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About Me

Ruggero Andrioli nasce a Lecce il 21-11-1979, residente a Otranto. Si laurea nel 2006 in Scienze Politiche indirizzo Politico Sociale presso l’Università di Bologna con tesi in Antropologia Culturale dal titolo “Il griot tra musica e tradizione” con il Prof. Guido Giarelli. Durante la carriera universitaria si avvicina alla cultura africana attraverso numerosi stage con artisti di fama internazionale, tra i quali ricordiamo Mamady keita (Guinea), Bruno “Rose” Genero (Italia), Sourakhata Dioubate (Guinea), Lancei Dioubate (Guinea), Billy Nankouma Konate (Guinea) ed altri provenienti dal Burkina Faso, Senegal e Mali. Insieme all’associazione “Amitu” collabora nella realizzazione di stage ed eventi musicali riguardanti la tradizione e la musica dell’Africa dell’ovest, partecipa all’attivazione di corsi per bambini, nelle scuole dell’area modenese e bolognese, di promozione culturale sempre nell’ambito della cultura africana. Partecipa a numerosi spettacoli musicali, anche di livello internazionale, tra i quali la rassegna “Rototom-Sunsplash” nel 2005 ed ha collaborato, per tre anni, alla realizzazione di laboratori di percussioni per il “Fest Festival-Bologna Interculture Festival”. Ha collaborato con le scuole di danza tradizionale africana “Vecchio Son”(Bologna) e “Container Club” (Bologna) come percussionista e insegnante dei principi base della musica tradizionale dell’Africa dell’ovest, e con il gruppo “Africainpoi” di Modena con lo spettacolo “Vivendo” promosso dalla Provincia di Modena. Tra le altre esperienze formative ricordiamo alcune collaborazioni con la galleria d’arte “Stefano Forni” di Bologna con la quale ha realizzato allestimenti sia all’interno della galleria stessa che per la rassegna internazionale “Arte Fiera” di Bologna. Ultimamente ha completato un tirocinio formativo con l’Osservatorio delle Politiche Sociali presso la Provincia di Lecce, nel quale si è occupato della valutazione qualitativa dei progetti socio-assistenzialistici nell’ambito delle politiche familiari. Attualmente collabora con la Cooperativa sociale “Arcobaleno” di Lecce, partecipando a vari progetti locali e internazionali nell’ambito delle politiche giovanili.

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My Interests

La Baia dei Turchi, pochi chilometri a nord di Otranto, è uno dei pochi angoli di spiaggia rimasti incontaminati sul litorale adriatico salentino. E' una piccola insenatura di sabbia finissima circondata da una parete di roccia calcarea, che una fascia di macchia mediterranea selvaggia ha protetto dall'invasione del turismo di massa. Siamo nel punto più stretto del Canale d'Otranto... i venti di tramontana spazzano il mare e regalano un blu intenso e acqua cristallina. Ma la Baia non è solo un posto bellissimo, un piccolo angolo di paradiso... per moltissime persone, salentini e gente che viene da fuori e ama questo angolo di Salento, la Baia è un simbolo. Simbolo di un modo diverso di vivere il mare, la spiaggia, l'estate. Senza balli di gruppo, senza ombrelloni a pagamento, senza moto d'acqua. E' un posto dove si arriva dopo dieci minuti di camminata in una macchia mediterranea dove risuonano le cicale, e l'eco del mare... E' un posto dove i cellulari non prendono. Un posto dove la libertà di prendere il sole, di suonare i tamburi, di giocare a pallone, di portare i cani, non è limitata da cartelli minacciosi o da pretese di turisti isterici, ma solo dalla responsabilità e dal rispetto delle persone. E' un luogo che chi come me e come tanti amici frequenta da anni ama come se fosse proprio: prima di andare via, quando il sole cala dietro le rocce, si pulisce la spiaggia, si raccolgono le cicche, si spiega ai turisti che vanno via che qui nessuno è pagato per pulire tutti i giorni, ma serve l'impegno e il rispetto di tutti. Non c'è un bar dove comprare da bere... spesso capita che chi ha voglia di fare festa porti casse di birra per offrire a tutti, amici e ospiti sconosciuti. La Baia è un posto dove da sempre ci si sente parte di una comunità, una comunità civile, tollerante, ospitale. E' uno dei luoghi-simbolo che fanno la storia di un territorio e delle persone che lo abitano, o che ci passano anche solo per pochi giorni. Tutto questo sembra stia per essere distrutto... una tristezza infinita... Prego tutti, salentini e non, di fare il possibile... E' una causa piccola, ma importante. Grazie. Saluti cari.marco s.

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Primus - My Name is Mud
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Aggiungi al mio profilo | altri VideoDevo -- Satisfaction
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Music:

Air - Sexy Boy
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Heroes:

Le djeli moderneLe djeli n'est pas un mendiant, un quémandeur d'aumône et de charité sociale. Le djeli est un homme accompli avec une mission sociale propre et qui ne peut être exercée que par lui en raison de l'immensité de son savoir et de sa culture, de sa maîtrise de l'histoire et des hommes. Le djeli ne demandait jamais à son chef guerrier ni à son diatigui à manger ou à boire, ni à loger ou à s'habiller. La société connaît elle-même ses devoirs et ses obligations vis à vis du djeli, et lui apporte spontanément tout ce dont il peut avoir besoin, car la mission du djeli est permanente et spécifique, et sa fonction est bénévole, volontaire, volontariste et désintéressée. Mais depuis la fin des trocs, depuis que l'école des blancs a permis aux hommes de partager les mêmes valeurs intellectuelles, les barrières sociales ont été suffisamment éliminées pour laisser la place à une égalité parfaite entre les ethnies. Et depuis le djelya a perdu de sons sens, de sa valeur, et de sa fonction sociale. Le djeli est désormais celui qui crie plus qu'il ne parle, ce mendiant qui vit de la parole, qui essaie de broder l'histoire généalogique d'une famille sans rien connaître de son djatigui, sans savoir qui furent ses ancêtres et de ce qu'ils firent...Le djeli n'est plus ce nom de famille qui faisait frémir les hommes de par la puissance de son verbe, le djeli moderne, c'est le griot au sens français du terme et avec toute sa connotation péjorative. Aujourd'hui, tous ceux qui chantent ou qui jouent un instrument de musique sont considérés à tort comme des griots, mais il faut se départir de l'image de ce djeli des temps modernes qui arpente les rues en grand boubou brodé en quête de baptêmes ou de mariages pour chercher sa pitance. Le griot djeli au Mali reste et demeure un rempart, une forteresse que les vicissitudes du temps ne réussiront jamais à ébranler. Le djeli au Mali trouve sa bouée de sauvetage dans les racines de notre culture et c'est ce qui doit faire sa force avant tout.

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Partecipanti per progetto in Lituania

Progetto Euro - Med "Bazzar"   .. Dal 7 al 16 Aprile in Lituania   N° partecipanti: 4 + leader   Età: 17  27 anni   Paesi partecipanti: Lituania, Polonia, Giordania, Israe...
Posted by ruggero on Fri, 07 Mar 2008 11:10:00 PST

www.baiadeiturchi.ilcannocchiale.it................Save the Bay


Posted by ruggero on Thu, 10 May 2007 07:36:00 PST