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Quel cappello, quella rimanenza di guerra, contrastava violentemente contro la macchia chiara della sua canottiera riverberata al sole mattutino, sopra le gambette nude, contro la sua figura in falsetto. Sembrava un soldato bianco. Piccolino, soletto. Un clandestino della vita nelle macerie del mondo.
Settembre 1943. Durante lo sbarco in Italia delle forze alleate, quattro soldati dell’esercito americano ricevono l’ordine di ispezionare una piccola isola nel mare di Sardegna. La spedizione – comandata da un sergente italo-americano lacerato dal ricordo di una paternità negata – sbarca alle prime luci dell’alba. È un caldo giorno di fine estate. Ad accogliere i soldati c’è una natura ipnotica, l’incendio dei colori del Mediterraneo e una città fantasma in cui ogni forma di vita sembra essersi interrotta di colpo, «come se il tempo si fosse fermato nell’attimo dell’estinzione». L’unico sopravvissuto alla misteriosa sparizione collettiva è Bastia’, il soldato bianco, un bambino di dodici anni con una canottiera e un cappello troppo grande da caporale dell’esercito tedesco.
IL SOLDATO BIANCO
Aracne Editrice
Pagine: 112
Anno: 2008
Prezzo: 8,00 euro
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L'incipit:
Per il sergente la chiamata alle armi era coincisa con la notte in cui suo figlio si era dissolto in una macchia nera di sangue femminile. Sua moglie lo aveva svegliato nel cuore della notte tirandolo con forza per le lenzuola. Lo aveva coperto di baci e di carezze forti, in un miscuglio di tenerezza e di violenza, tanto da fargli male. Poi si era sciolta in un pianto disperato, incurabile, un pianto che sembrava non dovesse avere fine.
Al mattino gli era capitato fra le mani un foglietto azzurro. Lo aveva trovato sotto la porta di casa. A lasciarlo lì era stato un funzionario mattiniero del governo americano.
Era la lettera di coscrizione.
Così si era chiuso nel bagno e aveva letto la destinazione, senza fiatare, mentre stava fermo davanti al lavandino. Poi aveva chiuso gli occhi e aveva provato un’acuta sensazione come se precipitasse.
Infine si era messo a rovistare nella cesta dei panni sporchi, cercando le mutande di sua moglie.
Molti mesi dopo, durante la guerra, il sergente fece un sogno.
Camminava verso il mare con gli occhi bassi e assorti, trascinando sulla spiaggia scarpacce ancora piene di sabbia africana. Il Thompson a tracolla, un occhio costante alla strada sempre deserta che correva parallela alla costa.
All’improvviso un piccolo soldato tutto giacca e cappello gli aveva sbarrato la strada.
«Facciamo un morto ciascuno» gli aveva detto, «così abbiamo fatto la giornata».
Il sergente si era prima voltato verso il mare e aveva guardato l’oscurità che scendeva, il litorale gonfiato dalla marea, poi aveva puntato il Thompson contro il piccolo soldato e aveva sparato. Ma quello era rimasto in piedi, con un sorriso beffardo sulla bocca, come se non si fosse nemmeno accorto dei proiettili che gli avevano gelato il petto lordandogli la divisa di sangue vivo.
Poi era stato il turno del piccolo soldato, che aveva sparato a sua volta.
Il sergente però non era rimasto in piedi. Nei suoi pensieri e nel suo cuore la notte era calata in un momento, e non aveva saputo comprendere se il buio che all’improvviso gli aveva accecato la mente fosse sogno o realtà.
In guerra, come nel sonno, si muore meglio col favore delle tenebre.

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Andrea Pomella è nato a Roma, il 4 settembre del 1973.
Si è laureato in Lettere con indirizzo di Storia dell’arte contemporanea alla Sapienza di Roma.
Dal 2002 al 2005 si è occupato della redazione editoriale e della realizzazione di progetti di area storico-artistica in una casa editrice di Roma. Ha collaborato inoltre con varie riviste nella recensione di eventi di arte contemporanea.
Ha pubblicato il volume I MUSEI VATICANI per conto dell’Editrice Musei Vaticani.
Ha condotto studi sulla figura di Caravaggio confluiti nei volumi CARAVAGGIO – I PERCORSI DELL’ARTE e CARAVAGGIO – UN ARTISTA PER IMMAGINI, con la prefazione di Maurizio Calvesi, per ATS Italia Editrice.
Ha pubblicato la monografia VAN GOGH, per ATS Italia Editrice.
Tutti i suoi volumi d’arte sono stati tradotti in cinque lingue (italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo).
È stato autore dei testi per LE CENERI DEL MIO TEMPO – CANTO DI GUERRA PER PASOLINI, opera per clarinetti, sassofoni, inserti audio e canto popolare realizzato in collaborazione con il Laboratorio permanente di espressione artistica contemporanea Impromachine e con la partecipazione di Benat Achiary.
Nel 2008 ha pubblicato per Aracne Editrice il romanzo IL SOLDATO BIANCO.
Ha ricevuto il Premio Gramsci 2008 per la narrativa col racconto MURO D'INVERNO.
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Le ceneri del mio tempo
Canto di guerra per Pier Paolo Pasolini
Se Gesù di Nazareth è stato il più grande rivoluzionario della storia del mondo, se solo le rivoluzioni salvano il passato, se come scriveva Tolstoj “il popolo è un grande selvaggio nel seno della società”, allora il compito di un poeta - oggi - è letteralmente “portare la croce”, l’insegna di un dolore, il distintivo di un peccato originale come partecipazione lirica alle passioni degli ultimi.
A questo compito ha assolto quello che a buon diritto può essere considerato il maggior intellettuale italiano del secolo scorso: Pier Paolo Pasolini. Voce misteriosa e potente, violenta e dolcissima, impietosita e commossa, sempre e in ogni caso altissima, Pasolini ha cantato gli ultimi, le periferie squallide, i baraccati, la miseria italiana, sempre con il linguaggio e le modalità di una poesia superiore, quasi ispirata da una grazia divina.
E come cantore immacolato di questo immaginario “deviato”, anche lui, come Gesù Cristo, ha dovuto portare una croce. È la croce dei pregiudizi, delle preclusioni, dei tabù, e come Cristo ha subito processi, fustigazioni dettate dalla morale regnante, fino a una vera e propria crocifissione, pubblica, infelice, crudele, tragica.
In questa ideale via crucis che fa il contrappunto alla vita reale dello scrittore friulano, c’è la chiave di lettura di questo Canto di Guerra. Una via crucis indagata attraverso l’incantesimo della musica, fortificata da inserti audio che raccontano la vita del poeta. Voci che riecheggiano dalle sepolture del tempo, parole imbiancate negli archivi delle audioteche, si combinano ai suoni processati, ai legni, al canto, tracciando le linee di una storia italiana che dai confini forzati di un ensemble si estende a comunicare una condizione universale, umana: la pietà, il sacrificio di un poeta.
* * *
BENAT ACHIARY Cantante e percussionista
MARCO COLONNA Clarinetto basso e clarinetto contrabbasso
BRUNO ANGELONI Sax soprano
LUCA CORRADO Elaborazioni elettroniche
ANDREA POMELLA Regia - testi
www.impromachine.com
Preghiera per Pasolini
Signore Gesù Cristo
Sono l'uomo rimasto a misurare
quanto fiele fermenti nella dolcezza
quanta disperazione si celi nell'abnegazione
e quanto odio si mescoli all'amore
Signore ho cantato il pianto
degli oltraggiati, dei vinti e degli offesi
e il riso dei disperati matti
alla vista oscena di questo osceno mondo
Sono l'uomo ritratto dopo la morte
come un corruttore di narcisi
dotato d'una grazia di seta grezza
ho pianto per l'Ermes vigoroso
per le persone divine
per quelle piccole teste imperiose e fiere
per il dorso muscoloso delle pantere
e la pulsazione delle sorgenti regolare
E ho amato la presenza familiare
di mia madre con la fronte aggrottata
in un'indifferenza incantevole per la propria
bellezza mai sfiorita
Signore Gesù Cristo
sono l'uomo che è stato dimenticato
e non c'è carezza che giunga fino all'anima
e non c'è trionfo né celebrazione
il sepolcro è vuoto perché il Padre
mi ha abbandonato negli inferi e la mia carne
ha visto corruzione
e il mio nome ha visto degenerazione
questa è la prima guerra e il primo canto
per un trionfo di seconda mano
fa' che diventiate testimoni
della mia risurrezione
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