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Nik Giannelli

About Me


- WALKIN' GIANT -
Tra Aprile e Maggio 2008 vedrà la luce il disco d’esordio di Nik Giannelli, chitarrista compositore italiano. Il disco, prodotto a Roma da Flipmusìc Records (link nella pagina), è composto da 10 tracce totalmente inedite e si intitola “Walkin’ Giant”, dal nome di uno dei brani che lo compongono, che in italiano potrebbe essere reso come “Il Passo del Gigante”.
Quello di Nik Giannelli è uno stile tutto particolare, che egli stesso ama definire “Sport Music Style”, termine che si intona perfettamente alla filosofia insita nella sua musica, solare, divertente e ricca di immagini. Nik dipinge in ogni brano una situazione, una circostanza, partendo dalla linea che attraversa virtualmente la sua mente dividendola in due distinte frazioni – una più chiara e l’altra più scura – per poi arrivare a raccontare la naturale mescolanza degli elementi contradditori delle cose, degli opposti connessi ad un rapporto, o legati ai due sessi, o tra due mondi diversi o differenti stili, come d’altro canto quelli presenti nella sua musica, classica e moderna insieme. La fusione è leggera e composta, complice una scrittura di inusitata bellezza, e l’approccio è potente, veloce, sportivo: questo è lo SportMusicStyle.
Intimamente perverso e sottilmente estroverso.
Dall’incontro con una energia “immaginativa e fantastica” scaturiscono i temi del viaggio, degli affetti, della nostalgia, dell’azione e di un'identità in costante movimento: infatti, in “Walkin’Giant” Nik, lasciandosi condurre dalla melodia, esplora i rapporti tra l’energia e la dinamicità con rara sensibilità e raffinatezza, mescolando innovative sonorita’ elettriche, coinvolgenti ritmi della tradizione rock e suoni contemporanei.
Attraverso un percorso originale (che presto racconteremo) ed una
sintesi di ampio respiro, il disco si arricchisce anche della collaborazione di musicisti, tecnici e collaboratori provenienti da altre realta’. A curare il “cantiere di produzione” è Daniele Saracino, produttore ed arrangiatore nonché vero e proprio “motore” del progetto medesimo. Creatore del NKGProject, proposta di culto nella World Guitar Music, non è nuovo alla complessità di creazioni del genere.
Una menzione speciale la meritano gli ottimi e affezionatissimi musicisti che hanno contribuito allo sviluppo del programma: Emiliano De Mutiis, Marco Sarzo e Frank Bianco, tutti compositori e strumentisti d’eccezione, hanno fornito il loro apporto decisivo per la costruzione del giusto ambiente, di quel “presupposto musicale” fondamentale per la realizzazione del miglior SportMusicStyle.
- LA STORIA -
Sarò sincero.
Quando mi è stato chiesto di tener nota degli avvenimenti
legati a questo disco, esclamai: "…ehi, non sono mica un cronista!".
"Poco male…" fu la risposta "…significa che prenderai appunti anche con qualche scatto...". "Ma non sono nemmeno un fotografo... Ok suono, ma comunque non faccio il musicista, non di professione… Al limite,
se volete, una telecamerina, una specie di "making of"…". E la risposta fu per me veramente sconfortante, in quel momento: "Non ci interessa uno che fa il mestiere, un giornalista o un fotografo; qualche errore di stile o di sintassi, nel più disgraziato dei casi, può pure andare a farsi benedire; ci interessa tutt’altro, un Amico. Uno con cui possiamo condividere sul serio, con cui poter stare in studio e andare a mangiare dopo una giornata di lavoro. Uno che conosciamo e ci conosce a fondo. Eppoi non vogliamo telecamerine, come fan tutti adesso; magari per il prossimo disco, adesso no. Giusto qualche foto. Guarda, fai finta di essere rimasto negli anni ’70, quando ai bei tempi ognuno di noi moriva se non aveva appeso in camera il poster del suo musicista preferito e letteralmente divorava quelle poche immagini sulle copertine
dei vinile… e tirava le sue conclusioni!... Senti, mica è necessario
che stai con noi tutti i giorni, eh?... Solo ogni tanto, i momenti più
importanti: tu per noi sei un Amico. Ti va?"
Inultile dirlo, immagino: hanno vinto loro. Una catastrofe.
Ma lo sconforto è durato invero solo ventiquattr’ore: due giorni dopo già cominciavo a divertirmi.

Nei primi mesi del 2006 sono state registrate le stesure definitive di batteria, ad opera di Frank Bianco. Da anni impegnato in Spagna come uno dei rarissimi italiani a suonare Flamenco, Power Flamenco. Ma il bello è che Frank, finché è rimasto in Italia, ha suonato rock puro, da sempre. E fu Tony Arcuri (successivamente uno dei due splendidi chitarristi ospiti in “Cerberus’ Cry” insieme a Moreno Viglione) che casualmente, ricevendo a casa sua il produttore e sound engineer Daniele Saracino insieme a Nik Giannelli entrambi alla disperata ricerca di un batterista adatto per l’imminente inizio della lavorazione del disco, nel Novembre 2005 fece ascoltare per la prima volta un vecchio provino su cassetta registrato chissà quanti anni prima dove dietro alla batteria sedeva proprio Frank Bianco. Era parecchio tempo che ascoltavano batteristi e percussionisti di ogni genere, ma il verdetto quel giorno fu unanime: sebbene il nastro fosse praticamente distrutto, il feel, il colpo, la portata, il tempo, tutto stava ad indicare che Frank era quello giusto! Tornato in Italia per un brevissimo periodo durante le festività natalizie, durante una riunione a casa sua non riusciva proprio a capire cosa quei due volessero da lui, che ormai suonava Flamenco da tempo, e perché Tony – suo vecchio amico – si ostinasse a coinvolgerlo. E soprattutto, disse a Tony che Daniele gli sembrava un po’ strano, faceva domande insolite e diceva cose curiose. In ogni caso, si portò via il materiale relativo alla preproduzione con la promessa che, semmai se la fosse sentita, sarebbe tornato appositamente nei primi mesi dell’anno per la sessione di registrazione. Così fu. In meno di una settimana furono registrate da Daniele le parti necessarie rivedendole tutte completamente, nessuna esclusa, direttamente in studio, rendendo praticamente inutile il lavoro di preparazione svolto “a casa”. Dopo il primo giorno l’atmosfera era magnifica, e le giornate successive videro un vero e proprio susseguirsi di colpi di scena in studio, musicalmente e tecnicamente parlando, oltre a momenti di relax fantastici durante le pause. Daniele era riuscito in quello in cui di solito riesce sempre, vale a dire gestire e mettere a proprio agio i musicisti prima ancora di pensare a come suoneranno. Ribadisce spesso, infatti, che se i musicisti sono stati scelti per un buon motivo, a meno che quest’ultimo non si riveli completamente fallace, gestendoli correttamente si può solo migliorare drasticamente la loro performance. Ed in realtà, infatti, durante la cena dell’ultimo giorno di registrazione, non solo Frank confidò a Daniele i dubbi che all’inizio l’avevano pervaso circa i suoi metodi, ma ringraziò contentissimo dicendo che “finalmente, dopo tanto tempo che non lo faceva, qualcuno l’aveva messo ancora una volta in grado di suonare la batteria, e di suonarla rock!”. Eravamo tutti incredibilmente colpiti dalla potenza del suono – peraltro ancora crudo, non lavorato – e dal perfetto incastro tra il materiale disponibile e le parti di quelle meravigliose batterie. Ricordo che Frank riusciva sempre a cogliere il feel giusto con i soli suggerimenti di Nik e Daniele e nonostante avesse in cuffia solamente le tracce di preproduzione, e nulla più. Con Daniele, inoltre, arrivarono a ottenere un gran suono lavorando unicamente sul setup dello strumento, senza interporre alcun filtro ne’ toccare un solo “pomello”.
Il lavoro andò avanti in sordina, ma alacremente, nei successivi sei-sette mesi, condotto in tandem da Nik Giannelli e da Emiliano De Mutiis. Per gli ambienti si era deciso di utilizzare perlopiù suoni provenienti da synth e, se di piano, comunque non convenzionali. E perciò, la lavorazione avrebbe potuto continuare comodamente nello studio casalingo di Nik o di Emiliano, in attesa di poter nuovamente entrare in studio per realizzare il basso e, infine, registrare tutte le parti di chitarra. Per quel che ne so, credo che non pensassero di poter mixare tutto il materiale prima della fine dell’anno (2006), ed invece andò a finire che, inaspettatamente, nel Novembre 2006 il materiale fu praticamente completamente chiuso. A Settembre cominciarono le prime sessioni di registrazione di basso e c’era un po’ di confusione in studio, sia a causa degli impegni saltuari di Marco Sarzo, sia perché furono impiegati quasi tre giorni pieni per mettere a punto il recording-set per le chitarre prima che si cominciasse a suonare una sola nota, per far sì che tutto rendesse come doveva. Infatti, nonostante le prime prove in sala fossero state fatte addirittura nell’Agosto 2005 e l’idea definitiva su come procedere fosse stata approntata per la fine dello stesso anno, Daniele non era più completamente soddisfatto di quello che riusciva ad ottenere, oltre al fastidio di dover risolvere problemi di rumore, ground-loop e di “sporcizia” generale del suono, perlopiù derivanti dalla difficoltosa gestione delle poderose preamplificazioni delle potenti testate valvolari in gioco (connesse, peraltro, ad un impianto di messa a terra dello studio forse non efficacissimo) e dall’assoluto divieto imposto a se stesso e a Nik circa l’uso di noise-gate di qualsivoglia natura. Al termine della messa a punto del set-up, quindi, i primi giorni cercarono di alternare la registrazione di basso e chitarre, per non perdere ore preziose di lavoro. Marco avrebbe sicuramente preferito registrare con Frank, tant’è che lo disse apertamente, ma al momento della registrazione delle batterie ne’ Nik ne’ Daniele sapevano ancora quale bassista avrebbero scelto per le parti. In ogni caso, superate le prime difficoltà, Marco si dimostrò la scelta giusta, un suono molto bello, completo, potente e ricco, ma mai invasivo. Anzi, di vero aiuto al “powering” prodotto dalla batteria, un sostegno ulteriore. E qualche chicca messa qua e là, con gusto. In fin dei conti, ora c’erano le colonne portanti, ed anche le tastiere. Non restava che dedicarsi alle chitarre. Nik e Daniele hanno compiuto un lavoro sopraffino, in accordo perfetto, sebbene discutessero praticamente su ogni cosa. Nel senso che raramente si vedono due persone così affiatate eppure così critiche, sia l’una con l’altra sia nei confronti della validità della stesura del materiale su nastro. Il più delle volte, sebbene fosse tutto scritto su carta, tutto veniva riesaminato in ogni caso con cura, e sempre con un occhio di riguardo al significato delle parti. Nik ha registrato le ritmiche di base (quasi sempre in coppia, praticamente uguali da utilizzare in configurazione stereo), le chitarre solo e le doppie voci, scegliendo accuratamente ogni volta lo strumento da utilizzare tra molte chitarre, tra cui una Strato Reissue ’62, una Luke Music Man, una Strato Flame, una Gibson Explorer, una Gibson Les Paul Black Beauty. Le regolazioni delle testate, una Engl e una Marshall Anniversary, subivano poche variazioni reali, che perlopiù potevano considerarsi quelle di base, spaziando dal pulito, al crunch, al
distorto, ma sempre lavorando complementarmente e non intervenendo mai, invece, sull’HighBass (il Subwoofer, ndr).
L’idea di Daniele era di ottenere le diverse “voci” con un metodo alternativo, oltreché ovviamente utilizzando, quando necessario, qualche pedale Boss, un CryBaby o un UniVibe piuttosto che un Whammy. La complementarità, le regolazioni, la microfonazione particolare e il successivo mixing dei 7 canali per ognuno dei “take” di ripresa, e quindi per ognuna delle parti, ha fatto sì che si potessero ottenere le varie voci, i vari suoni, semplicemente intervenendo sulle posizioni dei faders. Grande. E funzionale!
Prima della fine dell’anno il disco fu interamente mixato.
E mentre dall’inizio del 2007 erano allo studio varie soluzioni per il look, l’estetica della copertina, l’eventuale merchandise e per tutto quello che doveva rappresentare il progetto nella sua interezza, il materiale sedimentava, e contemporaneamente si faceva strada nella testa di Nik la netta convinzione che servissero ulteriori piccole variazioni e “arrotondamenti” in aggiunta al materiale già definito. La cosa deve aver convinto in qualche modo anche Daniele Saracino, poiché, tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008, tali modifiche sono state dapprima ponderate e successivamente attuate, tanto da rendere necessaria un'ulteriore sessione di studio (questa volta a Milano) al fine di approntare e registrare nuove parti di chitarra acustica con brevi armonizzazioni e ritocchi di chitarra elettrica.
Ora il lavoro è definitivamente pronto, disponibile per l’ascolto immediatamente dopo la sessione di mastering. Spero di non aver fatto troppi errori "di stile e di sintassi".
- STORYBOARD -
HighBass S 500 Guitar Subwoofer - La costruzione

/P
The Italian Guitarist and Composer Nik Giannelli will debut with his first record between April and May 2008. Its title is “Walkin’ Giant”
as one of the ten new tracks composing the record produced by
Flipmusìc Records in Rome (link in the page).
Nik Giannelli calls his particular style “SportMusicStyle”, a definition that perfectly fits the philosophy of his sunny, funny and image-rich music. Through his songs he describes a situation, a circumstance starting from the line virtually crosses his mind and divides it into two separate portions, a light one and a dark one. The result is a tale profiling the natural mixture of contradictory elements of things, of opposites of a relationship or concerning male and female, or between two different worlds or styles as well as the aspects of his music, that is modern and classic at the same time.
The mix is light and simple thanks to an unusual beautiful writing, and
the approach is powerful, quick and sports: that’s the
SportMusicStyle.
Deeply wicked and sharply outgoing.
His fantastic, imaginative and creative energy is the origin of a music dealing with trips, feelings, nostalgia, action. It tells about man’s steady move.
In the Walkin’Giant’s involving melody he perfectly explores relationships between energy and dynamism with a touch of a rare sensibility
in the framework of new electric and contemporary sounds
and involving traditional rock rhythms.
The record is the result of an original path (we will soon describe) and a joint work of musicians, professionals and partners from different fields. The producer and arranger Daniele Saracino, highly skilled about such a complex situations, took care of the production of his NKG Project,
a cult in the World Guitar Music.
A special thank goes to the exceptional musicians (and composers) Emiliano De Mutiis, Marco Sarzo and Frank Bianco, which gave their special contribution to create the perfect music environment,
as the essential element to perform the best
SportMusicStyle.
- NIK GIANNELLI -
Nik Giannelli nasce a Roma...
ATTENZIONE:
WORK IN PROGRESS!
TUTTE LE INFORMAZIONI SUL DISCO E SULL'ARTISTA SARANNO INSERITE NELLE PROSSIME ORE
INTANTO GODETEVI IL SAMPLE DI 2 MINUTI DELLA POTENTISSIMA "Walkin' Giant", IL SINGOLO CHE DA' IL NOME AL DISCO!!!

My Interests

Music:

Member Since: 2/12/2008
Band Members: SportMusicStyle, NKG and NKG Project are property of Flipmusic/Nik Giannelli.
Profile Designer: D. Saracino.
Optimized for 1280*X resolution.
Influences:



_______ACQUERELLO_______

CRITICAL DIVERSION - E’ notte. Bagliori. Dal sospetto di essere pedinati alla certezza. Terrificante. Una fuga a tutta velocita' per poi carambolare in pericolosi tentativi di far perdere le proprie tracce. Il tutto per tutto in un “momento critico”. Le prime luci dell’alba, un aereo, si vola. Uno schianto, di nuovo la strada, il cuore in gola, unico incessante tonfo sordo in un nascondiglio abbandonato prima di uscire ancora allo scoperto, verso l’ultima fuga. E’ fatta! No, forse no.

WALKIN’ GIANT - Il passo del Gigante. Fa tremare la terra e sprigiona la potenza della sua presenza. E diffonde la Paura.

UNWIRED - La mente è scollegata, confusa, instabile. L’uomo di oggi, frenetico, nella ricerca di una tranquillità felice. Effimera, nel mare del Caos.

FALLING SLOWLY - Non voglio cadere. Ma è inevitabile. Non riesco a fermarmi, non c’è nulla a cui aggrapparsi. La caduta è inevitabile. Ma dopo l’abbandono incredibilmente mi sorprende, è lenta e piacevole nel vuoto inesorabile. Inarrestabile in un buio cielo confortato dal rumore di stelle. Nel cedimento, un profondo senso di pace.

DONNA - L’Uomo contempla la Donna. Il Maschio scruta la Femmina. Il mistero, l’enigma. La passione, la rabbia, il disincanto, la rassegnazione, la separazione. Il sogno non realizzato.

ALONE - Problemi da risolvere, indecisioni, ansie personali, la crisi d’identità. Sei solo. I momenti di forza, le soddisfazioni. E i momenti da ricordare.

THOUGHTLESS - La spensieratezza che rievoca momenti adolescenziali, di una suggestione quasi fiabesca. E’ la distensione che ti allontana dai problemi quotidiani, è uno stato di pace personale quasi elettrizzante, che vorresti non finisse mai.

SPACETRAIN - Il viaggio di un treno. Un allarme evocato da sirene segnala l’imminente partenza. Stridore meccanico di lamiere, per ritrovarsi in uno spazio aperto tra curve e salite. Una buia galleria ci separa da un paesaggio completamente diverso… e poi la corsa finale.

CERBERUS CRY - Lo senti. Non lo vedi ma è vicino, e puoi riconoscerne il respiro, la quiete “prima” della tempesta. Sei preparato, ma poi è agghiacciante. L’urlo del leggendario mostro a tre teste. Sono tre chitarre, sono tre diverse personalità. L’animale è uno.

SAY - Hai bisogno di conoscerla. Devi sapere. E’ una necessità, è l’amara urgenza di conoscere la verità. Che, altrimenti, rimarrà un’ipotesi confusa sull’eterno disordine del non detto.



Innanzitutto, grazie al mio Alter-Ego Daniele Saracino. Mio amico, Producer & Sound Engineer, nonché fedele collaboratore dal 1998. Ora che ci penso, merito di
una meravigliosa Luke Music-Man che ancora possiedo,
se ci siamo conosciuti. Grazie, Nik.

Ciò che è stato fatto, dagli inizi al nuovo Progetto, quello definitivo per forma e colore, non è un semplice disco, è parte di un amore, di un “sentire”, di un bisogno, di un’urgenza che ha avuto riverberi di amicizia e di esperienze da condividere.
Sono stato il classico adolescente anni ‘80 che pensava alla scuola, agli amici e a tutto quello che la “semplicità” poteva portare; ma la musica mi “muoveva” sempre, dentro e fuori. Forse fu naturale, poi, approdare al Conservatorio di S.Cecilia, visto che vivevo e vivo tutt’ora a Roma. Sono sicuro però di aver compiuto, inconsciamente, una sorta di percorso inverso, poiché i brani classici sono stati prima la mia “compagnia” e solo dopo le mie “note”. Per molti versi è stato decisivo lo stimolo di mio zio, persona colta nonché chitarrista amatoriale e sensibile il quale, mentre mi suggeriva incessantemente di andare “al di là della partitura”, di nascosto ai miei genitori mi confezionava, con astuzia da intenditore, compilations su compilations di musica moderna su cassetta (ricordate le mitiche TDK?!). Nonostante questo, riuscii ad uscire dal S.Cecilia col massimo dei voti e forse "proprio per questo" un poco più equilibrato di testa. Perché timidamente ho cominciato subito a scrivere, visto che mi confrontavo soprattutto con i Colossi della musica classica. E solo dopo anni mi accorgo che la mia era piuttosto un’esigenza di “trascrizione”, di “traduzione” in musica degli stimoli di allora, di ciò che ascoltavo o leggevo, dei sentimenti che provavo per qualcosa o qualcuna di cui ero innamorato. Un bisogno di “riprodurre” tante realtà che per me acquistavano valore con le note.

Poi si cresce un poco (e spero mai definitivamente), e si matura (spero tanto…). Hai voglia di investire in un qualcosa di definitivamente tuo, un progetto personale, si incontrano persone, amici, collaboratori. Esiste in questo Progetto una figura fondamentale per il mio percorso artistico: Daniele Saracino. Nel 1999 abbiamo cominciato a confrontarci insieme su vari aspetti della musica e della vita e non abbiamo più smesso.
Ho solo un vezzo: quegli occhiali da sole riconoscibilissimi. E’ un omaggio, e nulla più, che spero possa essere accreditato e accettato come tale. Per ciò che riguarda le mie influenze, non so se sono così evidenti, alle volte vorrei che lo fossero un po’ di più.
Sto dalla parte della melodia, sto dalla parte della musica, nel senso che mi interessa ascoltare le note e non gli schemi o le tecniche. Sono italiano e amo le melodie. Mi piace come si imposta il fraseggio, “sentire” le pause, i respiri che si usano e come si usano. Mi interessa il mix tra colloquiale e ricercato. Non mi piacciono la supponenza, l’insegnamento della tecnica a tutti i costi, adoro che mi venga raccontata una storia, cosicché io possa poi trarre le mie conclusioni, personali. Forse sì, questa influenza c’è: quella che mi ha spinto a confrontarmi con i grandi chitarristi di oggi soprattutto nel campo della scrittura. Poi nuoto molto. Mi aiuta. Penso molto. Osservo.

All’inizio del “viaggio”, come molti usano chiamarlo, Daniele ed io siamo stati in giro a lavorare per molti giorni, in situazioni sempre diverse, cercando modelli, concetti da approfondire; questo ci ha dato la possibilita’ di confrontarci e sviluppare a strati idee, fantasie e trip di ogni genere, e ci ha fornito, quasi senza che ce ne accorgessimo, un’enormità di spunti su cui lavorare, ma senza mai perdere di vista il risultato finale. Fondamentalmente, il pensiero era quello di disporre di un sound innovativo per le chitarre “cantanti”, magari a volte inusuale, per ciò che sono i canoni vigenti in questo genere di musica, ma che desideravamo fossero sommerse da un retrogusto vintage, di portata comunque ben conosciuta.
Istintivamente avrei intrapreso un percorso fatto di scelte piu’ semplici e accomodanti, quelle cioe’ di convenienza, che sono in genere quelle di cui poi ti penti, ma Daniele – con la sua lucida esperienza – ha optato per la strada più ostica, è vero, ma di certo più affascinante, quella che poi genera il tipo di risultato migliore. Non è mai esistito uno storyboard, adesso ovviamente c’è, ma allora focalizzammo un obiettivo, uno standard qualitativo, un modus operandi che poi, ovviamente, si rivelarono la “condizio-sine-qua-non” per eccellenza.
Ovviamente, per un viaggio insieme di questo tipo dovevamo fare i conti anche con diversi ostacoli di natura economica e organizzativa, con il fatto che era tutto da fare, dal suono delle chitarre alla preparazione del set, dall’idea di voler costruire un sub-woofer ad hoc alla formazione della band e le conseguenti prove in studio con tutti; dalla scelta su come operare al calendario, agli studi, le procedure, le prove tecniche e un mucchio di altre beghe. Non facile. Ma la magia è avvenuta, e non esagero dicendo così. Anche se in tempi lontani tra loro a volte mesi, gli incastri sono stati perfetti.

Credo nella libertà totale d’espressione, nella libertà d’azione, nel divertimento puro, ma dietro deve esserci sempre un Progetto, e il rispetto per gli altri. Poiché aborro l’indisciplina e l’inconcretezza, e soprattutto disprezzo assolutamente l’anarchìa e l’arroganza. La sensazione che si ha lavorando con Daniele è invero quella di partecipare ad un grande gioco, però conoscendo a memoria le regole. Qualcuno disse, durante la lavorazione, che il nostro era un approccio che considerava innovativo per fabbricare un disco, quanto meno qui in Italia. Forse questo è dovuto alle pregresse esperienze produttive di Daniele Saracino, Sound Engineer e Produttore che ha imparato il mestiere fuori da questo paese quasi vent’anni fa, e che da allora si ostina a credere in artisti e musicisti italiani. Molto del materiale prodotto da lui è infatti apprezzato all’estero. Io in realtà penso che non si tratti di innovazione, o almeno non solo, ma di procedura corretta. Molti italiani dicono di essere “allineati” a quest’ultima, ma la maggior parte lo è solo a parole. Molti non hanno nemmeno il sufficiente back-ground di base, si parla molto e si conclude poco. Sono convinto che, a lungo andare, la differenza poi venga fuori tutta. Un’altra cosa che mi lascia inverosimilmente perplesso, è l’incredibile impreparazione musicale di chi produce, e in generale di molti tecnici e sound engineers. Ovviamente, perentorio divieto di fare di tutta l’erba un fascio. Ma credo che per fare questo mestiere sia assolutamente necessaria e complementare la conoscenza di uno strumento musicale almeno ad un certo livello, qualsiasi strumento, nonché della sua base teorica. Il che, poi, si traduce semplicemente nel conoscere un poco la musica: altrimenti il rischio è quello di parlare e non capirsi e ciò, oltre a non portare nulla di buono, è veramente spiacevole. Daniele possiede questa preparazione.
Ha contribuito moltissimo alla riuscita di questo progetto (come di altri di cui si è parlato secondo me troppo poco), alla selezione iniziale del materiale e agli arrangiamenti; abbiamo poi raggiunto una grande sintonia nella produzione di ogni singolo brano, trovandoci sempre d’accordo (…e sempre alla fine di grandi discussioni) sulla strada da seguire, sullo spazio da dare alla chitarra, sul sound. Nei momenti più divertenti, nel bisogno di assicurarci il giusto sound utilizzando posizioni diverse da quelle inizialmente previste ma assolutamente impossibili da ottenere con l’estensione di una sola mano, ha perfino suonato la chitarra con me ottenendo sorprendenti risultati a quattro mani (octopus-style, come l’abbiamo definito scherzosamente in seguito); con lui abbiamo controllato mille volte le strutture, le parti, gli arrangiamenti e il modo di suonarli. E’ stato l’Engineer di tutto il disco.

Ho cominciato a capire che cosa vuol dire lavorare con la musica e non solo suonarla. Ad esempio, la cosa strana per me è stata – una volta terminate le prove in sala a Roma per la “costruzione” dei suoni di chitarra – non riuscire a sentire un secondo di materiale sonoro di senso compiuto fino al riascolto dei files dopo la fatidica prima accensione della luce rossa del “record”, per cui continuavo a dirmi “fantastico questo suono!” oppure “bellissima questa frase!”, ma in verità non avevo ancora nessun confronto con la realtà.
E’ un disco vitale, sofferto, intimo, elettrico. Ho deciso di intitolarlo Walkin’ Giant perché vorrei che chi lo ascoltasse, potesse arrivare a comprendere ciò che c’è stato prima delle note e delle melodie che hanno dato vita a quelle canzoni.
Tutto sommato, registrare un album è una testimonianza, è comunque lasciare un segno.
Per ciò che riguarda le collaborazioni, credo si sia venuto a creare un ottimo equilibrio tra la proposta che abbiam fatto al musicista e la validità della sua collaborazione con noi. Mi son stati consigliati molti turnisti da colleghi e amici, ma il mio primo interesse è stato relativo alla loro identità e al fatto che potessero svolgere un lavoro personale, che si esprimessero con il loro linguaggio caratteristico, riconoscibile. A tua volta, poi, se hai un’identità forte, non devi temere che grandi musicisti come Emiliano, Frank o Marco snaturino la tua proposta: la tua essenza viene fuori comunque, anzi può soltanto essere arricchita.

Se diamo uno sguardo alla Storia della Musica, apprendiamo che il genio è in gran parte innato, ma che la creatività è anche tecnica e disciplina: quindi possiamo svilupparla e, soprattutto, occorre tenerla allenata. Possiamo persino stimolarci autonomamente a pensare fuori dagli schemi. Viviamo infatti nell' "era della distrazione": mutamenti repentini e un eccesso di stimoli che non fanno altro che generare confusione, in particolar modo tra i giovani. L'attitudine alla concentrazione si può accrescere seguendo regole tutto sommato elementari, ci si può “imporre” di considerare la realtà da punti di vista diversi, sforzarsi di trovare analogie tra fenomeni solo apparentemente lontani tra loro; infine si può conservare anche da adulti la sana curiosità dei bambini.
L’Amore, maiuscolo, nella sua accezione sublime, spesso ci avvicina alle scelte più scomode, ma quasi sempre alle scelte migliori: mi e’ sempre piaciuto lavorare con poche persone. Poche ma buone. Poter suonare da soli e con molto tempo a disposizione, all’inizio, ti consente di evitare certi compromessi. Poi arriva il momento del confronto, che devi attuare con le personalità giuste.

Di solito il materiale che compongo è già definito anche nell’ aspetto ritmico ma questa e’ piu’ un’esigenza ispirativa che musicale. Su precisa richiesta di Frank, infatti, mi son ritrovato a spedire nuovamente in Spagna il materiale dei provini senza la drum-machine che avevo lasciato in quelli che si era portato via da qui. Fu una richiesta che fece per sentirsi piu’ libero, suppongo. Nella mia prima fase di lavorazione compongo tutto da solo a casa, usando le mie chitarre e i miei ampli preferiti e registrando il tutto su un sistema Nuendo. Prediligo suonare in modo molto libero con la chitarra, di getto; registro di tutto. Una volta che ho messo tutto sul nastro virtuale, comincio a dar forma alla composizione con gli arrangiamenti, sistemo le batterie elettroniche piuttosto che qualche synth o le parti di basso, che alle volte registro direttamente con un vecchio basso Ibanez o che compongo utilizzando qualche plug-in virtuale, come Trilogy.
Così comincia, e non c’è una regola, una partenza sempre uguale, viene tutto un po’ alla volta e spesso si ricomincia più volte daccapo. Poi presento tutto ai musicisti, a cui chiedo l’anima.

Il Live è una dimensione naturale, e in studio tendo a ricreare la stessa atmosfera, a parte il fatto di non avere un pubblico vero e proprio. Per la registrazione delle chitarre si è deciso, per motivi tecnici, di stare praticamente sempre in regia e non in ripresa, con lo strumento. Sono ugualmente riuscito però a calarmi bene altrettanto nella situazione. Inoltre così avevo un pubblico, piccolo, ma c’era, ed il volume è sempre stato sostenuto fino al limite più alto per ovviare al fatto che non fossi “fisicamente” vicino al mio set.
Avevamo la possibilità, infatti, di switchare su un impianto più potente di quello previsto in regia, vale a dire su un sistema Quested mid-size con relativo sub. Potentissimo. Avevo i ragazzi che erano lì, a portata di mano, che sembrava stessero realmente suonando con me, e la mia chitarra era perfettamente inserita. Avevo persino un feedback-feel incredibilmente sempre pronto. Molto tradizionale, in fin dei conti, molto live, ma raro da vedere (e sentire, credetemi...) in studio. Se non fosse che, in ripresa, c’erano sette microfoni a riprendere un set che, ugualmente, tirava bordate allucinanti. Chiunque passasse in quei giorni in studio, si “congratulava” con noi (mettiamola così…) per quel volume fantastico.

Ci sono voluti quasi tre giorni per incidere le prime note, per mettere a punto il set-up, ma ne è valsa la pena.
A parte il piccolo pubblico e i pochi colleghi che tra un take e l’altro dicono la loro ero solo con Daniele, produttivamente parlando. Vi assicuro che registrare con lui e’ un’esperienza dura al limite della mania di perfezione, un vero cecchino con l’orecchio. Cio’ che ascoltava mentre si registrava era già il pezzo finito, non qualcosa che sarebbe cambiato in seguito!
Quindi pochissimo taglia e cuci, quasi nulla.

Da questa esperienza ho imparato che comunque in studio, con le persone giuste, sopraggiunge sempre qualche avvenimento che ti induce non solo ad imparare dai tuoi errori, ma anche a cambiare qualche circostanza, ragion per cui – anche avendo gli assoli appuntati nota per nota – capitava spesso qualcosa di inaspettato e a volte molto piu’ bello, a cui non avevamo pensato prima.
Abbiamo composto il set con due testate valvolari, una Marshall Anniversary e una Engl Savage 120, due cabinet Marshall 4x12, uno vintage ed un comune 1960a, un cabinet singolo Rivera ed il sub costruito per l’occasione da Daniele, il portentoso HighBass S, che oltre a permettermi un suono di gran lunga più compatto e potente sui bassi ha permesso di differenziarli in maniera strategica, potendo conseguentemente controllarli con molta più efficienza, cosa che altrimenti non sarebbe stata possibile. Ho usato diversi pedali: mi piacciono molto e permettono moltissime combinazioni, sono puliti anche con volumi molto sostenuti e spesso mi capita di usarli come semplici filtri statici, non dinamici, come il Whammy o l’UniVibe o il CryBaby.
La particolare tecnica di ripresa usata da Daniele ha poi permesso di ottenere un numero infinito di vere e proprie varianti timbriche, non solo sfumature, per ogni suono precedentemente “impostato” in registrazione.
E intorno a tutto questo, girava una quantità non indifferente di splendide chitarre, una Stratocaster Reissue ’62 Candy, una Strato Flame ’90 costruita completamente a mano da Bob Viglione nel suo laboratorio in Roma, una Gibson Explorer, una Luke Music Man, una Les Paul BB, due Ibanez Joe Satriani, una D35 Martin e qualcos’altro ancora che non ricordo. Per chiunque di voi dovesse apprezzare il lavoro: avrei voluto che fosse lì con noi. E' un'esperienza unica. Buon ascolto.

Nik Giannelli

/P
First of all, I want to thank my alter ego Daniele Saracino. Friend, Producer & Sound Engineer, as well as loyal and constant music partner since 1998. Thinking about it, all is due to a wonderful Luke Music-man that still belongs to me. Thanks, NiK.

What we did at the very beginning of this Project, the definitive one in color and shape, is more than just a record. It’s part of a true love, a feeling, a need; it’s an urgency reverberated into friendship and mutual experience.
I was the typical teenager of the ‘80s. At that time I cared about school, friends and simple things; but music always “droved” me, in and out. I lived in Rome, as I still do today, and therefore it was somehow natural, to get into the Conservatorio di S. Cecilia. I’m positive that I followed a sort of reverse path: classical music was my first “company” and just afterwards it became my “notes”. Probably the first who stimulated me was my uncle: a man of culture and a sensitive amateur guitarist. He kept prompting me to go “over the score”. Being a wise connoisseur, he recorded on tape (do you remember the mythical TDK?!) compilations and compilations of modern musicians, specifically made for me. My parents didn’t know anything of this!
Notwithstanding this, or maybe because of this, I managed to graduate at S. Cecilia with full mark, but at the same time with a sort of mental balance. I started almost immediately to compose, maybe because I tried to compare myself with classical music giants. Now, after a few years, I see that it was the need for a transcription translating into music what I felt then: a book I was reading, music I listened to, something or someone I loved. Realty was real to me just through notes, transforming it in music made it valuable to me.

Then you grow up a little (I hope never completely!), and you are more mature (I hope a lot…). You feel it’s time to invest in something that belongs totally to you: your own Personal Project. And you meet people, friends, co-workers. One person is fundamental to this project: Daniele Saracino. Since 1999 we have been comparing ourselves one with the other upon music and life in general. And we’ve never stopped since then.
I have one single whim: those clearly identifiable sun-glasses. It’s just a form of respect. I truly hope that it will be understood and accepted. I’m not sure that what had influenced me comes out clearly: sometimes I whish it were more evident.
I keep for melody; I keep for music. I take a deep interest in listening to the notes; I don’t listen to the schemes and techniques.
As an Italian I love melodies. I like phrasing, I like “feeling” the pauses; I like the breaths and I like to use them. I like to blend colloquial and learned. I don’t like arrogance, the necessity to teach a technique at all costs. I love to be told a story, and then draw my own personal conclusions. Perhaps there is an influence here: something that made me to face great contemporary guitarists when writing music. And I swim a lot; it helps. I think a lot. I watch.

At the beginning of the “journey”, as we often refer to, Daniele and me went around a lot. The situations were always different, and we kept looking for models, concepts needing deep investigations. This allowed us to try on ourselves developing layers of ideas, fantasies, and a different kind of mania. Without even realizing it, we found endless hints to work on. But we never lost track of the final goal. Basically it has been a search for a new sound made for “singing” guitars, something strange according to the standards commonly used in this kind of music. All the same we wanted to deep our music into a slight vintage aftertaste, something well recognizable anyway.
For myself I would have gone through an easier path, choosing convenience rather than difficulty. But Daniele, with his bright experience, decided for a bumpy but far more exciting road; the one leading to the best result. Now there’s a storyboard, but at that time we just focused on our goal, continuously working on a quality standard that at the end of the day was the necessary toll to pay for excellence.
Clearly enough we had to face all different kinds of economic and logistic difficulties. We had to start from scratch: the sound for guitars, the set, the specifically-made sub-woofer, and the creation of a new band, the studio rehearsals. We had to choose what to do: the schedule, the studio, the procedures, technical tests, and other endless hustles. But magic became real: I’m not exaggerating! Even in different moments, sometimes with gaps of months, we manage to fit everything and everyone perfectly.

I believe in a total freedom of expression and action. I believe into pure fun, as long as there is a Project and respect for the others. I loathe the lack of discipline and solidity, but I despise even more anarchy and arrogance. When working with Daniele, you have the feeling you are part of a game, but you need to learn the rules by heart. While we were working, someone said that our approach to the record was completely new, at least in Italy. This is probably due to the past experiences that Daniele Saracino had as Sound Engineer and Producer in foreign countries. He learned his job more that 20 years ago, and since than he insists on believing in Italian artists and musicians. His work is highly regarded abroad.
I personally think, though, that what we did was not just innovating: we first of all followed the correct procedures. Most of the Italian musicians say they follow into line with the latter, but most of them just say so. Most of them don’t even have an adequate musical background; there’s a tendency to speak a lot and to achieve little. I believe, though, that differences will come out clearly on the long-term. What really strikes me is the unbelievable non-musical knowledge of the producers as well as of the technicians and sound engineers. It’s of course forbidden to paint them all with the same brush. On the other hand if you want to be a musician, I deem necessary and complementary a deep knowledge of at least one instrument; it doesn’t matter which one together with its theory. In other words: you simply have to know music otherwise you risk to talk and not to be understood: which is something either bad or unpleasant. Daniele has this qualification. He gave a huge contribution for the making of this project (as well as of other projects that I believe have been underrated).
He helped in the selection of the original material and in the arrangements. Later, we were on the same wave-length when producing each song, deciding the line to follow, the role of a guitar and the sound: we always agreed...(well, usually after big arguments!). We really had a great time, especially when we had to get the right sound and Daniele played with me on my guitar (in what we jokingly called later the “octopus style”). This allowed us to reach an extension otherwise unthinkable playing “just” with one hand. The result of this 4-hand playing was striking! We checked a thousand time the structures, the parts, the arrangements, and the style. Daniele has been the Engineer of the whole record.

I understood what it’s “working” with music. Before it was just “playing” it. Once we were done with the first hall sessions of rehearsal in Rome for the “building up” of the guitar sounds, it was weird for me not being able to listen to a definite single minute of any song. I had to wait up to when we checked the files after the fateful turning on of the recording red light. I remember I kept saying things like “this sound is fantastic” or “what a beautiful line”, but the truth was that I didn’t have the faintest idea of how the whole thing sounded like. It’s a lively, deeply-felt, intimate, and electric record. I decided to call it “Walking Giant” because I wish that who’d listen to it will understand the whole process behind it: what there was before each note, each melody that ended up in the album.
At the end of the day, recording an album is leaving a witness: whatever happens it’ll be a mark.
I believe we managed pretty well in the collaboration with the musicians. We did find the perfect balance between what we’ve proposed to the musicians and the value of their personal work. Colleagues and friends tipped me on a good number of musicians to call in. But my first interest was always focused on the peculiar identity of each musician working with me. Each of them had to be able to carry out their own personal work, to express themselves according to their own characteristic musical language. In turn, if one has his own strong identity, he won’t be afraid that great musicians (such as Emiliano, Frank, or Marco) will change the inner nature of their idea: the essence will come out anyway, and most probably enhanced.

If we have a look at the History of Music, we’ll realize that the genius is usually a natural ability; on the other hand creativity is linked to technique and discipline.
This means that it’s something one can develop with constant training. We can even spur ourselves beyond the schemes. We are living in the “distraction” time: abrupt changes and an excessive number of stimuli develop confusion, especially among the youngsters. By following simple rules, it’s possible to develop an attitude to concentration. We can make ourselves to consider reality from different points of view, to try to find analogies between things apparently far one from the other. And overall we can preserve a child curiosity even when we grow up.
Love, the real and sublimate one, often drives us to difficult choices, which are often the better ones: I’ve always loved to work with few people. Few but good! Playing on your own is good at the beginning: it makes you to avoid compromises. But at some point you need to have no fear to compare yourself with the right people.

When I compose, I’ve usually already defined the rhythmic aspects of my music. To me it’s more an inspirational rather than a musical need. According to a specific Frank’s request, I sent in Spain new sample material without the drum-machine, which was instead present in the material we had recorded in Rome and that Frank had brought back with him. I suppose he asked me that ‘cause he felt the need to work more freely. When I work to my music, my first step is composing home, on my own. I play my guitars, I use my favorite amplifiers, and I record anything that comes out on my Nuendo System. I like playing my guitar without constriction, straight off. And I record everything. Once I have transferred the material on a “virtual tape”, I start shaping the composition with the arrangements. I settle the electronic drums, some of the synth, the bass sessions. I sometimes compose the latter, using either an old Ibanez bass or virtual plug-in (like Trilogy).
So it starts. There’s no rule, no settle begging. It comes out step by step. And it happens quite often that I start the whole thing again and again. Then I show my stuff to the musicians: I ask them to give heart and soul to me.

Live is a natural dimension to me. I try to recreate the same atmosphere when recording in studio, even if there’s not a real audience. For technical reasons, we had to record the guitar sessions playing all the time in the control room, not in take. I managed anyway to adjust myself to the situation pretty well. This allowed me to always have an audience in front of me, even if a small one. In order to get around to the fact I was “physically” far away from my set, we turned the volume up almost to the extreme.
We actually had the chance to switch on a more powerful system than the one available in the control room: it was a Quested mid-sized System with the relative sub unit.
I had the guys there with me, somehow at hand reach, and it felt like they were playing with me: my guitar was perfectly contextualized. Incredibly enough, I always had a feedback feel ready for at all time. Something very “traditional” and, at the end of the day, “very live”. But it’s stuff you see and hear pretty rarely in studio. Apart from the fact that there were seven microphones in take, recording a set pumping incredibly high up.
In those days, whoever stopped by the studio “congratulated” us on that fantastic volume.

It took almost three days to record the first notes and to settle the set-up: but it was worth it!
Excluding the small audience and the few colleagues speaking their mind in between one take and the other, there was only Daniele: the producer. Trust me when I say working with him it’s hard: it’s an experience going beyond the limits. He’s a perfection maniac; his hear is a sniper. Whatever he listened to during the recording sessions, that was the ultimate and definitive song; it was not something that would be modified afterwards.
This means very little, or rather none, “cut and paste”.

From this experience I learned that something always happens in studio, if working with the right people. This makes you to learn from your own mistakes, but at the same time to change some passages. Even if I had the whole thing written down note by note, something truly new and beautiful came out; stuff I’ve not thought about beforehand. We made a set with two powerful heads, a Marshall Anniversary, an Engl Savage 120, two cabinet Marshall 4X12, one vintage and one common 1960a, a single cabinet Rivera and the great sub specifically hand-made by Daniele for this record; the amazing High Bass S gave me the opportunity to get a denser and more powerful sound with the basses, as well as to strategically differentiate them in a more controlled way: something otherwise impossible. I used a number of different fx-pedals; I like to use them. Pedals allow different combinations and are clean even with pretty high volumes. I often happen to use them as simple static, and not dynamic, filters: like the Whammy, UniVibe, or CryBaby.
The peculiar recording technique used by Daniele allowed us also to get an endless number of timbre variations during the recording sessions, and not just shadings for each already “defined” sound.
Around all of this, there was an amazing number of wonderful guitars: a Stratocaster Reissue ’62 Candy, a totally handmade Strato Flame ’90 by Bob Viglione in his Workshop in Rome, a Gibson Explorer, a Luke Music man, a Les Paul BB, two Ibanez Joe Satriani, a D35 Martin, and others I cannot think of right now. To anyone who will appreciate this work: I wish you were there with us! A unique experience. Have a good time listening to it!

Nik Giannelli

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Record Label: Flipmusìc Records 2008
Type of Label: Major