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I am here for Friends

About Me

Io, come skinhead, mi sono sentito una vittima per anni. E in quello che sentivo c’era molto di vero. La stampa mentiva sul nostro conto, la polizia ci perseguitava, la società; ci riservava il ruolo di disoccupati, di emarginati, e tutto quello che sapeva offrirci erano lavori senza futuro e umilianti. Questa, in fondo, era la realtà per tutti i figli della classe operaia. Ma oltre a ciò la nostra scelta ci aveva tagliato fuori dalla comprensione che solitamente hanno (o dovrebbero avere) le famiglie per gli adolescenti, e tutto quello che facevamo o dicevamo veniva amplificato, distorto e manipolato per dare al mero fatto della nostra esistenza i connotati di una minaccia. Il modo in cui gli skinhead (non parlo di nazi-pseudo-skin) vedevano se stessi venne profondamente condizionato da tutto ciò, e cominciò a costituirsi una sorta di mitologia che attorno al fatto dell’esclusione e della marginalità doveva servire a ripagarci e consolarci da troppe amarezze. Qualsiasi cosa avessimo detto o fatto nessuno avrebbe capito, e chiunque non provenisse dal nostro stesso ambito sociale e non condividesse il nostro quotidiano avrebbe potuto assumere il ruolo di persecutore, di nemico, di hippy ipocrita, di borghese bastardo e cosi via: noi eravamo gli unici nel giusto, cos’altro avremmo potuto fare se non essere skinhead? Eravamo cioè le vittime di un grande inganno. Quello che ci avevano sempre promesso era falso, quello che dicevano alla gente era falso, quello che stavano cercando di perpetrare ai nostri danni era ripugnante. Non c’era (e non c’è) via d’uscita da tutto ciò se non rinnegare se stessi, il proprio stile, le proprie origini. E questo era qualcosa che nessuno skinhead degno di questo nome avrebbe mai fatto. Quel che dicevano di noi, ad esempio, rasentava l’assurdo. La stampa vedeva nel nostro modo di vestire e di tagliarci i capelli richiami alla gioventù hitleriana e cose di questo genere, mentre il look derivava da quello dei rude boys di colore della fine degli anni Sessanta. Molta gente ora fa il naziskin non sa nulla, del resto, degli skinhead e vuole aderire proprio all’odioso stereotipo che si vede in tv o di cui si legge sui giornali. Da un giorno all’altro ci trovammo attorniati da questi tipi che (odiavano i negri), che lottavano (per l’Europa) e balle del genere. Noi, a parte che amavamo la musica giamaicana e sarebbe stato difficoltoso essere razzisti con un poster dei Maytals, di Jimmy Cliff o di Prince Buster appeso sopra il letto, o se si spendevano tutti i pochi soldi in dischi di Ska e di Reggae, con questa signora Europa non ci avevamo mai parlato – sapevamo bene come ci trattava, del resto. Comunque sia, io non posso perdonare la cecità, la malafede e il pressappochismo della stampa, dei cosiddetti esperti che non hanno mai non dico parlato, ma nemmeno visto uno skinhead, non posso che odiare chi ha reso questo servizio alla gente e specialmente a noi, ai veri skinhead, che non hanno mai avuto nessuno che si ergesse a loro difesa, che non hanno mai goduto dell’appoggio di una voce non dico obbiettiva, ma nemmeno cosi parziale come quella di professori, politicanti e giornalisti vari. Gli skin sono davvero i diseredati, gli esclusi, i reietti, i cattivi… In poche parole, mi sentivo come Oliver Twist che chiede altra zuppa, o come Pinocchio nel ventre di una balena di cemento.<

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