Giovanni Giacomo Casanova.
Sono nato a Venezia il 2 aprile 1725 in Calle della Commedia (oggi Calle Malipiero) dal matrimonio di Gaetano Casanova e Zanetta Farussi, entrambi attori (anche se si suppone che il vero padre sia stato il nobile Michele Grimani). I miei genitori, impegnati nello scenario di ogni teatro europeo, affidandomi fino all'età di nove anni presso la nonna materna, non influenzarono mai quel mio innato talento teatrale che praticai nella mia vita, anziché sulle scene.
Orfano, malaticcio, spaventosamente magro, venni inviato a pensione a Padova, ove conobbi cosa fosse la sventura e imparai a sopportarla con pazienza: fui costretto a vivere in una stanza fatiscente popolata di topi e a dormire in un letto pieno di cimici e pulci.
Nonostante gli enormi disagi, immatricolato nell'anno 1737 al corso di legge dell'Università di Padova presso al Palazzo del Bo, conseguo la laurea in diritto pubblico e diritto canonico nell'anno 1742.
L'anno precedente ricevetti i quattro ordini minori iniziando ad intrarprendere la carriera ecclesiastica ma senza alcun buon risultato: la mia scarsa propensione per l'oratoria sacra e le innate doti di conquistatore mi convincono a rinunciare al mestiere di predicatore.
Il mio motto era "Nolo nimis facilem difficilemque nimis": non mi piaceva né la donna troppo facile, né quella troppo difficile, con la propensione per la giovin principiante.
Nelle donne cercavo solo il piacere, che cos'è l'amore se non un modo di essere curiosi?
Tutto ciò non mi impedisce di entrare al servizio presso il Cardinale Acquaviva a Roma, dove giungo dopo un lungo e avventuroso viaggio nell'Italia centrale e meridionale.
Si rinnovano qui amori e avventure, rivelandomi con chiarezza l'impossibilità di proseguire la carriera ecclesiastica.
A vent'anni tornai a Venezia per abbracciare la carriera militare al servizio della Repubblica: iniziai da qui una serie sterminata di viaggi che mi portarono fino a Corfù e Costantinopoli.
Presto, sazio dell'uniforme, mi guadagnai da vivere suonando il violino al Teatro San Samuele: feci orrore ai miei amici, ma la cosa non durò a lungo.
A ventun anni uno dei primi signori di Venezia, il senatore Bragadin, mi adottò come figlio, ed essendo abbastanza ricco viaggiai per l'Italia, la Francia, la Germania e Vienna...
Tornai a Venezia e due anni dopo gli Inquisitori di Stato mi fecero imprigionare sotto i Piombi.
Era un carcere temutissimo, dal quale nessuno riuscì mai a scappare; ma io, con l'aiuto di Dio, fuggii in capo a quindici mesi, e costretto all'esilio me ne andai a Parigi.
In due anni vi feci cosi buoni affari che accumulai un milione; tuttavia, non evitai il fallimento.
Ho sempre creduto che quando uno si mette in testa di realizzare un qualunque progetto, e non si occupa che di quello, finisce col riuscire nel suo intento malgrado ogni difficoltà . Costui diventerà Gran Visir, Papa o rovescerà una monarchia...
Questo drammatico alternarsi di straordinari successi e di altrettanto eccezionali rovesci, che avrebbero potuto fiaccare la forza e la volontà di qualsiasi altro avventuriero, non spensero mai in me l'amore per la vita.
Dopo continui andirivieni per l'Europa giunsi a Varsavia, ove ricevetti ospitalità e accoglienza a Corte, ma presto fui costretto a fuggire: sfidai in un duello con pistola il Conte Branicki (una sorta di Capo di Stato maggiore polacco), recandogli una grave ferita che fece parlare di me tutta l'Europa. Codesto Conte, in seguito ad una sua gelosia, mi definì "poltrone veneziano", offendendo oltreché il mio onore pure quello di Venezia.
Volli risollevarmi, e dopo sedici anni di esilio, volli poter ottenere il perdono del governo veneziano ed il permesso di tornare in patria: fui graziato dagli Inquisitori di Stato solamente il 15 novembre del 1774, quando potei tornare alla città natale.
Il mio ingresso a venezia, dopo diciannove anni, mi fece godere il momento più bello della mia vita.
La gioia non durerà a lungo, Venezia è cambiata e la vita degli spiriti più indipendenti e peggio ancora, marcati come me da dubbia fama, è divenuta troppo difficile.
Capii che dovetti rinunciare ai miei sogni di grandezza, mi dividevo tra equivoci uffici di confidente dell'inquisizione e l'attività pubblicistica.
Causa del mio definitivo allontanamento da Venezia è il mio libello "Né amori né donne", diretto contro il patrizio Zan Carlo Grimani (figlio di Michele che divenne il mio padre adottivo), per vendicarmi di un torto subito.
Ma oramai ho cinquantott'anni e sopravviene l'inverno; se penso a ritornare a diventare avventuriero, mi metto a ridere guardandomi allo specchio.
Nel 1785 accettai il posto di bibliotecario offertomi dal conte Waldestein e mi trasferisco nel castello di Dux, in Boemia.
Costretto a fare a meno della vita di società , che fu sempre il mio massimo piacere, afflitto dai mali della vecchiaia e dai dispetti della servitù, mi rifugio nell'attività letteraria.
Mi ritrovo ad essere come un cavallo di razza che la sfortuna ha fuorviato tra gli asini ed è costretto a soffrirne le scalciate, perché ha avuto la necessità di sfamarsi alla stessa mangiatoia.
All'età di settantadue anni, nel 1797, quando posso dire "vixi" benchè viva ancora, mi sarebbe difficile trovarmi uno svago più piacevole, nel rammentare i piaceri da me avuti, li rinnovo, ne godo di nuovo, e rido delle pene sofferte che non sento più. Particella dell'universo, parlo all'aria.
So di aver vissuto perchè ho avuto delle sensazioni...
Dal 1789 alla morte, sopraggiunta il 4 giugno 1798 in quel di Dux, ebbi modo di scrivere "L'Histoire de ma vie", perché volevo ridere di me stesso e perfettamente ci riuscii...
[Giacomo Giovanni Casanova: Venezia 2 aprile 1725 - Dux 4 giugno 1798]