido delle lacrime. “Noch Haesslich†piazza note di piano casuali che paiono gocce di sofferenza, “Sirenen†si staglia fra morbidi suoni elettronici e squarci di atmosfera. E se “Warum Darum†si avvicina al silenzio con grande tatto, i docili suoni metallici di “Schellenengel†si posizionano a metà fra le vecchie abitudini indie-troniche e la nuova direzione intrapresa. Il resto dell’opera, materializza la tristezza con un dipinto stellare (“Ploeztilich Starrâ€), scaccia i terrori infondendo sicurezza con un finale composto da due composizioni cristalline: “Noch Weiblich†e “Organ Orangeâ€. Xilofoni e piano, nel primo episodio, solo organo, come si può intuire dal titolo, nel secondo (splendido) frangente.