Se potessi liberarmi del disgusto che mi assale quando avverto dei rumori, e della rabbia che a questo disgusto si oppone! Penso ai rumori dell'infanzia, che mi facevano esplodere la testa: i rumori di deglutizione del capofamiglia, quando beveva, e lo schiocco mediante il quale allontanava di scatto le labbra dai denti; l'ottuso battito dei denti serrati, persino quando scodellava la minestra; la sua tosse da fumatore, al gabinetto, nella fredda umidità del mattino; o quell'eterna tosserella del vicino di casa, esibita ovunque lo si incontrasse, benchè i suoi stessi figli avessero minacciato di picchiarlo se essa non fosse sparita (e tossisce ancora oggi) - tutti questi rumori, lo starnuto-urlo di mia madre che perforava l'intero paese, lo smorfioso starnuto felino di mia zia (rispetto al quale mia madre poteva ben dirsi soddisfatta del suo), il modo in cui il nonno si soffiava il naso giocando a carte, quel generale grattarsi ogni parte del corpo, il tichettio del tagliarsi le unghie in camera da pranzo, quel ruttare in ogni dove, il singhiozzo di mia madre (così frequente che ne piangeva), i peti, in pubblico, di mio padre, quel misto di dialetto berlinese e carinzio (di qui la mia avversione verso ogni dialetto), ma, a parte tutto, la sua voce, priva di vigore e convinzione, una voce per così dire vigliacca in ogni circostanza (così mi pareva allora, almeno, nell'odio che provavo), perfino quando urlava, smaniava ed era ubriaco, il gorgoglio dell'alcool puzzolente mentre scendeva nei bicchieri o direttamente nei gargarozzi, laddove questi ultimi rimanevano rigidi, senza neanche contrarsi per ingoiare, il respiro affannoso delle vecchie signore a pranzo: la conosco, la storia, sarebbero possibili varie spiegazioni - e ciononostante talvolta balzo su nella notte pieno di rabbia, voglia di urlare, voglia di battere la testa contro il muro, come quando mia figlia nel sonno ingoia un po' di saliva: miseria.
(P.Handke, Il peso del mondo, p.24-25, trad. Raoul Precht)
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