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“Terra e popoli†è un Associazione ONLUS, nata dall’incontro tra alcune esperienze compiute in Tanzania ed in Perù da un gruppo di ragazzi ragusani. Scopi statutari sono la tutela ambientale, la promozione dell’istruzione universale e la tutela dei diritti civili. Tutte e tre le finalità dell’associazione mirano a favorire il crescere della solidarietà nella società civile obiettivo questo funzionale alla realizzazione di un mondo più equo.
Beneficiari compartecipi delle attività promosse da “Terra e popoli†sono e saranno il popolo indigeno Yanesha dell'amazzonia del Perù, le comunità rurali della Tanzania, le comunità immigrate e la comunità nazionale.
I concetti di terra e di popolo, infatti, sono intesi come ricerca e conservazione dell’identità umana a fronte dei processi di alienazione e occidentalizzazione che negli ultimi decenni stanno investendo l’intera comunità planetaria. I principi ai quali l’associazione si ispira sono strumentali ad un cambiamento che trovi nel dialogo, nell’integrazione e nell’equità la propria ragione, e partendo proprio dalle circostanze più prossime ci si prefigge una rivalutazione della persona e dello sviluppo al fine di slegare entrambi da quei concetti che, lungo una sequenza causa-effetto, pongono le nostre società in condizione di subordinazione rispetto alle esigenze del profitto. L’Associazione, dunque, nasce dalla lettura della realtà , quella realtà che spesso sfugge ai “più†perché veicolata in funzione degli interessi dei “menoâ€. Benché piccola, “Terra e popoli†si pone un grande obiettivo: spostare qualcosa, qualsiasi cosa, nella direzione giusta.
La prima iniziativa che vogliamo proporre è la partecipazione al progetto " Turismo Responsabile con gli Yanesha - 2008 " che prevede la realizzazione di due spedizioni pilota di turismo responsabile, durante il mese di Agosto e Settembre, presso le comunità native Yanesha dell' amazzonia centrale del Perù.
Inoltre, sulla base delle nostre esperienze, e limitatamente alle nostre possibilità , stiamo elaborando un programma di supporto al settore educativo in Tanzania che speriamo di poter avviare nel 2009. Anche in questo caso saranno previste esperienze di solidarietà da compiere in Tanzania, uno dei più suggestivi paesi africani, durante le quali speriamo di riuscire a coinvolgere quanta più gente è possibile.
“Terra e popoli†si propone di ampliare costantemente la base associativa col fine di costituire un gruppo di persone motivate e propositive che possano attivamente contribuire alle attività e al perseguimento degli scopi statutari.
C’è tanto da fare, e questa è una fortuna. Chiediamo a quanti siano interessati a condividere questa esperienza con noi di venire a conoscere la nostra associazione.
Infine, il settore nazionale è quello per il quale speriamo possa realizzarsi una sintesi di tutto quanto ci proponiamo di compiere all’estero. Crediamo fermamente nell’essere umano e nelle potenzialità che è capace di esprimere. Riteniamo che le comunità immigrate e quella nazionale debbano realizzare un percorso di reciproca integrazione, superando incomprensioni preconcette e veicolate dai mezzi di informazione________________________________Diamo spazio ai nostri pensieri- Testimonianze dei volontari di Associazione Terra e Popoli OnlusDavide, Valentina ed Alessandro raccontano la loro esperienza al rientro dalla spedizione“Progettiamo la Scuola†compiuta in Tanzania tra ottobre e dicembre 2008.Valentina, Davide, Alessandro e NgindoCosa resta del mio viaggio
Di Davide Tumino-In Africa gli eventi diventano tali perché qualcuno li racconta. Uno di questi è
rappresentato dal pianto dello njala likoko, invisibile uccello dal nome swahili
significativo di un tempo ciclico, dettato con disarmante puntualità tra il consueto vivere quotidiano. Il termine njlala contrae la locuzione nja ni hatari, “la fame è pericolosaâ€, espressione sintetizzata dal chiaro cantare del likoko nella sua intenzione di avvertire il villaggio dell’imminente arrivo della prima, benedetta, pioggia. Lo njala likoko canta in ottobre, per un mese, e non accetta scuse. Canta ai fannulloni ed ai volenterosi, il richiamo è all’impegno verso quanto servirà a preservare la fame da ogni pericolo almeno per un anno ancora.
Da quell’ottobre in cui partimmo sono passati tre mesi ed il rientro è sempre periodo di riflessioni. E’ difficile raccontare un’esperienza così intensa quale è l’Africa, spiegare le sensazioni che un viaggio di questo tipo è in grado di trasmetterti. Le nostre ragioni erano nella voglia di imparare, assaporare con tutti i nostri sensi. La nostra esperienza l’abbiamo vista crescere con noi, giorno dopo giorno. Giorno dopo giorno abbiamo imparato da pochissimo. Sono contento per quello che è stato fatto, ringrazio mille volte Alessandro e
Valentina, miei compagni d’avventura, e tutte le persone che ci hanno accolto ed aiutato e senza le quali nulla di quanto è stato elaborato avrebbe un senso. Stare tra la gente, cavalcare un motorino sgangherato per spostarci tra i villaggi, girare per le scuole, incontrare i bambini con i loro maestri e genitori, mangiare il cibo locale con i nostri vicini ed amici, affrontare la fatica lontani dalle nostre comodità (e vivendo a cento metri
dal primo pozzo d’acqua) così come tutti gli altri esempi di quotidiano, non rappresenta soltanto il contorno del nostro viaggio. Tutto ciò confluisce in quello che è il senso del nostro impegno e la visione che Terra e Popoli ha della solidarietà : una solidarietà condivisa davvero, capace di ascoltare e riconoscere dignità a chi ne diviene beneficiario. Una solidarietà in grado di avere fiducia in se stessa, consapevole del ritorno che tutti avremo impegnandoci nella costruzione di esempi positivi. Al rientro dal mio ennesimo viaggio in Tanzania mi rendo conto sempre più di come la solidarietà non è e non può più essere soltanto un sentimento positivo od una causa affidata a pochi. La solidarietà è una questione fondamentale, un’esigenza che oggi più che mai investe ognuno di noi, un nuovo
approccio alla vita, un’onda da cavalcare prima che sia troppo tardi. Solidarietà vuol dire stare insieme per obiettivi comuni, abbattere i muri dell’indifferenza, sciogliere il silenzio. Proviamo a proporla, a casa nostra o tra le scuole di alcuni villaggi tanzaniani.Non importa dove o quanto. Serve solo credere nell’occasione data dalle buone intenzioni rassicurati dal fatto che ovunque c’è un desiderio esiste un modo per realizzarlo.Engribert, Davide ed AlessandroIl nostro “potente†mezzoLa mia casa in Africa
Di Valentina Ottaviano-Pensiamo a quando qualcuno viene a farci visita a casa: suona il campanello e la prima cosa che facciamo è chiedere chi è o ancora meglio guardare dall’occhiolino alla porta per decidere liberamente di non accogliere chi non si gradisce.
In Africa le case di villaggio non hanno le porte, magari una tenda o una lamiera sgangherata…chi arriva dice semplicemente “hodi?†(permesso?) e dall’interno si sente una voce che risponde “karibu!â€(benvenuto), chiunque tu sia.Immediatamente ti offrono una sedia, rimediandoti magari un posticino all’ombra, sono felici di riceverti, non si curano del colore della tua pelle, né di quale sia la tua provenienza…
Questa è l’accoglienza che i Tanzaniani hanno avuto verso di noi, questa la loro ospitalità .
Un’esperienza di cinquanta giorni, apparentemente lunga, ma in realtà così fugace, perché il tempo per imparare sembra non essere mai abbastanza.
Per noi occidentali è difficile adeguarsi alla lentezza dei tempi africani, sarà anche che avevamo una programmazione da seguire, ma ogni giorno la sera nei momenti di solitudine riuscivo a sfuggire al tempo, a godere del momento presente, senza pensare al dopo, perché mi dicevo che quando arriverà il dopo, sarà presente e solo allora sarà arrivato il momento di pensarci; in quell’istante sognavo la mia vita semplicemente com’era, il rientro non esisteva.
La nostra casa al centro del villaggio, con la porta sempre aperta permetteva a quel via vai continuo di gente di fermarsi, di accomodarsi, di offrirci i loro doni, ma soprattutto la loro amicizia…e pian piano scopri l’essenza della solidarietà che è la condivisione.
Non è semplice capire una cultura che non ti appartiene o forse solo non conosci, quando non sei capace di parlare e capire la lingua, ma il contatto con la gente ti stimola a voler fare sempre di più, ti sforzi di capirli e in loro osservi la voglia di aiutarti nel comprenderli. I Tanzaniani sembrano essere persone che non conoscono la fatica: la loro giornata inizia alle sei del mattino, prima ora del giorno, l’alba, il canto del gallo e inizia il lavoro. Eppure loro non appaiono mai stanchi e sempre e comunque sorridenti; per
loro va bene finché hanno da lavorare per la famiglia, per mandare i figli a scuola, perl’interà comunità . Le donne e i bambini si occupano di prendere l’acqua, c’è chi lavora ai campi, zappando o raccogliendo i frutti del proprio raccolto, donne che fanno il bucato, che preparano all’aperto forse l’unico pasto del giorno che sarà condiviso con tutta la famiglia, bambini che vagano per le stradine, bambini che vanno a scuola, qualcuno dorme.
Gli adulti e anche saggi anziani sono molto aperti, interessati a sapere, conoscere.
L’apertura verso l’altro, l’ospite che coltivano è qualcosa di raro e prezioso, di spirituale: un esempio di civiltà per tutti coloro che hanno dimenticato cosa sono i rapporti umani. I Tanzaniani ti offrono il loro aiuto se sei in difficoltà , senza chiedere nulla in cambio, senza sapere da quale parte della terra vieni.
Sarebbe un’offesa rifiutare e così non ti resta che accettare umilmente con un “asanteâ€(grazie). Al “grazie†si risponde con un altro grazie, ed è la parola che in Africa ho sentito più spesso.
I sorrisi quotidiani della gente dominano la scena, col sudore sulle fronti, dopo ore di lavoro sotto il sole cocente, tra loro non manca mai una battuta divertente che farà ridere il collega, e così ridendo insieme la fatica viene alleggerita. Qualunque cosa fatta in compagnia dell’altro è sacra, in quanto sacra è la relazione che hanno con l’altro. Non so quando ritornerò a Msindo, ma sicuramente ora so che ho degli amici che mi accoglieranno sempre a braccia aperte e con un piatto di ugali (polenta) e fagioli.
Tutto questo per me non ha rappresentato solo la possibilità di vivere un’esperienza unica, ma ha significato dare un’occasione a me stessa, senza lasciarmi intimorire dalle difficoltà . Quest’esperienza, troppo forte per essere raccontata, quasi da mancare il respiro, rappresenta una speranza, la voglia incontrollabile di lottare per qualcosa in cui credi fortemente e che ormai fa parte della tua vita e che la influenza consapevolmente.
L’essere realmente a contatto con la natura ti fa rendere conto di come la vita dell’uomo dipenda da essa, ma per noi occidentali intrappolati in città infernali è un concetto un po’ troppo astratto. La gente mi ha insegnato tanto, soprattutto a non arrendermi e andare avanti con tanta pazienza ma sempre a testa alta, la voglia di essere uomini liberi di scegliere, la coscienza responsabile verso sé stessi e l’intera comunità .
E allora mi dico: “si, perché no? Forse è un sogno possibile!â€
Un grazie speciale a Davide, Alessandro ed Engribert.Valentina con alcuni bambini di MsindoValentina, Alessandro ed Abisai