strangedays

....2)In che termini pensi che la tua poesia/prosa sia legata a tematiche oscure, e cosa è veramente oscuro oggi, in un mondo che sembra aver già visto e provato tutto? Oscuro è concepibile in opposizione a chiaro; si può far un uso oscuro di qualsiasi tematica. Io scrivo di sadismo, autolesionismo, distruzione di sé e degli altri, oblio, follia, dolore, tecnologia, droghe, allucinazione, coazione a ripetere, suicidio, morte. Sono tematiche considerate oscure certo, ma per me oscuro è il modo con cui possono essere rivelate e non qualcosa di intrinseco alle cose. E' la cultura occidentale ad averle disegnate così. Per me oscuro è lo sguardo dell'artista. Oggi come sempre, è lo sguardo a determinare l'ideologia soggiacente alle descrizioni e alle varie articolazioni dei testi. Sono convinto che riuscirei a fare un uso perverso anche delle gioie quotidiane. Il problema è che non ne sono ispirato, sono così noiose (ride).3)Cosa ti ispira, a livello "spirituale", a scrivere, e a quali modelli letterari ti senti più legato? Mi ispira il corpo. Il corpo materico inteso come post-industriale ed organico, meta primaria degli stimoli, non più sottomesso alla coscienza eterea. Mi interessa la lotta dell’individuo contro, ma anche attraverso, la propria ricettività percettiva, la disgregazione dell’essere umano moderno, la sua frammentazione psichica quanto corporea. Mi ispira la contaminazione in ogni sua forma: il senso nasce dalle differenze, non si può concepire uno spazio se non in opposizione ad un altro. E quando due differenze appaiono fuse insieme, beh è in quel preciso punto che troviamo il contrasto plastico, quella sincope che costringe alla ristrutturazione delle coscienze e delle conoscenze. Di conseguenza posso affermare di non sentirmi legato a nessun particolare modello, se non al dolore per la creazione. Mi limiterò a citare tre poeti per il dolore (Dylan Thomas, Georg Trakl, Antonin Artaud) e tre scrittori per il corpo (i primi lavori di J.B Ballard, Henry Miller, Louis-Ferdinand Celine).5)Cosa vorresti raggiungere, tra qualche anno, tramite questo non facile dono letterario? Ti senti più artista maledetto o operaio della parola? Cosa vorrei raggiungere? Quanto basta per continuare a scrivere. Come Baudelaire non mi sento atto a nessun tipo di lavoro (ride). Adoro assaporare la sofferenza della creazione: partorire qualcosa di diverso dal livello piatto sopra il quale il mondo si dibatte e cresce. Vorrei essere letto, certo. Ma non è questo a muovere la mia arte: preferisco l'iniziazione alla comunicazione. Non mi sento né operaio né maledetto. Mi sento una collana d'asporto (proprio come il titolo che ho dato alla raccolta delle mie poesie): è l'energia interna che spinge a creare e quindi a seguire un certo percorso. Percorso che però è circolare (maledetto), perché la fine del processo di creazione è concludere, arginare quell'energia. Ma in modo temporaneo però. E' il momento estemporaneo in cui il continuo diventa discontinuo ed il discontinuo però, dopo poco, dopo un battito d'ali, torna ad essere continuo, incanalato in un nuovo processo creativo. Il dramma è l'infinito del processo, la gabbia di creare qualcosa di nuovo per sfuggire, ma poi si viene di nuovo intrappolati in ciò che abbiamo liberato ed il processo è ricorsivo e per questo sofferto. Anche perché creazione implica perfezione o almeno miglioramento (non lineare quanto qualitativo) ed il miglioramento è distaccamento di ulteriori parti dell'io ed approdi ad un io proiettato e diverso dal precedente. All'infinito. Senza sosta. Schiacci il pedale dell'acceleratore fregandotene del freno. Per questo ammiro il corpo: è in grado di dare pace, di placare la tempesta. Il suo ritmo di carica/scarica è più semplice, la sua memoria è più efficace anche se contiene meno dati. Forse proprio per questo. Efficacia è semplicità. E allora perché creare? E allora perché il ruolo della mente? Scrittura come diretta emanazione di fiotti di sangue. Conturbante e viziata. Oltre la sofferenza.