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Michaël, al secolo Michaël, nasce una notte di San Lorenzo di un anno non meglio definito in una città dell'Alta-Savoia.
Sbarcato in Italia dopo aver attraversato i ghiacciai del Monte Bianco coi genitori e le sorelline in gommone, si stabilisce nel paese-ghetto di Fénis, in periferia di Aosta, dove regna il più grande disturbo sociale che pervade in Valle d'Aosta: l'alcoolismo giovanile.
Michaël si adegua senza sforzo alle abitudini locali.
Alle elementari conosce un certo Stefano, chiamato Steppa già all'epoca per via della peluria facciale che fa somigliare i suoi delicati lineamenti ad una brulla pianura, con il quale (dopo averlo, a detta del suddetto Steppa, malmenato per un quadrimestre intero) stringerà una bella amicizia.
Gli anni passano, e Michaël inizia a stufarsi delle solite vedute (rappresentate principalmente da un grosso castello che copre tutta la vista) che il ghetto di Fénis può offrire.
Ma finalmente arrivano gli anni delle superiori, prima il liceo scientifico (che lascierà per conflitto con una dei docenti), poi l'istituto per ragionieri, dove conoscerà Davide, detto Ivory, che lo porterà sulla retta via musicale (e non), ed altre persone non meno importanti che hanno fatto il Michaël che nessuno conosce.
Ora Michaël languisce per le lande della fontina, dei palchetti, dello sport e della musica tradizionale combattendo a fianco di Ivory e di pochi altri guerrieri questi mali che rendono la Valle un posto inospitale per chi ha una mentalità più aperta.
La vera definizione di " rapper "
Per insulti, reclami, venditori porta a porta, testimoni di Geova, svendite di acqua ossigenata, Homer J. Simpson, regali, fumo, una pinta di birra gratis potete farmeli avere contattandomi a questo indirizzo: [email protected]
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LA FAVOLA DI NONNO DOC:
CAPPUCCETTO NERO
Cappuccetto Nero era una sgarzola di tredici anni che viveva ad Harlem con una mamma rompipalle. La mamma puliva i pavimenti da Ronnie, il locale chic per pescecani, dove si sniffava coca a tutto andare e gli spacciatori sudavano più dei camerieri. Bene, a fine serata la mamma di Cappuccetto puliva la moquette con l'aspiratutto e ci trovava dentro un bel mucchietto di coca e lo portava a casa. Dovete sapere che Cappuccetto aveva anche una nonna cieca, ex-sassofonista di jazz, che viveva da sola con un canarino, e tutti e due tiravano coca come mantici, la nonna addirittura se la sparava nel naso col sassofono, il canarino ci si infarinava dentro e poi cantavano assieme "I get a kick of you" e svegliavano tutto il palazzo. Ogni settimana Cappuccio Nero doveva attraversare tutta Harlem per portare la coca alla vecchia, se no quella dava di matto e andava a suonare il sax per strada col canarino che teneva il piattino in bocca (era un canarino robusto) finché qualcuno non le dava la dose se smetteva, perché la nonna con l'età era un po' rimbambita e suonava il sax sbagliato tenendo in bocca la parte grossa e non era un bel vedere.
Ma non divaghiamo. Una notte la mamma dice a Cappuccio: "Vai a portare la roba alla nonna, ma occhio a Lonesome Wolf, Lupo Solitario, che l'ho visto bazzicare da quelle parti". Lonesome è un ragazzo che spaccia di tutto, anche lamponi se c'è mercato, e ha una fedina penale che sembra l'elenco del telefono. Cappuccio Nero se ne va nella notte e non ha paura, perché e una piccola negretta di tredici anni, ma ha in tasta un serramanico che sembra una tavola da windsurf.
Ed ecco che alla 44a strada esce dal buio Lupo Solitario e le si piazza davanti e fa sfavillare le zanne nella notte e dice:
"Di', sorella, cosa porti in quel canestrino? Focaccine?"
"Perché non ti fai i cazzi tuoi, lupo," dice Cappuccio, e gli molla un tal calcio là dove dondola che Lonesome tira fuori dalla gola i tre litri di whisky e il pasticcio di maiale della colazione.
"Ehi, piccola," fa Lonesome, "pesti duro. Ma stai calma: non voglio fregarti la roba. Ho un business da proporti. Senti, facciamo fuori la vecchia, e ogni volta che ma' ti dà la roba, ce la teniamo noi. Io te la piazzo, facciamo a mezzo e quando abbiamo un po' di soldoni da parte, andiamo in Florida e apriamo un chiosco di frullati. Che ne dici?"
"Cazzo, Lonesome," disse Cappuccio, "c'hai na bella nuca. Non ti facevo così tosto. Ci sto."
Ed ecco che si presentano alla baracca della vecchia, che è lì in vestaglia sul letto che sbrodola corn-flakes dappertutto e si sta mangiando la sua pantofola spalmata di burro, più cieca che mai.
"Sono qua, nonnina," disse Cappuccio.
"Vaffanculo, Cappuccio," bercia la vecchia, "ti sei fermata a fare sbattipanza con qualche sifilico per strada, che arrivi solo adesso? Un altro po' e mi sniffavo del detersivo, dal gran che sono in down. Molla la neve, stronza."
Il lupo, che pure non frequentava delle duchesse, ci resta secco al fraseggio della nonna. Per di più il canarino gli caga in testa.
Allora il lupo si avvicina al letto della nonna con una sciarpa in mano per darle una tirata di collo.
"Sei tu, stronza?" dice la vecchia, allungando l'artiglio, "qua la roba. Ma... che puzza di piedi che fai."
"Ho camminato molto," dice il lupo, facendo la vocina da disco-music.
"sarà ," dice la vecchiaccia, tastandolo, "ma cosa cazzo sono queste due gran basette a spazzolone."
"E' l'ultima moda newyorkese, nonna," squittisce il lupo.
"Ah sì?" continua la megera, "e queste spalle qua dove le hai messe insieme?"
"Faccio un sacco di flessioni, nonna," dice il lupo, e si prepara a darle una bella strizzata.
"Ah sì?" dice la vecchia, "e questo cos'è un regalo?" E agguanta il lupo sempre lì dove dondola, e gli dà una bella tirata e Lonesome ulula come dieci ambulanze in processione.
Poi la nonna tira fuori una berta da sotto il cuscino, e inizia a sparare a mitraglia, il lupo ulula dal male, Cappuccio cerca di svignarsela con la roba ma il canarino le gnocca un occhio con una beccata, finché arriva un pulismano di ronda grosso che sembrano tre distributori di coca cola uno sull'altro. Dice:
"Che cazzo succede qua! Ci si sollazza?"
"Come no," dice Cappuccio, "e tu non vuoi tirare un po', pulone?"
Iniziano a sniffare come bracchi. Poco dopo arrivano due soggetti rasta in pigiama con una bottiglia di gin, e un casino di portoricani coi bidoni da suonare. La vecchia prende il sax e sta per suonare "Blue Moon" alla rovescia ma il rasta le versa dentro tutta la bottiglia di gin e la stende per qualche ora. Cappuccio Nero se li passa tutti uno per volta e poi c'è una gran scazzottata perché un portorico si è rimesso due volte nella fila e il poliziotto è così fatto ch si chiava anche la nonna dicendo sono sempre stato un suo fan signora Liz Taylor e nella confusione un portorico si fa uno spiedino col canarino e Cappuccio si incazza e fanno di nuovo a botte e arrivano altri dieci o dodici sconvolti e anche un bonzo, insomma alla mattina alle otto Cappuccio si presenta a casa proprio alla frutta con una faccia come un vampiro col collasso.
"E' questa l'ora di tornare a casa, troiaccia?" dice la mammina, "dove sei stata?"
E Cappuccio le racconta una favola.
Da "Terra!" di Stefano Benni