Osteria Germinal dove musica, poesia, buon vino ed un buon pasto si amalgamano insieme donandovi una serata indimenticabile!
Osteria Germinal dove musica, poesia, buon vino ed un buon pasto si amalgamano insieme donandovi una serata indimenticabile!
Mercoledì 9 Luglio - Esposizione Fotografica di: Arrigo Baroni, Marco e Flavio Zurla, Silvia Richichi
Giovedì 17 Luglio
Il sito ufficiale : www.osteriagerminal.it
COME E' NATO IL GERMINAL (di Danilo Sidari)
Questo racconto è apparso qualche mese fa su MENTELOCALE,
lo ha scritto x noi un caro amico che da molti anni si è trasferito in Australia.
C'era una volta, a Taggia, una stalla. O meglio un basso! Chè a quei tempi, è vero, in cantina parecchi ci tenevano gli animali, quelli da soma e quelli da cuocere lentamente in casseruola, ma nel locale di cui ci occupiamo ci lavoravano. Ci facevano delle ceste, per l’esattezza.
Menegò Buccalarga ci teneva bottega senza però trascurare, occasionalmente, di farci bisboccia con gli amici.
Verso fine degli anni ‘70, sulla costa a tre chilometri di distanza, imperversava il Tre Alberi! Locale sul mare, spiaggia, terrazza con tavolini, ed un barman, Abdu il somalo, simpatico, cortese e mago dei cocktails. Cosa c’entra il Tre Alberi? C’entra chè il bar, allora, lo gestiva Cecco Mazza. Ed essendo Cecco una figura storica del panorama libertario sanremese, il locale era prevalentemente frequentato dal popolo del Movimento della città dei fiori e in generale, di tutta la provincia. Valle Argentina inclusa! Insomma quel bar era diventato un punto alternativo, e a volte controverso, di aggregazione e finì per dare fastidio a qualcuno. Ci furono delle perquisizioni, si fecero delle indagini, fu messo sù in qualche modo un caso giudiziario: ordinarie manovre di repressione. Poi tutto si sgonfiò ma intanto il segnale era giunto chiaro e forte: Cecco dovette cedere l’attività . Del resto, l’entusiasmo ormai scemava, l’eroina montava e Craxi era alle porte: quell’attimo era fuggito, quel gruppo si disciolse e si sperse in mille rivoli di rinuncia, di disillusione e, in qualche caso, di rampantismo social-democratico.
Con il ricavato della cessione del bar Cecco comprò una casa a Taggia, la stessa nel cui basso, a suo tempo, Menegò aveva intrecciato vimini. E ci andò a vivere con la sua famigliola.
Nelle lunghe serate d’inverno, Taggia non era certo “un posto di vitaâ€. Tuttavia in alcuni bar, vuoi per il gotto di Dolcetto, vuoi per il torneo di belotta, vuoi per la compagnia, c’era sempre qualcuno che ci passava un paio d’ore dopo cena. Il Castelin era uno di questi bar. Menegò, ormai vecchio e vedovo, aveva chiuso bottega e per la sua menestrina serale ed un pò di compagnia frequentava Castelin, E qui conobbe Cecco. Ben presto Menegò prese a narrare a Cecco le virtù della cantina, offrendogliela ad un prezzo vantaggioso. E alla fine Cecco si convinse e l’acquistò. Ma non ci fece nulla, la lasciò vuota. Per la precisione, e per un certo periodo di tempo, essa diventò il ricovero delle pecore di Mario, il pastore sardo. Poi...poi fu la volta del leone.
Un giorno d’inizio estate a metà degli anni ’80, ero sulla passeggiata a mare. Incontro Maurizio, un balengo di Brindisi, che teneva al guinzaglio un leoncino.
Domanda d’obbligo:
-Co ti ghe fai cu in leun a l’Arma? –
Mi risponde senza tentennare che lo userà per fare le foto con i bambini che sono qui in vacanza. Cinquemilalire a foto: insomma s’era inventato un lavoro!
- Si vabbè ma dove lo tieni un leoncino, sul divano – gli chiedo.
- Ma sai – mi dice - ho chiesto e finchè è piccolo, lo tengo in una cantina a Taggia. Poi in autunno quando la stagione è finita, lo dò a uno zoo-safari in Piemonte – conclude.
Una notte del novembre dello stesso anno, quando ormai i versi provenienti dalla cantina di Cecco, quelli del gattone, erano diventati quasi dei ruggiti, i vicini, spaventati e disgustati dal lezzo che ormai perdurava da settimane, protestarono. Il leone, di cui non ho più notizie dal 2002, immobilizzato su un’Ape Piaggio, fu trasportato in una campagna sulle alture prospicienti il convento dei Domenicani e la cantina rimase di nuovo vuota.
Nel 1990 il Comune lanciò un piano per il recupero del centro storico, concedendo facilitazioni a chi nel centro storico avesse aperto un locale pubblico. Cecco, che era proprietario di quella cantina inutilizzata e che da tempo accarezzava l’idea di aprire un bar nei carugi, coinvolse alcuni amici e si decise al grande passo.
Nel ’91 abitavo in via Gastaldi, in un basso ristrutturato. Il portone d’entrata era dirimpetto a quella cantina.
Già alla fine del ‘90 qualcuno aveva cominciato a portare via dal basso qualche trattorata di letame, di terra e di rumenta varia. Poi, all’inizio dell’estate, a cura del maestro Vito da Orsomarso, iniziarono i lavori di restauro vero e proprio che si conclusero con i murales di Lella Calvini di Bussana ispirati al Visconte Dimezzato.
In ultimo, venne un fabbro ed incementò al muro un’insegna, una parola in ferro battuto: Germinal.
Dici Germinal e pensi a Parigi alla fine del XIX secolo, pensi a Zola, pensi al movimento libertario internazionale. A proposito di libertari, la sede nazionale della Federazione Anarchica Italiana, a Carrara, fino alla sua forzata chiusura avvenuta negli anni ’80, era un palazzotto che si chiamava Germinal per l’appunto. Cecco, che contro quella chiusura era andato a manifestare, al momento di scegliere il nome del locale scelse quello dell’antico palazzotto carrarese ormai chiuso, volendo così idealmente trasfondere quell’atmosfera, quello spirito nell’osteria che apriva i battenti.
Quattordici anni dopo, l’altro giorno, vado a cliccare su Mentelocale e leggo una delle scoppiettanti cronache ponentine di Choukadarian: quella su Giorgio Conte al Germinal. Una tradizione consolidata quella della musica dal vivo nel locale taggiasco: ve lo garantisce chi scrive, uno dei dirimpettai del tempo, come dicevo. Mentre leggo della performance dello chansonnier astigiano, del tocco di femminilità impresso al locale da Roberta ed Enrica che ora lo gestiscono e dei cervellotici ma squisiti exploit dello Squalo dietro ai fornelli, penso che quella del fondo di via Gastaldi è una storia da raccontare. Eccovela.
Dalle ceste di Menegò Buccalarga alle strofe di Giorgio Conte: una storia bizzarra, con tantissimi personaggi e tante diverse situazioni, il cui ultimo capitolo in ordine di tempo, ci propone i bocconi di saggezza elargiti da Danilo Musso e l’affascinante presenza, stando alle eloquenti descrizioni del cronista, delle due signore che architettano il tutto. Un romanzo la cui trama si sta ancora dipanando e potrebbe riservare ancora tante sorprese. La redazione di Mentelocale, il Choukadarian e chi scrive seduti allo stesso tavolo ad esempio: le lasagne alla cernia, il Vermentino e lo Squalo che ci racconta, che so, di quella volta ad Alghero quando...
Questo profilo originale è nato dalla cooperazione di Silvia Richichi e Fabio Boero.