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S[u]ono come dono

About Me

Nella mia storia la musica mi ha sempre permesso di tirare fuori ciò che nasceva dentro me: ha reso visibili e condivisibili i miei stati d’animo e i miei pensieri, così io ho potuto comunicare il mio amore ed esprimere le mie esigenze. Lasciavo una traccia del mio passaggio: sapevo che ero vivo. La musica è stata tante volte la mia voce, la mia capacità di parlare a una certa profondità proprio quando non avevo parole per nessuno, neanche per me. In tanti momenti è stata l’unica possibilità che avevo di stare insieme agli altri e di esprimere chi ero. Finalmente ho potuto dire: io esisto!

In concreto tutto ciò è avvenuto suonando uno strumento, suonando note, ma essenzialmente suonando “chi” ero. Per me è stato sempre così: suonare corrisponde ad essere. Da un punto di vista strettamente tecnico avrei potuto essere molto più bravo ma non riesco a puntare sul “come”. Ho anche pensato che la musica avrebbe potuto darmi soldi, complimenti e riconoscimento, ma non ho mai desiderato veramente che diventasse il mio lavoro. E infatti... Una cosa ho sempre desiderato veramente e ancora oggi è un desiderio sempre presente: che ci sia qualcuno che ascolti ciò che s(u)ono. Io voglio parlare, voglio esprimere, voglio essere.

So ascoltare, so entrare in sintonia, in empatia. Non è un atteggiamento passivo, direi piuttosto che è come cercare la frequenza di una sorgente che sta trasmettendo da qualche parte. Intuisci che c’è qualcuno che parla ma non senti bene cosa dice, allora cerchi di migliorare il segnale, cerchi di capire dove si trova per poter finalmente ascoltare cosa sta cercando di dirti in quel momento. Ecco, ascoltare vuol dire anche cercare. Oggi come allora mentre suono chi sono, ascolto chi sono, cerco chi sono. Mentre suono sono.

Ho sempre suonato ad orecchio. Ho un buon orecchio. Non so perché, non l’ho meritato. In certi momenti, quasi per intuizione, posso suonare ciò che ascolto in tempo reale. Non so perché, non l’ho meritato.

Ora mettici il fatto che non ascolti necessariamente solo con le orecchie, ma anche con la pancia; mettici il fatto che con gli occhi puoi leggere nel cuore di chi ti sta guardando: pensa che lo strumento che vibra sei tu…in virtù di vibrazioni che ascolti e che risuonano con le tue! Quando questo “vibrafono umano” si esprime a sua volta attraverso le diverse forme artistiche, può portare alla luce finalmente ciò che lo ha fatto vibrare… E se l’esecutore è Amore, esprimerà Amore; se è Bellezza, esprimerà Bellezza; se è Verità, sarà Verità; sarà comunque un dono e tu, strumento, mezzo usato per condividere tutto questo, in quel momento sarai arte che non stai né producendo né facendo ma semplicemente incarnando. E ciò che porterai diventerà per chi ti sta di fronte un momento di contemplazione, contemplazione della bellezza che emani, naturale riflesso generato dalla Bellezza che illumina il tuo essere.

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In particolari momenti la musica che suono è il movimento della mia anima. Questa musica dovrebbe disegnare la strada che percorre questo movimento, fotografando ogni passo come in una sequenza di immagini poste in continuità l’una con l’altra; dovrebbe descrivere questo cammino, cammino spirituale che solo con l’anima si può ascoltare. Anima che si muove quando ha qualcosa da dire, altrimenti è inutile sforzarsi: molto meglio il silenzio piuttosto che una musica vuota, sterile, sorda.

La musica che cerco, che desidero, che sogno di suonare e di incarnare (e di ascoltare), deve avere un suo respiro, ampio o corto che sia, ma un respiro. Il respiro è presente dove c’è vita, dove c’è qualcuno che vive; e la vita apre sempre ad altra vita: la vita è fertile per definizione. La musica in questo senso deve essere fertile, aperta e capace di aprire a sua volta. Inizia e finisce ma non può essere esaurita. Così è capace di rinnovarsi sempre, di rimanere sempre giovane, di non stancarsi e non stancare mai: meglio stare muti che ascoltare qualcosa che si trascina stancamente. Come fare l’amore senza più guardarsi negli occhi: si è persa la fonte, si è perso il motivo, si è perso l’amore stesso.

La musica di cui sto parlando è dono, come la vita stessa! E se è dono vuol dire che proviene da altrove per essere messa a disposizione, per essere messa in circolo ed essere donata a sua volta. Il dono apre ad altri doni, bussa con una dolcezza irresistibile ad altre anime, le quali possono resistere a malapena al suo richiamo e, ricevuto il dono, si mettono a donare con la loro unica e personalissima bellezza ad altre anime altrettanto belle e uniche. Così il dono crea qualcosa che non c’era ancora, pur rispondendo ad un desiderio profondo che già era e chiedeva di venire in superficie. La musica che vorrei suonare dovrebbe essere così. La musica che vorrei ascoltare dovrebbe essere così.

Questo mio desiderio mi chiede tanto. Mi chiede di vivere ogni momento nel qui e ora, di rimanere in un ascolto continuo, di passare anche attraverso momenti di aridità e di cavalcare lungo interminabili attese. Mi chiede di essere debole, fragile, dipendente, affinché io possa lasciarmi guidare e far posto ad altro da me; affinché possa lasciare strada e spazio al dono. Mi chiede di vivere alla giornata in un cammino di fede che è portatore di un progetto molto più ampio della mia fantasia e dei miei programmi. E la fede non è tecnica né cervello né capacità di pianificare: bensì abbandono e fiducia poggiate su di un credo profondo, che nutrito dall’Amore matura nella speranza.

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Member Since: 7/1/2008
Influences: Penso al mio primo concerto di Ani Di Franco. La mia amica Simona, con la quale suonavo allora, la conosceva già da tempo e mi invita ad andare: io non sapevo chi fosse e non avevo mai sentito neanche una sua canzone, ma accetto e vado lo stesso: un incontro al buio. Era il 2001, al vecchio PalaCisalfa di Roma. Ricordo (e ricorderò sempre) il suo ingresso sul palco, l’impatto diretto, la forza, la naturalezza, la chitarra suonata in maniera così personale e autentica, l’entusiasmo che faceva sembrare il tutto più una festa che una performance. Quel concerto è rimasto nelle mie “viscere musicali” come un’impronta fondamentale e indelebile che mi fa credere che l’evento live sia il momento e il luogo principe per portare e condividere e conoscere finalmente chi si è davvero e cosa si ha da dire. Poi penso alla Carmen Consoli e alla sua capacità di tradurre in chitarra e voce la grinta, la rabbia e allo stesso tempo la dolcezza e la fragilità, figlie della stessa profonda esigenza di vedere rispettata la propria dignità di persona e il diritto all'espressione libera di sè. E poi: le chitarre pop di Britti; le poesie di Fabi; i discorsi di Finardi e di Bertoli; il coinvolgimento nella voce di Elisa; “Buon compleanno Elvis” di Ligabue e “No need to argue” dei Cranberries”; la leggerezza adolescenziale di Avril Lavigne; i Pink Floyd, Dire Straits ed Eric Clapton dei miei 14 anni; Guccini e De Gregori con i quali ho cominciato a strimpellare i primi accordi; la personale sintesi di Allevi; i Queen; il tema della colonna sonora di Mission.....
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Posted by on Sun, 19 Oct 2008 06:55:00 GMT

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C'è un respiro che è vita, che in certi momenti trova un canale dentro di me e si ritrova ad uscire così, senza struttura - o meglio - senza sovrastruttura. Non è qualcosa che pianifico, che scrivo ...
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