Mettetevi comodi.
La mia biografia sarà divisa in due parti: la prima che parla della mia vita da 0 a 23 anni e la seconda che va dai 23 e arriva ad oggi. Ho deciso di dividerla in questo modo perchè, degli ultimi 3 anni della mia vita, ho da raccontare forse di più che dei primi 23.
Prima parte: Il Passo Più Lungo Della Gamba.
Io sono Daniele Lazzarin, abito nell’hinterland di Milano, nel tipico paese dove trovi solo banche, bar, farmacie e nemmeno un motivo che ti renda felice di abitarci.
Fino a 14 anni la mia occupazione principale è stata giocare e perdere tempo, non studiavo mai, avevo buona memoria e mi bastava stare attento in classe per avere il massimo dei voti.
Ho provato qualsiasi sport, ma non sono mai durato più di 2 mesi, e, dato che mio padre mi pagava sempre l'abbonamento annuale, sperando ogni volta che fosse quello giusto, mi ritrovai ad avere contemporaneamente l'abbonamento per il nuoto, per il kung-fu, per il calcio e per il tennis. Ovviamente con rispettive divise e borsoni, una spesa notevole che andò a finire in soffitta, insieme agli addobbi per il natale.
Ero un ragazzo con un carattere un po' complicato, ossessionato dal timore di rimanere da solo e di non piacere, uno di quelli che cerca di essere come gli altri si aspettano che sia, e che, per risultare simpatico per forza, finisce col mettersi in ridicolo davanti a tutti. Parecchio triste, direi.
E' un po’ come raccontare barzellette, la barzelletta può fare anche ridere in sè, ma se non sei spontaneo, se non la sai raccontare, la gente non riderà per la barzelletta, riderà di te.
Uscivo sempre con i soliti 3 amici, gli unici 3 che riuscivano a sopportarmi, ma la maggior parte dei pomeriggi li passavo in casa a curare mio fratello. Mia madre non voleva che facessi venire i miei amici a casa. Ogni sera mi riprendeva perchè, non so come, riusciva a scoprire sempre se qualcuno era venuto a trovarmi.
Mi costava parecchio sacrificio dover rimanere in casa, fino a quando, mio padre, fece una cosa che mi cambiò la vita. Mi regalò il computer.
Quello fu il motivo per cui, all'inizio, passai più tempo a casa. Quello fu il motivo per cui, in seguito, passai più tempo nel magazzino degli attrezzi di fronte casa. Quello fu il motivo per cui, non appena fu possibile, investii in uno studio, andando quasi completamente fuori di casa.
A 17 anni, con i soliti 3 amici, aprii il mio primo studio di registrazione (se così si poteva definire), con annessa richiesta del mio primo prestito. Mi accorsi presto di aver fatto il passo più lungo della gamba, anche se davo una mano a mia madre in negozio, il pomeriggio, e lei mi dava per questo una “lauta manciaâ€, le spese erano ben più alte di quanto mi aspettassi.
Subito dopo il diploma all'istituto professionale, mi trovai un lavoro a tempo pieno, con il quale a mala pena arrivavo a pagare la mia quota mensile per l’affitto dello studio, la rata del prestito, la luce… Nonostante i sacrifici, mi piaceva l'idea di avere un posto dove poter fare quello che volevo, o meglio, che i miei genitori permettevano che volessi.
Facevo orari assurdi, di giorno lavoravo a Milano e di sera/notte ero in "studio" sul computer. Ero perennemente stanco e il risultato era che in "studio" concludevo poco, dal mio capo ricevevo continue lettere di richiamo, quelle che dopo la terza vieni lasciato a casa. Io sono arrivato a 6, dopodichè, a 20 anni, ho dato io al mio capo una lettera con le mie dimissioni, convinto di dedicarmi completamente alla musica. Ma durò poco, lo studio, che nel frattempo era diventato qualcosa di più serio, non aveva entrate e la mia liquidazione si bruciò così in fretta che non mi resi nemmeno conto d’averla percepita. Così, a 21 anni, decisi di rimettermi a lavorare, e commisi il secondo passo più lungo della gamba. Comprai un'attività già avviata, con annesso irrinunciabile mutuo decennale, reputandomi in grado di gestirla. Sbagliavo, era come quando lavoravo a Milano, passavo tutte le notti in studio e poco tempo in negozio, con la piccola differenza che ora chi ci rimetteva non era più il mio capo ma io stesso… In studio facevamo sicuramente più lavori, ma la musica è come il tirocinio per gli avvocati, lavori duro e non porti a casa niente fino a che non sei qualcuno. E fino a 23 anni non avevo la più pallida idea di come si facesse a diventare qualcuno.
Seconda parte: Chi Semina Vento Raccoglie Tempesta
Io e il mio socio Ricky (Roofio) avevamo quasi ultimato il nostro primo album, Down Town. Una mattina, proprio da Ricky, ricevetti una telefonata che mi sconvolse la vita come il gesto di mio padre anni prima: mi avevano tolto il computer. Quando realizzai che, oltre al mio Mac, ci avevano rubato gran parte della strumentazione che avevamo in studio, compresi gli hard disk di back-up con dentro il nostro disco, venni preso da una depressione, che oggi non auguro nemmeno al mio peggior nemico. Iniziai a fare quello che una persona debole fa quando gli si tolgono i pochi punti saldi che ha: cercai di dimenticare, e il modo che trovai per non pensare all'accaduto fu peggio dell'accaduto. Furono 6 mesi, durante i quali conobbi più persone che nell’intera mia vita precedente. Molto dopo compresi che davo un’immagine di me che non mi rispecchiava affatto, la mia rubrica era piena di numeri di persone a cui mai mi collegherei, il mio cellulare e la mia email erano intasati da messaggi con inviti a feste a cui oggi non prenderei mai parte.
Quel periodo durò poco, ma se ne andò lasciandomi sulle spalle una quantità di problemi che, da lucido, non sarei in grado di accumulare in 10 anni di mancanze.
Mi ritrovai a 23 anni, con una serie di progetti in una caduta libera inversamente proporzionale ai miei debiti, e i debiti sono come i tatuaggi fatti troppo presto, col tempo te ne penti e per coprirli ne servono altri più grandi, e cancellarli significa avere cicatrici che sopporteresti meno del tatuaggio stesso.
Quindi, fra le scelte. feci quella più logica. Scelsi di tenermi i tatuaggi, e i debiti, cercando di risollevare la situazione, rimboccandomi le maniche quel tanto che basta per darmi da fare, e quel tanto che basta per cercare di nascondere i tatuaggi.
L'elemento che mi sbloccò da quel periodo di stasi, fu il prendere coscienza dei miei errori fino a quel momento. Capii che le scorciatoie che avevo preso erano, nella realtà , o strade senza uscita, o strade che mi riportavano esattamente al punto di partenza:
- Ottenere buoni voti senza studiare si rivelò fallimentare, perchè le nozioni apprese superficialmente con il tempo svaniscono, e te ne accorgi solo quando parli con persone che quelle nozioni le hanno ben radicate e te le sbattono in faccia.
- Impegnarsi economicamente per un hobby che non ti dà reddito, quando il tuo reddito è pari o supera di poco l'impegno economico preso, equivale a lavorare per mantenere il tuo hobby, senza avere neanche tempo per seguirlo.
- Avviare un'attività in proprio senza avere l'esperienza gestionale per farla andare avanti, significa mettersi in mano alla sorte, e la sorte nel campo degli affari è come il gioco d'azzardo, e il 99% delle volte continui sperando di portare a casa la giocata vincente, invece porti a casa solo debiti.
"Ciò che non ti uccide ti rende forte", mio padre, che parla sempre a frasi fatte, mi disse questo, e in questa frase trovai il senso di tutte le frasi fatte che in precedenza mi aveva sempre ripetuto, e che fino a quel momento avevo puntualmente ignorato.
A 24 anni decisi di ottimizzare il mio tempo, aprii un nuovo studio, regolarizzando la situazione con gli altri che ne presero parte. I miei vecchi amici diventarono i miei nuovi soci, e le serate nel vecchio studio passate a fumare e a cazzeggiare divennero serate utili a finalizzare progetti comuni e lavori conto terzi. E "fumare" divenne una cosa meno frequente, ma sempre stimolante per la parte creativa.
Presi anche in mano le redini della mia attività primaria, senza più demandare, se non a persone più che fidate, i miei compiti. Mi prefissai degli scopi meno ambiziosi ma più consoni alle mie possibilità . Mio padre, l'uomo delle frasi fatte, disse: “chi ben comincia è a metà dell'operaâ€, ed ancora una volta aveva ragione.
Il primo progetto che portammo a termine con il nome Two Fingerz fu una riedizione di Down Town, l'album che per ovvi motivi avevamo lasciato in sospeso. Fu un vero e proprio parto, con infinite ore di travaglio e tanto di cesareo, ma diede alla luce un figlio di cui tuttora vado molto fiero.
Sperammo ingenuamente di poter condividere il frutto del nostro lavoro, se non con tutta l'Italia, almeno con quella parte di gente interessata al nostro genere musicale.
Stampammo 100 copie promo, e bussammo a tutte le porte possibili, in cerca anche solo di una distribuzione. Fra case discografiche, etichette indipendenti e riviste di settore ne spedimmo una settantina di copie, e attendemmo un responso positivo, che non arrivò mai. Le altre copie andarono agli amici e furono quelle più apprezzate. Credere troppo a quello che fai è come avvicinare troppo il libro agli occhi di un astigmatico, finisci per non avere una visione chiara di ciò che hai tra le mani. E questo è quello che è successo a noi con Down Town, credevamo di avere in mano il nostro primo traguardo, il nostro disco d’esordio, e invece avevamo in mano solo un buon biglietto da visita, che, anche se con qualche mese di ritardo, diede i suoi frutti. In quel periodo, stavamo lavorando ad un progetto insieme a Jacopo (Dargen D'Amico), quando arrivò una chiamata da Roberto Galli, il nostro attuale manager. Diceva che tramite amici in comune era venuto in possesso del nostro demo, era interessato a produrci. All'inizio prendemmo la cosa con poca fiducia e poco entusiasmo, credendo fosse la solita proposta che va a finire in niente. Ma la fiducia e l’entusiasmo crebbero, diventarono realtà le promesse ricevute dal nostro manager.
Nel giro di pochi mesi, collaborammo con artisti ben noti nel panorama italiano (Faso, Max Costa e Fish). Grazie alla loro collaborazione, riuscimmo a portare a casa un contratto con Sony-Bmg. Io, che fino a sei mesi prima mi ero dannato l'anima per trovare un contratto, capii che è proprio quando smetti di cercare che trovi quello che cerchi. E da lì rivoluzionai il mio modo di pensare, dedicandomi più a produrre e a migliorarmi che a perdere tempo a leccare buste, leccare culi e leccarmi le ferite.
All’inizio del 2007 ci trovammo con un nuovo album da realizzare. Quindi, chiudemmo definitivamente in due scatoloni Down Town, e aprimmo un nuovo capitolo con il nome Two Fingerz : l’album Figli Del Caos.
Abbandonammo il progetto con Jacopo, ma, avendo trovato con lui un’ottima sintonia, decidemmo di fare ciò che in Italia nessun gruppo rap aveva mai fatto prima: curare a più mani la parte autorale.
Il peso delle critiche, causate dalla scelta di interpretare testi scritti con un’altra persona, fu compensato dal risultato in termini di critica positiva che abbiamo ottenuto con Figli Del Caos. Dovevamo consegnare l'album in 18 mesi, ma ne bastarono solo 4 per consegnare il master. Sapevamo bene ciò che volevamo fare, e crearlo fu un processo fluido e naturale come respirare.
Ho imparato molto realizzando Figli Del Caos, merito della gente con cui ho collaborato, e con cui spero di collaborare in futuro.
Oggi mi ritrovo esattamente la vita che vorrei avere, con un hobby che mi dà soddisfazioni, un'attività più stabile di prima, ed un bagaglio di esperienze che mi ha arricchito. Mi rimprovero solo la mia poca cultura, ma mi piace considerare la mia crescita culturale come una buona bottiglia di vino. Anche se ne bevo poco, migliora con gli anni, ed arriva ad un punto in cui non serve più stapparla per conoscerne la qualità . Basta conoscerne il nome e guardare la data sull'etichetta. E la frase che mio padre direbbe a questo punto è: chi va piano va sano e va lontano.
Dan-T