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img src="http://i215.photobucket.com/albums/cc2/gianlucapucci/pu cci0xm7-1.jpg" border="0" alt="Photo Sharing and Video Hosting at RECENSIONE DI ADRIANA FARANDA Un libro amaro, Parabola di un sogno. Dove la parabola dell’utopia anticipa e domina tragicamente la parabola dell’ascesa e del “riscatto” sociale. Un libro dove non ci sono buoni e cattivi, né morale, o coscienza. Una storia cinica alla Chabrol, con un finale americano e beffardo. Un libro in cui si può intravedere più di una metafora… la fine dell’utopia come dimensione filosofica, ovvero… il primato dei modelli i due figli… il nord e il sud, i privilegiati e i diseredati. Una storia maledetta, congegnata con ironia e intelligenza, che apre un desolante spaccato su alcuni aspetti della cultura dell’oggi. Solitudine e misoginia, in questo protagonista senza amore e senza rapporti, frustrato da un lavoro alienante e ripetitivo. Il dramma dell’emarginazione su cui si innesta quello dell’autoemarginazione… Nessun incontro, se non venato di disprezzo. Nessun dialogo, se non fugace – come quello con Fede. E anche qui gli enunciati una volta poetici dell’utopia sono già contraddetti e negati dalle scelte ormai in corso, dai sogni divenuti prosaici, dall’individualismo esasperato. Quasi un vestito, ormai, una danza piumata per attrarre l’unica donna che sfugge all’amore mercenario. L’utopia ha già fatto il suo giro di boa, la sua traiettoria declina inesorabilmente verso lo stagno del rancore e vi annega, corrosa dall’invidia, imprigionata nei legacci della misantropia. In un mondo in cui gli orizzonti si spingono verso l’infinito nel cosmo, frugando fino alle origini della vita e giocando con gli universi paralleli, gli orizzonti di Tommy recedono nel desiderio di una vita altrui. E poco importa che lui sia convinto che gli appartenga di diritto. Nessuna traccia di utopia, del desiderio di inventare l’inedito, degli orizzonti sconfinati. E la traiettoria di Tommy procede incontro al suo destino. L’incapacità di relazioni umane si fa progressivamente indifferenza alla vita. Nessun rapporto con il fratello ignaro, nessun tentativo di dialogo. Tommy è soltanto un occhio che lo spia, l’intento predatore e vendicativo, il giudizio già formulato. La convinzione di essere migliore. Un’altra metafora, forse involontaria? La musica, una volta sfera di sublimazione del non vissuto, si fa sottofondo, colonna sonora di quella nuova vita tanto agognata, in cui sfuma gradatamente la vecchia identità di Tommy. E l’assenza di qualsiasi morale riemerge nella conclusione del libro, dove il rifiuto della giustizia si tinge di codardia esistenziale, dove non è la coscienza che si affaccia ma i suoi stereotipi: ideologico e sociale. Dove le ragioni del tacere, che si ammantano della retorica del rifiuto della giustizia formale, cadono miserevolmente sotto il comando del giudizio sociale, con i suoi pregiudizi e i suoi tabù, con la sua scala dei valori: meglio, in fondo, essere uno che uccide prostitute… La parabola è conclusa, e l’orizzonte un’insignificante linea retta… Bravo, Wood! Non so quali fossero i tuoi intenti, ti conosco ancora troppo poco… ma hai scritto un gran libro. Non tanto sulla parabola di “un” sogno, ma sulla crisi dell’utopia nel nostro mondo…GIANLUCA "WOOD" PUCCI: PARABOLA DI UN SOGNO. (Sovera edizioni) Prefazione di STEFANO GAVIOLI: nella narrativa di Gianluca “Wood” Pucci si entra al ritmo di ballate rock, blues e jazz. In “Parabola di un sogno”, esordio letterario dell’autore, si raccontano le vicissitudini di un perdente, di un sognatore, di un rivoluzionario, di un idealista, di un insoddisfatto che non sa trovare la propria identità se non nella musica, nei libri, nelle discussioni, nell’utopia. Un personaggio che non sa ritagliarsi un proprio ruolo nella società. Una società nella quale, a parte quello della propria madre, non ha colto una stilla d’amore (anche la madre celava però un suo segreto). Il protagonista del romanzo vive una vita che non sente sua. E allora cerca il riscatto. Ma il suo riscatto non avviene attraverso la lotta, la competizione, il sacrificio, la perseveranza. No, il suo riscatto passa “necessariamente” attraverso il baratto. La sua vita al posto di un’altra vita. Questo è un libro che trasuda di solitudine, di rancore, di presunti torti subiti, d’efferatezza, di fabbrica, d’inquietudini, di mancanza d’amore, di sogni non raggiungibili…di sconfitta. “Sul momento più sublime la musica si fermava”. Sono le prime parole del romanzo dopo il testo della canzone di Springsteen. “Sul momento più sublime la musica si fermava”. Ed è proprio quello che succede al protagonista di questa vicenda. Nel momento in cui crede di aver raggiunto il suo obbiettivo ecco la tragedia, la beffa, il sogno infranto, la parabola del sogno. La scrittura del romanzo scorre sciolta e coinvolgente come il ritmo di una buona ballata rock. E come una buona ballata rock che si rispetti il finale della narrazione non può che essere la sconfitta. Wood, con leggerezza ed ironia e con una storia ben congegnata, ci fa entrare nel dramma di un ragazzo che si ribella alla sua condizione, alla società, al suo destino. Ma lo fa con metodi sciagurati. Con l’utopia appunto. Con la malsana idea di credere che la vita di qualcun altro sia migliore della propria. Nel credere che la sua vita sia stata derubata. Niente di più errato. Nessuno ha mai una vita facile. Nessuno può mettersi nei panni di un altro e non provarne le ferite. La vita in fin dei conti non ha mai un lieto fine… proprio come una buona ballata rock. P.S. Stefano Gavioli, mantovano, è uno degli scrittori emergenti più stimati dalla critica letteraria oggi in italia. Tra le sue opere è opportuno ricordare “Mantova nera” e “Intellettuale, single e proletario”. RECENSIONI: "Romanzo avvincente e ricco di colpi di scena" (Il Messaggero); "Le contradddizioni della modernità nell'esordio di Wood"(Il Tempo); "Sapore di utopia in un romanzo perfetto" (Il manifesto) "Un libro con il sapore del rock" (La provincia)