Self-portrait with my portrait by Michael Ackerman on my grandparents mirror, in Sardinia. August 8, 2008.
My first final print. October 3, 2008.
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Ulisse - From my personal project "Roots" - Urzulei, Sardinia, August 2008.
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Chelsea, New York City, April 2009.
"OUT of the rolling ocean, the crowd, came a drop gently to me".
Walt Whitman...
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SARDINIA. ANOTHER PLANET in London
Photo by Sveva Taverna
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“Per Sveva Taverna i paesaggi sono sfondo sfumato, popolato da persone, individui con la propria storia, semplice ma intensa, vera, vissuta, dolorosa ma nello stesso tempo incantata da un sorriso, da uno sguardo o solo dalla memoria primigenia di un paradiso perduto, fatto non solo di luoghi, ma soprattutto di legami, di rituali, di comunità , condivisione di attimi di armonia provvisoria ma indelebile, una traccia apparentemente destinata a scomparire che invece racchiude in sé una tenace e inaspettata forza vitale.
Bianco, nero, grigio e mosso, ecco il movimento che taglia il cordone, il legame viscerale che pure si attarda sulla pellicola. Ma lo sguardo è adesso, è urgente, e nella ossessione dello scatto, fosse l’ultimo, su una realtà che appare come allora, come nella nostra immagine mentale o meglio sentimentale, c’è tutta la dinamica del nostro tempo, la consapevolezza della velocità con la quale le cose, le persone, le storie vengono dimenticate e disattese. L’amore gioca brutti scherzi, chimere e miraggi da trattenere che, una volta trattenuti, non possono che rivelarsi tali, e noi, tramite prezioso, possiamo consegnargli ancora un istante, consolati dalla certezza di averli posseduti e possederli ogni volta che li guardiamo e ci emozioniamo nuovamente.â€
CRISTIANA COLLU, direttore del MAN, Museo d’Arte di Nuoro.
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SARDEGNA. UN ALTRO PIANETA.
Mostra fotografica di Franco Fontana, Paolo Bianchi e Sveva Taverna.
A cura di Cristiana Collu, direttore del MAN, Museo d'Arte di Nuoro e Marcello Serra, fotografo.
Progetto di Vittoria Cappelli per la Regione Sardegna
UN ALTRO PIANETA
Eccolo il fecondo e magico pluriverso Sardegna, il paesaggio materno di una cultura che riconosce la propria identità nel desiderio di offrire ospitalità in una esclusiva e sorprendente tensione tra l’abitare e il viaggio. Si tratta di un complesso palinsesto in controtempo, dove tutto il paesaggio (naturale, urbano, umano) rende visibile e concreta l’identificazione con la propria terra l’appartenenza a un orizzonte inconsueto, in uno scambio di possibilità e ricchezza simbolica. Le immagini di questa mostra, attraverso lo sguardo straniero del maestro e gli occhi delle giovani generazioni, aprono uno scrigno e ci rivelano un segreto che siamo chiamati a preservare e custodire, ma soprattutto a condividere con questa terra che è il luogo dell’ospitalità , dove ospite è chiunque e chiunque è ospite.
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Franco Fontana (Modena, 1933) inizia la sua attività di fotografo nel 1961; nel 1963 espone alla Biennale Internazionale del Colore a Vienna e nei successivi 5 anni è presente con varie esposizioni in Italia e all’estero. Il 1968 è l’anno di svolta nella sua ricerca fotografica, celebre per le sue immagini a colori, nudi e paesaggi che tendono verso forme astratte e che faranno di lui uno dei più importanti e rappresentativi fotografi internazionali. Nel 2006 ha ricevuto la laurea honoris causa in design dal Politecnico di Torino.
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Sveva Taverna (Roma, 1981) ha collaborato ai Toscana Photographic Workshop, ha lavorato come fotografa di scena per il Teatro Palladium, esposto e pubblicato le sue immagini in varie sedi. La sua ricerca fotografica trova nella Sardegna il luogo, strappato al tempo, dell’indagine sulla propria personale identità .
Cristiana Collu
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Emilio e Spazzolino. Urzulei, Sardinia 2008. Photo by Sveva Taverna for the exhibition "Sardinia. Another Planet"
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Dalla Recensione di Massimo di Forti, pubblicata sul Messaggero del 28.1.09
Volti di pietra. Volti di carne. Volti di terra. Osservando le immagini di Sveva Taverna esposte in 'Sardegna. Un altro pianeta' – mostra di Franco Fontana, Paolo Bianchi e della giovane fotografa romana, a cura di Cristiana Collu – tornano in mente le parole di Elias Canetti, allora ottuagenario, al suo editore italiano che gli chiedeva le ragioni per cui a tarda ora preferisse rientrare a casa con l’autobus anziché in taxi “Non mi sono ancora stancato di vedere le facce."
I volti sono storia, essenze, rivelazioni, enigmi, scrigni che tramandano destini. Delineano i confini di un’identità personale o collettiva che emerge dai fondali della memoria. È allo spettacolo dei volti, alla loro intensità sofferta o solare che Sveva Taverna affida l’identità preziosa di una cultura contadina capace di vincere una sfida a prima vista perdente e capace di imporsi, invece, miracolosamente sullo scintillio distratto dei tempi moderni.
Le sue immagini, tutte in bianco e nero, sviluppano una ricerca rigorosa e appassionata che ha avuto lo scorso anno un esordio nella personale Radici non a caso introdotta da una citazione di Salvatore Niffoi da 'La vedova scalza', che evoca con veemenza la straordinaria risposta di Canetti al suo accompagnatore: “A me la gente piace guardarla in faccia, entrargli dentro come un fulmine a bocca apertaâ€.
L’espressione implorante di 'Giovanna davanti al “barraccuâ€' o la sagoma scolpita dell’'Uomo alla Sagra della Castagna' hanno l’impatto indimenticabile di un mondo che coinvolge profondamente lo spettatore e richiama emozioni struggenti e incancellabili, in difesa delle quali si impegnò strenuamente un altro vate caro alla fotografa, Pier Paolo Pasolini; mentre la visione serena della 'Piazza principale di Aritzo' o l’elegante semplicità della 'Ragazza in costume' assumono il sapore di una promessa beneaugurante per l’avvenire.
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La mia prima personale "RADICI".
FotoGrafia, Festival Internazionale di Roma 2008.
19/4 - 25/5, PROROGATA SINO AL 30 GIUGNO.
Libreria ArionViaVeneto.
RADICI
Mostra fotografica di Sveva Taverna
"A me la gente piace guardarla in faccia, entrargli dentro come un fulmine a bocca aperta."
Salvatore Niffoi, “La vedova scalzaâ€.
Esiste una normalità che sta scomparendo. È la normalità di un mondo contadino, arcaico, ancestrale, per il quale si è battuto strenuamente il nostro ‘vate di carne’ del Novecento, Pier Paolo Pasolini, e che ancora sopravvive, nonostante le violente maree di un tempo in ebollizione.
La mostra vuole essere il racconto delle potenzialità umane che questo universo ha saputo esprimere e fa parte di un progetto di ampio respiro teso a documentare le ultime tracce dei popoli ‘vinti’ dalla Storia.
Terra di elezione: la Sardegna aspra e selvaggia dell’entroterra, ritratta attraverso i volti e i corpi delle sue donne, assorte nella propria dimensione quotidiana, che paiono esser giunte sino a noi dopo aver attraversato i secoli.
Susan Sontag ha illuminato il senso della fotografia come arte in grado di dar voce a questa realtà affermando: “Ogni fotografia è un memento mori. Fare una fotografia significa partecipare della mortalità , della vulnerabilità e della mutabilità di un’altra persona.â€
Le immagini scelte aspirano a rendere visibili frammenti di verità che attraversano i nostri giorni come lampi improvvisi e che, senza la fotografia, si perderebbero nel nulla.
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ROOTS
Photo exhibition by Sveva Taverna
April 19 - June 30, ARION bookshop, Via Veneto 42, INTERNATIONAL FESTIVAL OF PHOTOGRAPHY, ROMA.
'I like to look at people in the face, to enter inside their mouth as a thunderbolt, mouth wide open.'
Salvatore Niffoi, "The barefoot widow".
There is a normality which is fading away. It is the normality of a peasant’s world, archaic, ancestral, a world for which our XIX century’s “poet of the flesh†Pier Paolo Pasolini fought strenuously, a world which still exists, in spite of the rough sea tides of this period of turmoil.
This exhibition aims at narrating the human potential that this universe has been able to express and it is part of a broader project which documents the last traces and what is left of peoples that have been ‘won’ by history.
Chosen land: Sardinia, a harsh and wild inland territory, portrayed through the faces and bodies of its women, immersed in their daily dimension, who look as if they had travelled through time and through centuries to get here to our present day.
Susan Sontag highlighted the meaning of photography seen as the art capable of expressing this reality: “All photographs are memento mori. To take a potograph is to participate in another person’s (or thing’s) mortality, vulnerability, mutability.â€
This selection of images want to give visibility to fragments of truth which pass through our days as unexpected thunderbolts and which, without the art of photography, would be lost in nothingness.
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Recensione di RENATO MINORE, pubblicata sul "Messaggero", 16 Aprile 2008:
SARDEGNA, VEGLIE E DOLORI
RITI, VOLTI, OGGETTI DI UNA CULTURA SUL PUNTO DI SCOMPARIRE
di RENATO MINORE
Proviamo a osservare al microscopio quelle mani o quei volti o quei corpi di donna, oppure gli altri soggetti - medagliette con fotografie ricordo, pentole o porchetti appesi, primo piano della contadina, mater dolorosa come in un ex-voto - delle venticinque immagini in bianco e nero di Sveva Taverna (Radici, la mostra si inaugura venerdì alle 19 alla Libreria Arion di via Veneto). I frammenti e le nervature ancora conservano la memoria dell'immagine fissata in precedenza, senza lo strumento che le ha portate in primo piano. Poi, se la distanza al vetrino è ancora più ridotta, la figura scompare nella densità millimetrica della nuova visione. Sotto la lente galleggia un irriconoscibile universo di forme, non più governabili secondo la memoria della passata figura. Che sia qui, in questo scarto tra diverse immagini, l'essenza della "visionarietà ", del rapporto sfuggente che la cosa nota e riconoscibile ha con ciò che esaspera il conforto della visione calma, sussurrata nella prevedibilità ?
Sveva Taverna usa la macchina fotografica come un microscopio puntato su ciò che, evidentemente, le è consueto, le è caro, le è stato abituale, le evoca storie, veglie, fatiche, dolori. E cioè l'arcaico mondo contadino sardo messo in posa nel momento in cui sta per inabissarsi. "Il vero valore del ricordo sta nel fatto che ci fa capire che nulla è mai passato", scrive Canetti. Anche per la ventisettenne fotografa romana le radici sono radici, sono mondi dell'anima, filtri per conoscere altri mondi, paralleli o difformi. Sono un timbro o un registro che costituiscono il corpo, la stoffa, il colore, la presenza di sé nel mondo. Rinunziarvi è un'abiura impossibile: è mettere da parte la feconda morbida Voce dell'Altro, che sola può sanare riconducendo armonia nel corpo e nell'anima "O mano umana: la tua lingua universale. O mano di fatiche e di dolori": i versi de Unamuno sembrano echeggiare sullo sfondo, indicare o suggerire percorsi della memoria, elegiaci rapporti tra ciò che si sente e ciò che si vede, suggestioni, incanti, perplesse dolenti esibizioni.
Ma Sveva Taverna, come fotografo, sa per intuito e sensibilità culturale che il ricatto del sentimento è trappola micidiale per chi si muove nella familiarità o nella riconoscibilità del mondo. La trappola più a portata dell'occhio, in questo caso, è l'"oggettività " nascosta, il documento etnico, lo scavo su piste obbligate all'emergenza del tema: il lavoro nei campi, la fatica secolare, il consumo fisico del corpo, la storia segnata e travolta, esemplificata a futura memoria. L'oggettività diversa, che cerca e documenta in questa serie compatta e a suo modo visionaria del suo esordio fotografico è - appunto - quella del microcosmo. Estrae dalla totalità della visione le mani, chiuse dentro un inquietante disegno che ne scandisce il ritmo dei segni, il muoversi dei volumi, le pieghe delle unghie magari sollevate sulle carni evaporate. Dita che si piegano come per una muta preghiera affidata a un gesto ancestrale. Premono e la pressione s'imprime, impasta e da forma, una forma contratta e lancinante, mappe per orientarsi nelle ère geologiche della persona perché (ricorda Henry James) poi "il presente si vede solo di profilo, è il passato che abbiamo di fronte".
Nel segno di Pasolini, le immagini di Sveva Taverna sono schegge stravolte di un modo di essere, di muoversi nella vita segnata dalla violenza del destino, dalla collocazione territoriale e sociale, dalla rassegnazione operosa e biblica.
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Sveva su "Kult" di Marzo :
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