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Fernando Di Leo

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Fernando di Leo, la vita e le opere:Fernando di Leo nasce l’11 gennaio 1932 a San Ferdinando di Puglia, in provincia di Foggia. Primo di quattro fratelli e sorelle (Nino, Maria e Rita), fin da giovanissimo manifesta un’intelligenza pronta e vivace, oltre a uno spiccato interesse per la letteratura, il teatro e il cinema. A Foggia si fa infatti promotore di iniziative culturali che spaziano dalla lettura del giornale ai contadini nelle campagne (il “giornale recitato”), all’organizzazione di cineforum e di spettacoli di teatro e cabaret. Il passo successivo è l’esperienza di raccogliere per la rivista L’Arlecchino un’antologia di giovanissimi autori.A 16 anni compone gli atti unici Mentre il tempo muore ed Ore morte, che gli valgono il 1° premio al concorso Gastaldi per il teatro nel 1950. Scrive poi il dramma esistenzialista in tre atti, Lume del tuo corpo è l’occhio, che nel settembre del 1951 gli fa ottenere il 3° premio della coppa Murano (la cui Commissione giudicante comprende Valentino Bompiani, Gino Damerini e Tatiana Pavlova), e che viene pubblicato sulla rivista “Il ridotto” e rappresentato poi in alcuni teatri italiani.Nella seconda metà degli anni ‘50 Fernando si è intanto trasferito a Roma dove affronta con poca voglia gli studi universitari: il mestiere esercitato dal padre e dal nonno sembrerebbe infatti destinarlo alla professione forense. E’ del 1960 la pubblicazione del volume di liriche e ballate Le intenzioni, presso l’editore Rebellato; e del 1964 l’uscita, per le edizioni Il Gauguin, della raccolta I racconti della provincia (in cui i critici notano caratteri di “verghiana obiettività”). E’ infine del 1966 la prima opera unitaria di narrativa, largamente autobiografica, I nostri atti, edita dal Club degli Autori.A firma di Leo appare nel 1957, sull’Arlecchino, un reportage dal titolo Le notti di Roma, nel quale viene descritta la vita notturna dell’alta società nella capitale: Ennio Flaiano l’avrà con tutta probabilità presente scrivendo, di lì a poco, La dolce vita di Fellini. E’ in questa fase che avvengono i primi contatti con l’ambiente cinematografico romano, i quali culmineranno nell’iscrizione al Centro Sperimentale di Cinematografia. Di Leo viene ammesso con uno scritto del giugno 1962 sul cinema di Antonioni (dal titolo Conversazione su “L’eclisse”). In effetti frequenta poco, giudicando “troppo lunga” la durata del corso di studi, rispetto a ciò che la scuola gli può insegnare. Stringe però legami d’amicizia con altri ragazzi del Centro: uno di essi è Enzo Dell’Aquila, il cui saggio di diploma del C.S.C., lo short Un cuore per odiarvi, sempre del 1962, la cui sceneggiatura è co-firmata da di Leo.E’ in questo contesto che l’anno successivo matura la prima esperienza di Fernando come regista: un lungometraggio dal titolo Gli eroi, strutturato in tre episodi (due in bianco e nero, ed uno a colori), diretti il primo (Inferno di guerra: 1917) da Sergio Tau, il secondo (Un posto in paradiso) da Dell’Aquila-di Leo, e il terzo - senza titolo - dall’olandese Franz Weiszt. Il segmento co-diretto da di Leo è una feroce satira nei confronti del mercato delle indulgenze plenarie, tema che costa al film violente critiche da parte del Vaticano, drastiche censure e una distribuzione nelle sale ridotta al minimo - col titolo mutato in Gli eroi di ieri… oggi… domani. Questa esperienza non scoraggia Fernando, che nel frattempo si occupa di cabaret (scrivendo nel 1963, insieme a Umberto Eco, Luigi Malerba, Ennio Flaiano ed Ercole Patti, i testi dello spettacolo di successo Can can degli italiani, con Gian Carlo Cobelli e Maria Monti). Adatta poi, insieme ad Andrea Maggiore, classici teatrali greci e latini per la compagnia La Quercia del Tasso di Sergio Ammirata ed Esmeralda Ruspoli: Il gorgoglione, Il persiano, Le donne in assemblea, L’ulisseide. Continua intanto a collaborare con varie riviste, tra le quali Sipario, Leggere e il settimanale Vie Nuove, con articoli sul teatro e sul cinema.Divenuto amico del regista Duccio Tessari, di Leo viene da questi presentato a Sergio Leone e coinvolto nella sceneggiatura di quel gruppo di film che diedero il via al fenomeno del “western all’italiana”: Per un pugno di dollari e Una pistola per Ringo, nel 1965, Per qualche dollaro in più e Il ritorno di Ringo, nel 1966. Grazie al lavoro su questi copioni, di Leo acquista una sua fama di sceneggiatore, sia che ci metta la propria firma (come nei due Ringo di Tessari), oppure rimanga senza nome (come nei due classici di Leone). Nelle stagioni immediatamente successive saranno infatti una trentina le sceneggiature di genere western che egli svilupperà, con ricche variazioni sul tema e in maniera sempre originale. Va detto, infatti, che spesso gli venivano richieste consulenze amichevoli, destinate a restare anonime. (E’ il caso, ad esempio, del Django di Sergio Corbucci, che di Leo revisionò e “raddrizzò” in corsa, poco prima che la troupe partisse per le riprese in Spagna).Nel 1967, dopo aver dato alle stampe il dramma teatrale scritto con Sergio Ammirata Accadde a Regina Coeli (edizioni Club degli Autori), e dopo essersi cimentato in un musical, Western Simphony, Fernando ha finaLmente la possibilità di dirigere un film: si tratta di una storia di guerra co-prodotta con capitali americani, dal titolo Rose rosse per il Führer, che sfrutta il successo delle pellicole di carattere bellico allora in voga, ma nella quale di Leo, alla pura azione, cerca di riconnettere un più sottile discorso antimilitarista, superando le facili schematizzazioni tra buoni e cattivi. Il film non può dirsi un fallimento ma nemmeno un successo, e a di Leo serve soprattutto per prendere dimestichezza con i meccanismi della produzione, facendoli rapidamente propri.Creata con Tiziano Longo (che aveva co-finanziato Rose rosse per il Führer) la società produttrice Ferti Film, Fernando passa così a scrivere e dirigere una nuova pellicola: Brucia, ragazzo brucia. L’argomento affrontato è inedito e, considerata l’epoca, rischioso se portato sullo schermo poiché la trama si impernia su una donna incapace di provare l’orgasmo con il marito, e che scopre invece le gioie della sessualità grazie alla relazione con un bagnino. Scandalo, polemiche, sequestri e processi tengono dietro all’uscita del film, che è del 1969, e che dopo l’assoluzione dall’accusa di oscenità ottiene un incredibile successo di pubblico, sia in Italia che all’estero. In poco meno di un anno, di Leo realizza altri due film: Amarsi male, che è ancora sulla linea di Brucia ragazzo brucia, benché non ne eguagli né l’interesse né la fortuna, e I ragazzi del massacro che, al contrario, diventa una pellicola fondamentale nella carriera del regista poiché apre la strada ai suoi maggiori noir.Nel 1967 di Leo aveva approntato per Mino Guerrini le sceneggiature di due film di carattere giallo-poliziesco, Omicidio per appuntamento e Gangster ’70, che già contengono pienamente - soprattutto il secondo - la sua visione dell’universo della malavita e degli individui che ne fanno parte: crudezza e lirismo, attenzione alle psicologie e acutezza nel definire i personaggi con pochi tocchi, istanze sociologiche e nichilismo di fondo. Per I ragazzi del massacro, di Leo parte dall’omonimo romanzo di Giorgio Scerbanenco e l’opera dello scrittore italo-ucraino sarà anche alla base dei successivi Milano calibro 9 e La mala ordina (ambedue del 1972), primi capitoli di un’ideale trilogia noir (definita poi “trilogia del milieu”) che si completerà nel 1973 con Il boss e che, per ispirazione, esecuzione e pregnanza tematica e stilistica, rappresenta il capolavoro di Fernando. Tutti questi film, e i successivi fino alla metà degli anni ‘70, sono prodotti dalla Daunia, una società fondata dal regista con altri soci nel 1969, che gli permette di muoversi nella più completa autonomia e libertà di espressione.Intercalati ai grandi noir appena citati, ci sono altri esperimenti: La bestia uccide a sangue freddo, un “gotico” del 1971 realizzato sulla scia dei thriller di Dario Argento ma dotato di una identità “pop” forte e morbosa; il mai concluso Uno di quelli (1971), che ha per protagonista un ragazzo omosessuale e che fu fortemente osteggiato dalla distribuzione; e La seduzione (1973), tratto dal romanzo di Ercole Patti Graziella, il maggior successo di pubblico ottenuto da di Di Leo, che, forte del potere contrattuale acquisito, contava a quel punto di dirigere un ambizioso lungometraggio tratto da Il dio Kurt di Moravia, cui teneva moltissimo ma che non vide mai la luce.Oltre a scrivere e dirigere i propri film, di Leo in questi anni si dedica alla stesura di molti soggetti, trattamenti e sceneggiature: alcuni verranno realizzati da altri registi - ad esempio Uomini si nasce, poliziotti si muore, di Ruggero Deodato, o Liberi armati pericolosi di Romolo Guerrieri - ma la maggior parte resterà nel cassetto; in tempi recenti, una parte è stata pubblicata, con revisioni e correzioni a cura dall’autore, in forma di romanzo. Le loro tematiche sono eterogenee, con prevalenza dei noir (Venerdì nero, Da lunedì a lunedì, Spara, ragazzo, spara, Il sacco di Capri, Gioco senza regole), ma vi sono anche soggetti storici (Plotone d’esecuzione, Vai e uccidi il re), commedie (Frustami più in basso), e storie di carattere erotico (Il monaco, Le donne preferiscono le donne, Suite a due voci, Quello che volevano sapere due ragazze perbene).Dopo la “trilogia del milieu” di Leo dirige, non accreditato, il film Sesso di Sergio Ammirata, inserendosi poi in chiave polemica nel filone cosidetto “poliziottesco” Il poliziotto è marcio (1974). Nel biennio successivo avvia un personalissimo ciclo di pellicole prodotte dalla Daunia (Colpo in canna, Gli amici di Nick Hezard e I padroni della città) in cui il noir è screziato con tinte più brillanti. Firma anche la regia di un film sui sequestri di persona, La città sconvolta: caccia spietata ai rapitori. A metà del 1976, dopo avere prodotto I padroni della città, la Daunia chiude i battenti e durante tutto l’anno successivo, per la prima volta, di Leo non dirige nessun film. La sua creatività non è peraltro in declino, tant’è che nel 1978 il regista torna sugli schermi con ben due pellicole: il bellissimo Diamanti sporchi di sangue, un noir che sembra quasi il remake di Milano calibro 9 - il titolo è Roma calibro 9 - e Avere vent’anni, una commedia filo-femminista ma con un efferato colpo di coda che sciocca il pubblico. Anche questa, col tempo, si trasformerà peraltro in un’opera di culto.Al volgere degli anni ‘70, mentre la produzione italiana di genere comincia a segnare il passo e avanza il fenomeno della televisione indipendente, di Leo cova alcuni progetti che restano incompiuti: Il filmazzo, un lungometraggio satirico sulla tv, che Fernando aveva scritto insieme a Duccio Tessari, il seguito di Avere ventanni che, visti gli esiti del primo, abortì e, ancora con Tessari, la realizzazione di un serial per il piccolo schermo imperniato sulle gesta di un mago-illusionista, Duncan Stuart. Per un amico produttore in difficoltà, di Leo accetta di girare nel 1979 Madness da un soggetto altrui, che Fernando revisiona e corregge inserendo elementi di una vecchia sceneggiatura anni ‘60 Vacanze per un massacro (che diventerà il titolo alternativo del film). Si tratta di una pellicola che in parte mima Ore disperate di William Wyler, girata con scarsissimi mezzi e con soli quattro attori; il regista l’ha sempre giudicata criticamente, ma in seguito - come accadrà anche per La bestia uccide a sangue freddo - sarà rivalutata.L’unica esperienza avuta da di Leo con il mezzo televisivo è il serial giallo L’assassino ha le ore contate (1981), sei episodi di 50 minuti l’uno, scritti da Fabio Pittorru per un’originaria destinazione radiofonica e convertiti in film con idea poco felice. Una serie di inghippi farà sì che questo lavoro non venga mai trasmesso. Una pellicola avventurosa, ambientata nel Sud est asiatico, è Razza violenta, che di Leo gira nel 1982 con un buon successo soprattutto sui mercati esteri, in vista dei quali è stata essenzialmente prodotta. Nella generale crisi del cinema che avvolge allora l’Italia, Fernando accetta di fare un favore ad un amico dirigendo, anonimamente, Poverammore (1982, attribuito a Vittorio Salviani), un film “strappalacrime” di ambiente napoletano. Nel frattempo comincia un grande noir, quasi un remake della Giungla d’asfalto di John Houston: Killer vs killers. Dopo averne scritto la sceneggiatura, tenterà di portarla sullo schermo con mezzi adeguati, ma senza riuscirci, finché nel 1985 si acconcerà a girarla: ne verrà una pellicola dignitosa ma assai al di sotto dello script. Sarà il suo ultimo film. Da allora, di Leo si ritira dal ruolo di regista, dedicandosi a un’intensa attività di ghostwriter per lungometraggi sia del grande che del piccolo schermo.Via via riscoperto, ammirato e studiato, a partire dalla metà degli anni ‘90, da una nuova generazione di critici che gli riconoscono un ruolo importante nella storia del cinema italiano, Fernando di Leo trascorre gli ultimi anni di vita a Roma, dove si spegne dopo una breve malattia, il 2 dicembre del 2003, all’età di 71 anni.

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