APOLOGIA DELLA UBRIACATURA
di Jack London
Per intenderci bene, prima di fare la strada, bisogna che il lettore mi conosca interamente, sappia di chi e di che cosa voglio parlare e sia disposto ad ascoltarmi con simpatia e benevolenza. Avanti a tutto: sono un uomo normale e, benché abbia bevuto sempre e tanto, non ho alcuna disposizione fisica innata per gli alcolici. Non sono né stupido né depravato, eppure conosco fin nei particolari e nelle minime sfumature l'arte del bere;bevo con discernimento e quindi non mi capita mai di dover essere messo a letto né di barcollare. Sono, in breve, sotto tutti gli aspetti, una persona normale, e appunto gli effetti dell'alcol su bevitori normali io voglio descrivere, senza preocuparmi affatto dell'infinitesimamente piccola minoranza degli alcolizzati.
Vorrei dividere i bevitori in due categorie. Una è quella cui appartiene l'ubriacone classico dei giornali umoristici: quello che cammina traballando, a gambe larghe, e finisce spesso per terra. Questi è generalmente uno stupido senza fantasia, uno che, all'apice della sua estasi bacchica, comincia a vedere sorci azzurri ed elefanti rosa. L'altra, invece, di cui anch'io faccio parte, è rappresentata dal beone intelligente, ricco di fantasia. Egli ha sempre perfetta padronanza di sé anche quando è veramente brillo;cammina senza tentennamenti e sa esattamente ciò che fa e dove si trova. Il suo cervello è ebbro, il suo corpo no. Diventa più spiritoso, espansivo, o s'imbarca in brillanti discussioni filosofiche e infila sillogismi con la più grande disinvoltura, oppure, ed è appunto in queste condizioni che John Barleycorn lo domina più implacabilmente, gli ideali più belli e più cari, tutte le visioni più ottimistiche gli appaiono quali veramente sono: illusioni. Egli sente come non mai il peso del gioco della brutale necessità della vita, che gli opprime l'anima.
E' molto facile ubriacarsi fino a perdere interamente coscienza di se, ma è terribile ammettere di fronte a se stessi, freddamente, che in tutto l'universo non c'è via di salvezza, non c'è libertà se non nella morte. E' questa l'ora della logica inesorabile ( e ne riparleremo), in cui ci si rende conto che solo le leggi della vita si potranno forse conoscere, le loro ragione, mai. Questa é l'ora di maggior pericolo, è il primo passo sulla via che conduce alla morte. Tutto sembra chiaro; le meravigliose favole sull'immortalità dell'anima non sono che fantasie di esseri terrorizzati per paura della morte e afflitti dal maledettissimo dono della fantasia, gente che non ha l'istinto della morte, che manca della forza di volontà sufficiente per morire quando è il momento. Essi cercano di persuadersi che vinceranno la partita e che avranno, solo loro, una esistenza futura, mentre gli altri animali troveranno la fine nella decomposizione della tomba o tra le fiamme del forno crematorio. Ma lui, l'ubriaco cosciente, no. Lui è certo che questo non è che illusione, trucco. La morte è uguale per tutti, non vi è nulla di nuovo sotto il sole, nemmeno l'immortalità del anima, mito tanto caro agli spiriti deboli. Questo lui lo sa, dritto in piedi, col bicchiere in mano. Sa di essere composto di carne e vino e spuma, di raggi di sole e di polvere terrestre, macchina fragile fatta per turbinare un attimo, essere aggiustata da teologi e scienziati e poi buttata in un angolo insieme ad altri rifiuti.
Naturalmente tutto questo è frutto del disgusto dell'anima, della nausea di vivere. Questo è il tributo che l'uomo intelligente deve pagare per essere amico di John Barleycorn.
Lo stupido, invece, paga molto meno: egli beve fino all'abrutimento, dorme poi pesantemente senza sognare o, tutt'al più, immaginando fantasie vaghe, senza rilievo. Ma all'uomo intelligente John Barleycorn impone macabri ragionamenti della logica inesorabile, e questi considera la vita dal punto di vista di un filosofo tedesco pessimista. Non ha più illusioni, è al di sopra di tutti i valori comunemente riconosciuti: il bene è male, la verità è menzogna e la vita è uno scherzo. Dall'alto della sua pazzia considera, con la sicurezza di un Dio, tutta la vita una male. Nella luce bianca, abbagliante, della sua logica folle, mogli, figli, amici gli appaiono finzioni, frodi. Egli penetra nel loro interno e non vede altro che la loro debolezza, la grettezza, la meschinità compassionevole; li vede, li conosce interamente; essi non lo ingannano più, non solo altro che miserevoli piccoli egoismi, come tutti gli altri esseri umani, che conducono la loro breve esistenza turbinosa di falene che vivono un'ora soltanto.
Dov'è la loro libertà ? Fantocci del Destino, tutti, come lui, è vero; ma c'è una differenza: lui se ne rende conto di esserlo, lo sa, e sa che c'è una sola liberazione, il suicidio.
In realtà tutto questo amaro scetticismo è letale per un individuo fatto per la vita e per l'amore. Eppure è il prezzo che John Barleycorn esige: il cammino incontro alla morte prematura; sarà in un attimo di violenza o dopo lunghi anni di lenta consunzione, ma la fine verrà , inesorabile, nessuno dei suoi discepoli può sfuggire al giusto, meritato pagamento del conto.
Jack London (da Ricordi di un bevitore)
NdR: John Barleycorn è il personaggio della tradizione popolare americana che incarna l'alcol.
Music:
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E' stata soltanto una breve avventura, di certo lo sapevi. Qualcuno è stato ferito tanto tempo fa. Tutto si ripete, e il tempo è alla fine. Un giorno sei venuta, un giorno te ne andrai. Qualcuno è morto tanto tempo fa. Qualcuno che ci ha provato, ma non ce l'ha fatta.
C.Pavese
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