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Progetto Fernando Pessoa

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"DELLA NOSTRA COMUNE INCONGRUENZA"
Un Progetto Teatrale di LAURA FO
liberamente tratto da...
"Il libro dell'inquietudine di Bernardo Soares"
di Fernando Pessoa
Lo spettacolo si propone di mettere in scena il campionario lirico di riflessioni esistenziali che Fernando Pessoa scrisse, dietro la maschera di Bernardo Soares, con il titolo Il libro dell’inquietudine.
Si tratta di un monologo, costruito attraverso rimandi tematici, cuciti tra loro da proiezioni d’immagini filmate, animazioni e collegamenti musicali.
Il “cuore esaltato e triste” di Bernando Soares si rappresenta nello spettacolo della scrittura poetica di Pessoa. La sua vita trascorre tra l’ufficio di Rua dos Douradores dove lavora come contabile, e la sua abitazione, situata sempre nella medesima strada, al quarto piano di un modesto edificio.
Rua Dos Douradores. Una strada che per Soares è tutto.
Dall’osservatorio della sua finestra, Bernardo Soares contempla Lisbona, la gente, le strade, le nuvole, il vento, la pioggia, il susseguirsi dei giorni fra le veglie e il sonno: e ferma su attonite pagine quella vita di fuori, laggiù, lontana ma così presente. “Dalla vita non voglio altro che sentirla perdersi in questi giardini sbarrati dalla malinconia delle strade che li circondano, e incorniciati, oltre che dai rami alti degli alberi, dal vecchio cielo dove le stelle ricominciano.”
Impossibile non rimanere coinvolti da questo mondo fatto di suoni e di voci: mendicanti, arrotini, garzoni, barbieri, risse, lo sferragliare dei tram, le grida dei ragazzini che giocano nei cortili. “Tutti hanno come me, un cuore esaltato e triste. Li conosco bene: alcuni sono commessi, altri sono impiegati di concetto, altri piccoli commercianti; altri sono i vincitori da caffè o da bettola. Ma tutti, poveretti, sono poeti, e portano davanti ai miei occhi, come io porto davanti ai loro, la stessa miseria della nostra comune incongruenza. Hanno tutti, come me, il futuro nel passato”.
Già: “il futuro nel passato”; la nostalgia struggente dei ricordi. E – in stretta connessione – la solitudine, l’amore per la scrittura (“mi piace dire, anzi, parolare”), e la scrittura come forma del sogno, come via di fuga rispetto all’“inquietudine”, all’attrito con la realtà. Sognare è più pratico che vivere, perché attraverso l’immaginazione e il sogno si può evadere dalla gabbia della realtà e trasformarsi in altri personaggi, sperimentare nuove esistenze. “Un mattino in campagna esiste; un mattino in città promette; il primo fa vivere; il secondo fa pensare. E io sentirò sempre, come i grandi maledetti, che è meglio pensare che vivere”.
La città, le strade di Alfama, il caffè, il focolare, la stanza dell’ufficio, un mondo di piccole cose, esili suoni di strada, profumi che riconducono all’infanzia, stati d’animo. E ancora l’amore per la natura, le nuvole, il vento, i tramonti, la pioggia. Tutto “questo angolo domestico del sistema dell’Universo” viene fermato come in un erbario, e descritto attraverso il prisma di una sensibilità eccessiva e dolente.
“Invidio – appunta ancora Soares – coloro di cui si può scrivere una biografia, o chi può scrivere la propria”. L’orizzonte del suo monologo avrà una differente curvatura: “in queste mie impressioni senza nesso, né desiderio di nesso, narro indifferentemente la mia biografia senza fatti, la mia storia senza vita. Sono le mie confessioni e se in esse non dico nulla, è perché non ho nulla da dire. Faccio paesaggi con ciò che sento. Se scrivo ciò che sento è perché in tal modo diminuisco la febbre del sentire.”
“Faccio paesaggi con ciò che sento”. Ecco la chiave del ‘metodo’ di Bernardo Soares, ed anche del ‘metodo’ teatrale che ho sperimentato in questi anni, a partire dall’universo poetico prima di Angelo Maria Ripellino e quindi di Anna Achmàtova, incrociando lo spettacolo dei versi con l’esplicitazione diretta – tramite sussidi tecnici – delle immagini mentali che evocavano o cui esplicitamente si riconducevano.
In questa direzione, un testo così frammentato e articolato in fughe di evocazioni quale Il libro dell’inquietudine, si propone come un banco di prova ideale. La scommessa è condurre i percorsi fantastici del regista (e, tramite lui, dello spettatore) al più plausibile e suggestivo grado di consonanza con quelli del testo di partenza, facendo sì che un’opera nata come squisitamente letteraria si materializzi sotto gli occhi di chi assiste ¬ – per quanto la “materia” resti, con La Tempesta di Shakespeare, quella “di cui son fatti i sogni”.
Tento dunque di dipingere, come Bernardo Soares, paesaggi tramite le mie sensazioni, sfruttando le risorse della odierna tecnologia. Nel caso del Libro dell’inquietudine, fin dal primo momento mi è sembrato che il mezzo privilegiato per evocare il passo onirico e la sostanza metafisica di questo personaggio fosse – diversamente che per Ripellino e l’Achmàtova – l’animazione per immagini. Lo straniamento fantastico e il sapore di fiaba infantile che vi ineriscono mi sono sembrati il sentiero ideale per raggiungere il cuore di un personaggio allo stesso tempo fittizio e autentico, idiosincratico e universale che, come lui stesso racconta, mentre proietta il futuro nel passato, vive il presente in un continuo doloroso sentire.
Laura Fo
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