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Umberto Lenzi

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Probabilmente Lenzi (unitamente a D’Amato e a Fulci) è il regista che meglio ha saputo interpretare la frase "l’arte di sapersi arrangiare". Non esiste genere cinematografico che non abbia abbracciato, con la passione e l’energia che contraddistingue chi ama quest’arte. L’avventuroso, le spy stories, lo storico ed il peplum, lo spaghetti-western, il giallo, il "poliziottesco", la commedia, il cannibalico e l’horror, war-movies, fantasy e "rambeschi". Il bagaglio tecnico del regista toscano è sorprendentemente ricco di titoli per tutti i gusti, per tutte le esigenze, spesso minime. Sì, perché lo spettatore, di fronte ad un titolo di Lenzi, non esige la visione di un capolavoro, ma un sano e svagato divertimento, condito spesso da generose dosi splatter e gore presenti in molte delle sue pellicole. Umberto Lenzi è nato nel 1931 a Massa Marittima, in provincia di Grosseto. Entra nel mondo della celluloide dopo il diploma acquisito in regia. Inizia la sua gavetta come critico cinematografico e poi come aiuto regista; quindi partecipa alla stesura di diverse sceneggiature di film avventurosi, prima di passare dietro alla macchina da presa nel 1961 con l’esordio "Le Avventure di Mary Read". Seguono alcuni avventurosi in stile salgariano, come "Sandokan, la Tigre di Mompracem" e "I Pirati Della Malesia", e cappa e spada del tipo "Zorro Contro Maciste", "Il Trionfo di Robin Hood" e "L’Invincibile Cavaliere Mascherato". Segue il suo periodo giallo/thriller, che vive il suo momento d’oro tra la fine dei 60 e l’inizio dei 70. Troviamo le prime tracce di splatter in pellicole come "Sette Orchidee Macchiate di Rosso", "Paranoia", "Spasmo" o in polizieschi dal titolo "Milano Odia: la Polizia Non Può Sparare", "Roma A Mano Armata", "Napoli Violenta". Nel 1972 gira quello che viene definito il capostipite del genere cannibalico nel nostro paese: Il Paese Del Sesso Selvaggio, che apre i battenti ad un filone abbastanza prolifico. La pellicola non presenta scene particolarmente splatter, ma non mancano riferimenti presi in prestito successivamente da altri registi come Deodato o D’Amato. Narra la storia di un uomo che, per fuggire alla legge, si rifugia nella foresta thailandese. Viene fatto prigioniero da una tribù di selvaggi e costretto a vivere alla stregua di un animale, secondo crudeli rituali. Ma alla fine viene accettato come membro del villaggio e troverà l’amore nella figlia del capo tribù. Insieme lotteranno contro le angherie dell’uomo occidentale, che tenta di imporre la propria legge ai danni del "selvaggio". Saltano evidenti all’occhio analogie con una pellicola americana in stile western, "Un Uomo Chiamato Cavallo", dove le vicissitudini del protagonista sono pressochè identiche, fatta eccezione per l’ambientazione (il selvaggio west contro l’inesplorata giungla subtropicale). Buona parte della filosofia del copione verrà ripresa, qualche anno dopo, da Ruggero Deodato per il suo primo cannibalico Ultimo Mondo Cannibale. Da segnalare anche la prima apparizione della bella attrice thailandese Me Me Lay, protagonista indiscussa del genere. Nel 1980 gira un altro film cannibalico, Mangiati Vivi, che sfrutta il successo ed il clamore suscitato dal collega Deodato col suo Cannibal Holocaust. La storia si rifà ad un episodio di cronaca vera accaduto in Guyana, dove il reverendo Jones convinse al suicidio centinaia di adepti appartenenti alla sua setta pseudo religiosa. Una donna (Janet Agren) va alla ricerca della sorella, scomparsa nel sud-est asiatico ormai da diversi mesi. Con l’aiuto di un ex-marine, incontrerà una comunità immersa nella foresta e guidata da un "santone" dagli ideali piuttosto estremi; è lì che troverà la sorella, convinta a rimanere tra gli adepti con metodi non proprio ortodossi. Il tutto è condito dalla presenza di una tribù di cannibali, acerrimi rivali del santone, che fanno da gustoso contorno. La storia è interessante, con la presenza di attori di un certo richiamo (Agren, Rassimov, Senatore); anche gli effetti speciali colpiscono per la particolare crudeltà dei dettagli. Nello stesso anno esordisce nel mondo dell’horror vero e proprio con uno zombi-movie atipico dal titolo Incubo Sulla Città Contaminata. Una fuga di gas radioattivo contagia alcune persone che lavorano presso un’industria chimica; assalite da una furia omicida, iniziano ad uccidere chiunque capiti a tiro, i quali verranno a loro volta contagiati e si uniranno al prelibato banchetto. Il panico si diffonde per tutta la città, ma la sorpresa finale è enorme quando il protagonista si rende conto che il confine tra sogno e realtà è piuttosto flebile. Gli effetti speciali sono di discreta fattura (in qualche caso un pò grossolani, a dir la verità) e gli stessi morti viventi ricordano maggiormente quelli visti nel recente 28 Giorni Dopo, piuttosto che gli zombi di Romero. Non sono affatto degli inutili e lenti automi, che si muovono meccanicamente e con lentezza esasperante, ma corrono e agiscono intelligentemente: guidano mezzi di trasporto, utilizzano oggetti come arma per colpire, etc. È del 1981 il suo terzo cannibal-movie: Cannibal Ferox, che narra di una spedizione messa in piedi da una studiosa di antropologia per verificare la presenza di tribù antropofagiche. Non cambiano gli archetipi del genere, per un film che presenta ottime scene gore di cui un paio da cineteca degli orrori. Nel cast troviamo l’immancabile Giovanni Lombardo Radice, uno degli attori principali del periodo d’oro del cinema di genere nostrano. Trascorrono sei anni prima che diriga il suo secondo horror non cannibalico, che fin dal titolo s’intuisce voler sfruttare il fenomeno delle case indemoniate: La Casa 3 (Ghosthouse). Ad essere onesti, i collegamenti con i film di Raimi sono limitati al titolo, perché la storia ricorda molto più da vicino "La Casa Di Mary". Come nel titolo di Roberson, il fantasma di una bambina si presenta per tormentare chiunque entri nella magione. Tutto è nato da uno strano messaggio di aiuto captato da un radioamatore; la sorgente pare essere proprio quella casa immersa nel verde del New England . Un film onesto e senza tanti orpelli, il cui difetto principale è la mancanza di un’interpretazione convincente da parte dei giovani attori protagonisti. L’anno seguente inizia la sua collaborazione con la "Berlusconiana" Reteitalia, per la quale produce altre due ghosthouse story per la tv dal titolo "La Casa Del Sortilegio" e "La Casa Delle Anime Erranti". Nel progetto fu coinvolto anche Lucio Fulci con altrettante pellicole, anche se il tutto sfumò in un nulla di fatto a causa dell’eccessiva violenza di alcune sequenze (in tal modo si giustificò la produzione appartenente al gruppo Fininvest). Per questo motivo le bobine rimasero sepolte sotto dita di polvere in qualche fondo di magazzino, prima di vedere la luce in videocassetta per merito di un’operazione di recupero e restauro da parte della Shendene & Moizzi. In entrambi i casi si tratta di onesti lavori, senza troppe pretese e con effetti speciali discreti, anche se non numerosi. Il secondo titolo ha qualche rimando al ben più famoso Shining di Stanley Kubrick, soprattutto per l’ambientazione della storia (un hotel sperduto tra le montagne valtellinesi) e per la catena di delitti che l’hanno funestato. È del 1988 una pellicola firmata Harry Kirckpatrick (uno degli pseudonimi utilizzati da Umberto Lenzi), cioè "Nightmare Beach". In una cittadina di mare, un feroce assassino fa strage tra i giovani turisti, indossando una tuta ed un casco da motociclista. Alla fine scopriremo trattarsi di un insospettabile membro della comunità. È un thriller senza eccessive idee, con una sceneggiatura anonima ed un risultato finale decisamente scadente, che il regista toscano ha disconosciuto per via di alcuni disaccordi col produttore americano sulla resa finale del progetto. Per tale motivo si è deciso di inserire nei credits il nome di Kirckpatrick, onde evitare ulteriori problemi sul nome regista toscano. Nel 1989 sforna "Le Porte Dell’Inferno" (Hell’s Gate), film poco stimolante e forse il meno "sanguinolento" della sua carriera nel mondo delle tenebre. Uno speleologo tenta di battere il record mondiale di permanenza sotterranea, ma alcuni episodi poco chiari ne interrompono la prova. Si tratta degli spiriti di alcuni monaci eretici, tornati in vita per portare a termine il loro compito. Da ricordare solo per la presenza di due bravi attori come Giacomo Rossi Stuart e Barbara Cupisti, entrambi legati da una sceneggiatura colabrodo (a firma della moglie di Lenzi, Olga Pehar) che ne riduce le potenzialità. Nello stesso anno gira "Paura Nel Buio" sotto lo pseudonimo di Humphrey Humbert, una sorta di sequel non riconosciuto di "The Hitcher" (all’estero è stato trasmesso col titolo "Hitcher in the Dark"). Girato nello stato della Virginia con cast americano, è la storia di un pazzo che va in giro col suo camper uccidendo ignari autostoppisti. Prodotto dalla Filmirage di D’Amato, non aggiunge nulla di concreto al genere psycho-killer; a parte ciò, si lascia guardare senza annoiare eccessivamente. Tra gli attori, da sottolineare la presenza di una giovane Josie Bisset che farà parte dello staff artistico di "Melrose Place". Sul resto del cast è meglio stendere un pietoso velo. Con Demoni 3 tenta di restituire vigore alla serie diretta in precedenza da Lamberto Bava, trasferendo gli indemoniati nelle equatoriali atmosfere brasiliane in mezzo a riti voodoo e macumbe. Un ragazzo americano assiste ad un autentico rito magico e ne registra su nastro le musiche. In seguito a qualche strano sortilegio, si reca in un piccolo cimitero e, tramite la cerimonia registrata, riporta in vita alcuni schiavi di colore (morti a causa delle torture subite dal loro padrone), che intendono vendicarsi sui discendenti del loro carnefice. Alcune buone scene splatter, qualche momento di discreta tensione, ma poco altro riesce ad attrarre in questa pellicola. Con questo film si conclude in pratica la carriera nel mondo dell’horror del regista toscano; girerà un altro paio di film sul genere avventuroso, per poi inesorabilmente portarsi dietro le quinte e lasciar spazio alle nuove (fasulle) leve di registi ambiziosi. Nonostante la spesso scadente sceneggiatura e la debolezza delle recitazioni, si è avvalso anche di attori di un certo calibro; gli effetti speciali erano semplici, ma molto efficaci e divertenti. È grazie anche al suo apporto se il cinema italiano è riuscito a farsi strada nei mercati europei ed americani, prima di sparire nel mare dell’anonimato e dell’indifferenza di produttori e distributori.