Sarah Kane
scava nel profondo dell’animo umano, è capace di mostrare con sincerità disarmante e cruda come i rapporti tra gli uomini siano difficili e incoerenti, come all’interno anche dello stesso animo si possano contrapporre idee e sentimenti opposti, bisogni e dolori, desideri laceranti, animali e viscerali. Febbre nasce da questi moti dell’animo umano, le persone soffrono, cercano l’altro e lo fuggono temendolo. I personaggi non hanno un nome, sono identificati solamente da una lettera, eppure dietro le loro parole si nasconde un universo di desideri e bisogni febbrili e vitali, così B rappresenta l’istinto più animalesco e maschile, C è la sensibilità negata all’uomo, è la paura di vivere fino in fondo un’istintività reale, A è la continua oscillazione schizofrenica tra desideri contrastanti, mentre M esprime il bisogno di affetto e protezione, desiderio di procreazione immaturo ed irreale perchè ancora non si è risolto il rapporto con la propria famiglia d’origine. E molto altro si potrebbe dire. Abbiamo cercato di connotare i personaggi, anche se lo spettacolo si evolve in realtà come viaggio all’interno di un unico animo ricco, grandioso e sofferente, e si risolve in una involuzione che riporta al grembo materno, ad una seconda nascita, scelta e consapevole che coincide con una fine, una morte altrettanto voluta e desiderata.
La scenografia rappresenta questo momento di incontro privo di un reale dialogo, i bisogni si scontrano, i corpi si cercano e si rincorrono, senza essere capaci di trovarsi, di stringersi e tenersi in modo continuativo e reale.
Il testo così bello e a momenti poetico nella sua lucidità crea il movimento di continuo allontanamento e ricerca dell’altro, nell’isolamento di se stessi.
La febbre del desiderio e dei bisogni negati afferra i personaggi di questo spettacolo, li trascina e li catapulta in ogni angolo della scena, sempre presenti, sempre incapaci di comunicare se non frammenti della propria singola realtà , eppure alla fine l’empatia tra i personaggi diventa così necessaria da creare un unico dialogo in cui un personaggio completa il pensiero dell’altro, ne diventa partecipe perché ognuno parla per bocca dell’altro.
Il finale è completamente aperto, l’animo ha sofferto e si è denudato, ora si trova di fronte alla morte, che l’autrice sceglierà nella vita reale, ma che qui diventa speranza di cambiamento, di ri-nascita, il movimento non è verso il ritrovamento del sé ma verso la scoperta di un io nuovo, forse non più frammentato ma per una volta unico e libero.
Febbre
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