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..CARI AMICI DI MYSPACE, VI PARLA LA VOSTRA SOLITA Z.I.M. (ZINGARA INTERSPAZIALE MENTALE)OLTRE CHE ARCHEOLOGA E PROFESSORESSA DI STORIA, MARGHERITA GAUTHIER (AKA LIVIA).
SULLA SOGLIA DEL III MILLENNIO, NELLA FRENETICA E VORTICOSA ESISTENZA DI NOI TERRESTRI CONTEMPORANEI, TROVO CHE SIA ESTREMAMENTE RILASSANTE,OGNI TANTO, VOLTARSI INDIETRO ALLA RICERCA DELLE NOSTRE ORIGINI, DELLE NOSTRE RADICI. COME SARA'IL NOSTRO FUTURO? COME SI RIDURRA' IL NOSTRO PIANETA TERRA COSI' SFRUTTATO E MALTRATTATO DALL'AGGRESSIVITA' DEI SUOI ABITANTI? NOI CONTEMPORANEI NON POSSIAMO E NON POTREMO SAPERLO. NON SOLO, QUESTE DOMANDE INUTILI NON POSSONO FAR ALTRO CHE CREARCI UNO STATO DI TENSIONE, DI ANSIA, ANZI PROPRIO DI ANGOSCIA. ALLORA SAPETE COME MI RILASSO? MI VOLTO INDIETRO, INDAGO SUI LIBRI DI ASTRONOMIA, IL PASSATO DELL'UNIVERSO. MA IL MIO STATO D'ANSIA PEGGIORA. ALLORA COMINCIO A SFOGLIARE I MIEI NUMEROSI LIBRI DI ARCHEOLOGIA E DI STORIA DELL'ARTE ... E... DAVANTI A TANTI STRAODINARI CAPOLAVORI UMANI, IO MI SENTO BEATA, ESATTAMENTE IN ESTASI. ERA QUASI L'ALBA QUANDO, STANOTTE MI è BALZATA DAVANTI AGLI OCCHI LA FOTO DEI MIEI ANTICHI AMICI ANTEO E ANFIARAO, PRESENTATISI, CORAM POPULO, COL IL MODERNO NOME DEI "BRONZI DI RIACE".... VOGLIAMO INSIEME RICORDARE LA LORO LUNGA AVVENTURA TERRENA E SOPRATTUTTO MARINA? SIAMO QUI SOLO PER VOI:
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QUESTO è IL MARE DI GROTTICELLE, ZONA DI RIACE:IN QUESTI FONDALI FURONO TROVATI I DUE BRONZI DI ANFIARAO E TIDEO.
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*-La vera storia dei BRONZI DI RIACE-
Due atleti? Due guerrieri? Oppure due barbuti eroi figli di Zeus o di Apollo? Le più varie ipotesi su quali fossero i persorsonaggi reali cui erano ispirati i bronzi di Riace sono fiorite fin dal 1972, quando il giovane subacqueo Stefano Mariottini ritrovò le due statue al largo di Marina di Riace. Ora l'enigma ha trovato una risposta convincente grazie agli studi di Paolo Moreno, docente di Archeologia e Storia dell'arte greca e romana, all'università di Roma Tre. Ecco che cos'ha scoperto Moreno, e come.
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***- La ricostuzione-
Il bronzo A, detto anche "il giovane", potrebbe rappresentare Tideo, un feroce eroe proveniente dall'Etolia, figlio del dio Ares (o del re Eneo) e protetto di Atena. Il bronzo B, detto "il vecchio", raffigurerebbe invece Anfiarao, un profeta guerriero. Entrambi parteciparono alla mitica spedizione della città di Argo contro Tebe, e Anfiarao aveva persino profetizzato la propria morte sotto le mura di Tebe, e la disastrosa conclusione dell'avventura.
Oltre ad aver identificato i due personaggi, Moreno ha individuato gli artefici delle statue e trovato l'originale collocazione dei due pezzi.- Primo indizio: la terra-
Il primo passo è stato l'identificazione degli artisti. «Mi ha aiutato il restauro», dice Moreno. «Le statue, infatti erano piene di terra, la cosiddetta "terra di fusione". Che, impregnata da secoli di salsedine, stava mangiandosi le statue dall'interno». La terra è stata estratta passando dai fori nei piedi grazie ad ablatori dentistici a ultrasuoni, pinze flessibili, spazzole rotanti, tutti controllati da microtelecamere che inviavano su un monitor immagini dell'interno delle statue, ingrandite da tre a sei volte.
«Analizzando la terra così estratta, si è scoperto che quella del bronzo B proveniva dall'Atene di 2500 anni fa, mentre quella del bronzo A apparteneva alla pianura dove sorgeva la città di Argo, più o meno nello stesso periodo», racconta Moreno. «E, soprattutto, si è scoperto che le statue furono fabbricate con il metodo della fusione diretta, poco usato perché non consentiva errori quando si versava il bronzo fuso, infatti, il modello originale era perduto per sempre». La provenienza geografica e la tecnica usata hanno convinto Moreno che l'autore del "giovane" fosse Agelada, uno scultore di Argo che, a metà del V secolo a. C., lavorava nel santuario greco di Delfi e nel Peloponneso. Infatti Tideo assomiglia moltissimo alle decorazioni del tempio di Zeus a Olimpia. «Quanto al vecchio, i risultati dell'analisi hanno confermato l'ipotesi dell'archeologo greco Geòrghios Dontà s: a scolpirlo fu Alcamene, nato sull'isola di Lemno, che pare avesse ricevuto la cittadinanza ateniese per i suoi meriti d'artista».
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*- Secondo indizio: una vecchia guida:
Ai risultati della ricerca, Paolo Moreno ha unito lo studio di documenti storici. Come quelli lasciati dal greco Pausania, che aveva redatto tra il 160 e il 177 d. C. una vera e propria guida turistica dei luoghi e monumenti della Grecia. In particolare, Pausania scrisse di aver visto nella piazza principale di Argo un monumento ai "Sette a Tebe", gli eroi che fallirono nell'impresa di conquistare la città , e ai loro figli (gli Epigoni) che li riscattarono ripetendo l'impresa con successo. «Un parallelismo inquietante», nota Moreno, «con la nuova classe dirigente di Argo, insediatasi verso la metà del V secolo a. C., che aveva riscattato la generazione precedente - sconfitta da Sparta a Sepeia nel 494 a. C. - con la vittoria di Oinoe, nel 456 a. C., sempre contro Sparta».
Il gruppo di Argo comprendeva dunque i due bronzi di Riace e altre statue di eroi, circa una quindicina, tutte provviste di elmi, lance, scudi e spade: lo si è dedotto dalla posizione delle braccia, e anche dal ritrovamento successivo sui fondali marini presso Riace, del bracciale dello scudo di un guerriero, sempre di bronzo.- Miti e dettagli-
Grazie a un'attenta analisi delle statue si sono potuti accertare anche altri dettagli, alcuni dei quali sorprendenti. Per esempio che le statue erano abbellite da elementi cromatici: il rosso del rame evidenziava i capezzoli e le labbra gli occhi erano pietre colorate, i denti d'argento. «Quest'ultimo particolare, finora unico esempio nella statuaria classica», dice Paolo Moreno, «enfatizza bene l'espressione di Tideo, che non è affatto sorridente come sembra. Il suo è invece un ghigno satanico e bestiale, simbolo della ferocia del guerriero capace di fermarsi a divorare il cervello del nemico tebano Melanippo: un orrendo atto di antropofagia che costò all'eroe l'immortalità promessagli da Atena». Un'altra tragica vicenda sembra emergere dall'espressione angosciata del bronzo B. Anfiarao, il guerriero-profeta, che tradito dalla moglie Erifile, era stato costretto a partire per la guerra pur conoscendo la tragica conclusione della spedizione e la propria morte. Secondo Moreno, il capo di Anfiarao era cinto da una corona di alloro, simbolo della carica di profeta: l'indizio decisivo è la presenza di un foro sulla nuca, espediente spesso usato per unire alla statua gli "accessori" necessari.- Gli altri bronzi-
Un'altra traccia seguita da Moreno è stata la descrizione, da parte di Pausania, di una copia del monumento di Argo edificata a Delfi. Dalla quale ha dedotto che le statue poggiavano su un semplice podio semicircolare in pietra del diametro di 13 metri (tuttora esistente).
Degli altri bronzi sono rimasti soltanto indizi indiretti pitture su vasi greci o copie in in marmo di statue di epoca romana. L'elemento più significativo è un vaso ritrovato a Spina, vicino a Ferrara, che risale al V secolo a. C. e che riproduce proprio i Sette di Tebe e gli Epigoni. Poiché gli eroi greci dovevano essere riconoscibili a tutti, avevano sempre le stesse espressioni e posizioni. Questo ha permesso a Paolo Moreno di ipotizzare la posizione dei bronzi sul podio semicircolare ad Argo.- Il mistero del naufragio-
Resta un ultimo enigma. Come hanno fatto i due bronzi superstiti ad arrivare nel mare della Calabria? «All'inizio si ipotizzò che i due bronzi fossero stati gettati in mare dall'equipaggio di una nave in difficoltà per il mare grosso», dice Moreno. «Ma nelle campagne di rilevamento successive si ritrovò un pezzo di chiglia appartenuta a una nave romana di età imperiale». Si notò inoltre che le due statue erano state ntrovate vicine e affiancate, cosa impossibile anche se fossero state gettate in mare contemporaneamente. Il ritrovamento sembra invece tipico di uno scafo di una nave naufragata, disfatta nei secoli a causa delle forti correnti e dell'acqua marina. «Una nave quindi trasportava i bronzi di Argo», conclude Moreno. Soltanto due? «Non è detto. Forse la nave apparteneva a un convoglio che trasportava l'intero gruppo, la cui sorte è ancora sconosciuta».Riccardo Tonani
Tratto dal mensile "Focus" n.71 - Settembre 1998
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***Si chiamerebbero Tideo e Anfiarao i Bronzi di Riace
E' la suggestiva ipotesi formulata dal prof. Paolo Moreno dell'UniversitÃ
di Roma Tre, secondo il quale le statue furono scolpite nella metà del V sec. a. C. dall'argivo Ageladas (statua A) e da Alcamene di Lemno (statua B)
ed esposte assieme ad altre nella piazza di Argo per celebrare la vittoria contro Sparta attraverso la rappresentazione degli "eroi maledetti", autori delle
mitiche spedizioni contro Tebe.
di Giuseppe Lacquaniti
Sta destando scalpore nel mondo scientifico l'ipotesi avanzata dal prof. Paolo Moreno, docente di Archeologia e Storia dell'arte greca e romana all'Università di Roma Tre, secondo cui è possibile risalire all'identità dei due guerrieri di Riace e degli scultori che li hanno ideati.
La statua A, quella battezzata "il giovane", riproporrebbe le sembianze di Tideo, il padre del famoso Diomede, il compagno per eccellenza di Ulisse; mentre la statua B, detta "il vecchio", rappresenterebbe le fattezze di Anfiarao, profeta guerriero.
Su quali basi storiche, artistiche e archeologiche il prof. Moreno poggia la sua affascinante ipotesi?
Lo studioso romano parte da un primo risultato scientifico fortemente attendibile riguardante la provenienza delle statue.
Dall'analisi mineralogica dei materiali estratti di recente dall'interno delle statue attraverso una tecnica raffinatissima, è possibile individuare i luoghi di origine della creta (nonché l'età , V sec. a.C.), usata durante la fusione, che sarebbero la pianura di Argo per la statua A e le campagne di Atene per la statua B.
Gli autori dei due splendidi bronzi potrebbero quindi essere, per "la statua del giovane", lo scultore Ageladas, il maestro di Fidia, che nel V sec. a.C. aveva la sua officina in Argo sua città natale, e, per "la statua del vecchio", Alcamene, che pur nativo di Lemno lavorava ad Atene, ove per i suoi meriti artistici aveva ottenuto la cittadinanza. Una conferma, quest'ultima, dell'ipotesi già avanzata dall'archeologo greco Geòrghios Dontà s.
Per giungere all'identità dei due eroi il prof. Moreno si serve di un brano di Pausania, lo storico greco del II sec. d. C., che nella sua Periegesi della Grecia racconta di avere visto nella piazza principale di Argo un grande monumento dedicato ai leggendari eroi delle due spedizioni contro Tebe.
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**La prima ebbe come protagonisti i "Sette" di cui Eschilo fa rivivere le gesta nell'omonima tragedia e si concluse con la sconfitta di Argo; mentre la seconda spedizione 10 anni dopo consacrò la vittoria degli Epigoni, i figli degli eroi precedentemente caduti.
Questi avvenimenti mitologici richiamano per riflesso fatti storici che nel V secolo riguardavano Argo impegnata nella guerra contro Sparta: alla sconfitta subita nel 494 a. C. a Sepeia, era seguita la vittoria a Oinoe nel 456 a.C.
Gli argivi avevano voluto pertanto celebrare quell'importante successo ottenuto contro Sparta innalzando un monumento ai mitici eroi che nel passato avevano reso vittoriosa la loro città .
Su una base semicircolare - ancora esistente - posta al centro della piazza avevano collocato una quindicina di statue (raffiguranti i "Sette contro Tebe" ed i loro figli "gli Epigoni), opera dei migliori artisti del tempo, fra cui le due ritrovate nel mare di Riace, che secondo il prof. Moreno raffigurerebbero Tideo e Anfiarao.***************************************************
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************ PHOESTUM: TEMPIO DI ERA (detto anche Tempio di Nettuno), risalente al V secolo a.C.
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Per dare un nome alle statue che occupavano il piedistallo lo studioso fa riferimento ad un vaso del V sec., rinvenuto a Spina, in provincia di Ferrara, su cui sono dipinte le figure dei Sette a Tebe e degli Epigoni, le cui sembianze dovevano essere caratterizzate da una fisiognomica singolarmente ben definita, similare nella pittura vascolare che nella bronzistica, per consentire l'agevole identificazione di ciascun eroe.-Tideo e Anfiarao, eroi maledetti-
Tideo aveva sposato Deipile, la figlia di Adrasto, re di Argo, ed era padre di Diomede, compagno inseparabile dell'astuto Ulisse durante la guerra di Troia.
Fu inviato dai Sette come ambasciatore a Tebe ed in questa città prese parte ad una gara, sconfiggendo tutti gli avversari. Per tale motivo gli fu teso un agguato da ben 50 tebani, ma riuscì ad ucciderne 49.
Partecipò alla guerra che i Sette condussero contro Tebe, (celebrata da Eschilo in un tragedia), che si concluse con la disfatta dell'esercito argivo. Ferito mortalmente dall'eroe tebano Melanippo, riuscì con le ultime forze ad assestargli un colpo fatale. Prima di spirare chiese che gli venisse portata la testa del nemico, che sbranò con i denti. Per tale orrendo gesto, la dea Atena, che avrebbe voluto renderlo immortale, rimase inorridita e lo lasciò morire.Figlio di Oicle e di Ipermestra, Anfiarao, re di Tebe, ricevette da Apollo il dono della profezia, in virtù del quale previde l'esito infausto della spedizione dei Sette contro Tebe. Per questo evitò di parteciparvi, ma fu costretto dalla moglie Erifile, sorella di Adrasto, il quale nel darla in isposa aveva pattuito che in caso di divergenze sarebbe stata la donna ad avere l'ultima parola.
Prima di partire alla volta di Tebe, intimò al figlio Alcmeone, se non avesse fatto ritorno, di vendicare la sua morte uccidendo Erifile. Nella battaglia sotto le mura di Tebe venne respinto durante l'assalto alla porta Omoloia, e nella fuga, mentre stava per essere trafitto da Periclimeno, venne inghiottito con carro e cavalli in un crepaccio, causato da un fulmine di Zeus.
I Tebani in quel luogo lo venerarono come oracolo locale.
-La leggenda dei Sette contro Tebe-
La storia dei "Sette contro Tebe", tramandataci da Eschilo nell'omonima tragedia, attinge le sue origini dalla triste vicenda di Edipo, l'infelice figlio di Laio e di Giocasta, che ebbe la sventura, senza averne coscienza, di uccidere il proprio padre e , divenuto re di Tebe, di sposare la propria madre.
La terribile storia, uno dei miti più tremendi trasmessici dalla classicità , inizia allorquando da Laio, figlio di Labdaco, re di Tebe, e dalla moglie Giocasta, nasce Edipo (la cui storia è raccontata da Sofocle in due tragedie "Edipo re" e "Edipo a Colono"), che secondo la predizione dell'oracolo di Delfi sarebbe stato causa di luttuosissime disgrazie. Laio preso da terrore decide di sopprimere il figlio, facendolo abbandonare su un monte. Il destino volle però che un pastore lo raccogliesse e lo portasse a Corinto, affidandolo al re della città che lo crebbe come un figlio.
Divenuto adulto Edipo per conoscere il mistero della sua nascita si recò a Delfi per interrogare l'oracolo di Apollo, che gli predisse la più terribile delle sciagure: avrebbe ucciso il proprio padre e avrebbe sposato la propria madre! Inorridito dalla rivelazione, Edipo decise di non fare ritorno a Corinto e di recarsi a Tebe per chiedere ivi ospitalità . Lungo la strada andò ad imbattersi in un vecchio, che uccise a seguito di un futile alterco, senza sapere che quello altri non era che suo padre Laio; poi, impedito nel cammino, si liberò della Sfinge, un mostro dal corpo di leone e dal viso di donna, che atterriva i tebani e i forestieri diretti nella città , a tal punto che era stata promessa in sposa la regina Giocasta, vedova di Laio, a chi avesse ucciso il terribile mostro.
Edipo venne accolto dai tebani come il salvatore e, sposata come promesso la regina Giocasta (che non sapeva fosse sua madre), divenne re di Tebe.
Dall'unione incestuosa, anche se involontaria, - da cui nacquero quattro figli: Eteocle, Polinice, Antigone, Ismene - scaturirono conseguenze nefaste per i protagonisti e la loro discendenza e per la stessa città di Tebe, divenuta "impura", perché luogo su cui si era abbattuta la maledizione degli dei.
Scoperta la verità , Giocasta pose fine ai suoi giorni impiccandosi alla propria cintura; mentre Edipo per autopunirsi della colpa commessa si accecò con la spilla della cintura della moglie, e abbandonata Tebe in compagnia della figlia Antigone e Ismene andò vagabondo e mendico di città in città , finché non trovò ospitalità per decisione del buon re Teseo nel tempio di Colono, vicino Atene, dove distrutto dal dolore morì.
Quando Antigone ritornò a Tebe trovò la città in preda alla confusione: i suoi due fratelli Eteocle e Polinice, che si erano accordati a governare la città un anno ciascuno, erano diventati acerrimi nemici. Eteocle, trascorso l'anno, si era rifiutato di cedere lo scettro a Polinice, che scacciato dalla città , cercò rifugio ad Argo, presso il re Adrasto.Adrasto diede a Polinice in sposa la figlia Argia e preparò una spedizione militare contro Tebe per consentirgli di recuperare il regno. Sette furono gli eroi posti a capo dell'esercito: Adrasto e i suoi due fratelli Ippomedonte e Partenopeo, il cognato Anfiarao, il genero Tideo, il gigantesco Capaneo e naturalmente lo stesso Polinice.
Anfiarao, oltre che guerriero per volontà di Apollo anche indovino, aveva tentato di sottrarsi al reclutamento, poiché aveva letto nel futuro che un solo eroe sarebbe ritornato vivo dalla guerra, e si era rifugiato in un nascondiglio segreto, di cui soltanto la moglie Erifile era a conoscenza. Ci pensò Polinice a convincerla a "tradire" il marito facendole regalo di un preziosissimo gioiello. Scoperto, Anfiarao fu così costretto a partire per la guerra, non prima di avere incaricato il figlio Alcmeone di uccidere la donna nel caso non fosse tornato da Tebe.
Quando l'esercito degli argivi giunse nei pressi della città nemica, difesa da una cinta muraria dalle sette porte considerata inespugnabile, Eteocle, dopo avere respinto l'ambasceria di Tideo che gli chiedeva di restituire il regno al fratello Polinice, interrogò l'indovino Tiresia sulla sorte della città . Terribile fu il responso: la città si sarebbe salvata dal gravissimo pericolo attraverso il sacrificio del discendente minore della stirpe tebana.
Non fu difficile individuarlo. Si trattava del piccolo Meneceo, il nipote di Giocasta (era figlio del fratello Creonte), che sentita la profezia, nonostante il tentativo del padre di mandarlo a Delfi, sotto la protezione di Apollo, salì sulla più alta torre di Tebe e si gettò nel vuoto.
Il sacrificio di Meneceo sembrò scongiurare il pericolo della distruzione di Tebe, le cui sette porte, assalite ciascuna da uno dei sette eroi, furono difese con tanto accanimento che valorosi guerrieri caddero da una parte e dall'altra. Ciò convinse Eteoche a proporre la fine della contesa attraverso un combattimento tra lui e il fratello.
Polinice accettò e lo scontro fu tremendo. I due fratelli, al cospetto dei rispettivi eserciti, duellarono con furia così selvaggia da procurarsi vicendevolmente la morte.
Gli eserciti ripresero ad azzuffarsi e stavolta i tebani , pur subendo gravissime perdite, ebbero la meglio. Uccisero tutti i capi - come aveva previsto Anfiarao - ad eccezione di Adrasto che si salvò con la fuga.
Dieci anni dopo, furono i discendenti dei Sette - gli Epigoni -, al comando dello stesso Adrasto, a prendersi la rivincita e a conquistare Tebe, mettendo sul trono il figlio di Polinice.
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La storia dei "Sette contro Tebe", tramandataci da Eschilo nell'omonima tragedia, attinge le sue origini dalla triste vicenda di Edipo, l'infelice figlio di Laio e di Giocasta, che ebbe la sventura, senza averne coscienza, di uccidere il proprio padre e , divenuto re di Tebe, di sposare la propria madre.
La terribile storia, uno dei miti più tremendi trasmessici dalla classicità , inizia allorquando da Laio, figlio di Labdaco, re di Tebe, e dalla moglie Giocasta, nasce Edipo (la cui storia è raccontata da Sofocle in due tragedie "Edipo re" e "Edipo a Colono"), che secondo la predizione dell'oracolo di Delfi sarebbe stato causa di luttuosissime disgrazie. Laio preso da terrore decide di sopprimere il figlio, facendolo abbandonare su un monte. Il destino volle però che un pastore lo raccogliesse e lo portasse a Corinto, affidandolo al re della città che lo crebbe come un figlio.
Divenuto adulto Edipo per conoscere il mistero della sua nascita si recò a Delfi per interrogare l'oracolo di Apollo, che gli predisse la più terribile delle sciagure: avrebbe ucciso il proprio padre e avrebbe sposato la propria madre! Inorridito dalla rivelazione, Edipo decise di non fare ritorno a Corinto e di recarsi a Tebe per chiedere ivi ospitalità . Lungo la strada andò ad imbattersi in un vecchio, che uccise a seguito di un futile alterco, senza sapere che quello altri non era che suo padre Laio; poi, impedito nel cammino, si liberò della Sfinge, un mostro dal corpo di leone e dal viso di donna, che atterriva i tebani e i forestieri diretti nella città , a tal punto che era stata promessa in sposa la regina Giocasta, vedova di Laio, a chi avesse ucciso il terribile mostro.
Edipo venne accolto dai tebani come il salvatore e, sposata come promesso la regina Giocasta (che non sapeva fosse sua madre), divenne re di Tebe.
Dall'unione incestuosa, anche se involontaria, - da cui nacquero quattro figli: Eteocle, Polinice, Antigone, Ismene - scaturirono conseguenze nefaste per i protagonisti e la loro discendenza e per la stessa città di Tebe, divenuta "impura", perché luogo su cui si era abbattuta la maledizione degli dei.
Scoperta la verità , Giocasta pose fine ai suoi giorni impiccandosi alla propria cintura; mentre Edipo per autopunirsi della colpa commessa si accecò con la spilla della cintura della moglie, e abbandonata Tebe in compagnia della figlia Antigone e Ismene andò vagabondo e mendico di città in città , finché non trovò ospitalità per decisione del buon re Teseo nel tempio di Colono, vicino Atene, dove distrutto dal dolore morì.
Quando Antigone ritornò a Tebe trovò la città in preda alla confusione: i suoi due fratelli Eteocle e Polinice, che si erano accordati a governare la città un anno ciascuno, erano diventati acerrimi nemici. Eteocle, trascorso l'anno, si era rifiutato di cedere lo scettro a Polinice, che scacciato dalla città , cercò rifugio ad Argo, presso il re Adrasto.
Adrasto diede a Polinice in sposa la figlia Argia e preparò una spedizione militare contro Tebe per consentirgli di recuperare il regno. Sette furono gli eroi posti a capo dell'esercito: Adrasto e i suoi due fratelli Ippomedonte e Partenopeo, il cognato Anfiarao, il genero Tideo, il gigantesco Capaneo e naturalmente lo stesso Polinice.
Anfiarao, oltre che guerriero per volontà di Apollo anche indovino, aveva tentato di sottrarsi al reclutamento, poiché aveva letto nel futuro che un solo eroe sarebbe ritornato vivo dalla guerra, e si era rifugiato in un nascondiglio segreto, di cui soltanto la moglie Erifile era a conoscenza. Ci pensò Polinice a convincerla a "tradire" il marito facendole regalo di un preziosissimo gioiello. Scoperto, Anfiarao fu così costretto a partire per la guerra, non prima di avere incaricato il figlio Alcmeone di uccidere la donna nel caso non fosse tornato da Tebe.
Quando l'esercito degli argivi giunse nei pressi della città nemica, difesa da una cinta muraria dalle sette porte considerata inespugnabile, Eteocle, dopo avere respinto l'ambasceria di Tideo che gli chiedeva di restituire il regno al fratello Polinice, interrogò l'indovino Tiresia sulla sorte della città . Terribile fu il responso: la città si sarebbe salvata dal gravissimo pericolo attraverso il sacrificio del discendente minore della stirpe tebana.
Non fu difficile individuarlo. Si trattava del piccolo Meneceo, il nipote di Giocasta (era figlio del fratello Creonte), che sentita la profezia, nonostante il tentativo del padre di mandarlo a Delfi, sotto la protezione di Apollo, salì sulla più alta torre di Tebe e si gettò nel vuoto.
Il sacrificio di Meneceo sembrò scongiurare il pericolo della distruzione di Tebe, le cui sette porte, assalite ciascuna da uno dei sette eroi, furono difese con tanto accanimento che valorosi guerrieri caddero da una parte e dall'altra. Ciò convinse Eteoche a proporre la fine della contesa attraverso un combattimento tra lui e il fratello.
Polinice accettò e lo scontro fu tremendo. I due fratelli, al cospetto dei rispettivi eserciti, duellarono con furia così selvaggia da procurarsi vicendevolmente la morte.
Gli eserciti ripresero ad azzuffarsi e stavolta i tebani , pur subendo gravissime perdite, ebbero la meglio. Uccisero tutti i capi - come aveva previsto Anfiarao - ad eccezione di Adrasto che si salvò con la fuga.
Dieci anni dopo, furono i discendenti dei Sette - gli Epigoni -, al comando dello stesso Adrasto, a prendersi la rivincita e a conquistare Tebe, mettendo sul trono il figlio di Polinice.
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3AGELADAS
Nativo di Argo, ritenuto il maestro di Fidia, Policleto e Mirone, visse tra il VI e il V secolo a.C. La sua attività si svolse in un arco di settant'anni, tra il 520 e il 450 a. C. Numerose sono le opere in bronzo di cui resta traccia nelle fonti, sparse in diverse località della Grecia, come Olimpia, Delfi, Atene, ecc. La sua statua più famosa era un Zeus che scaglia saette con un'aquila sulla sinistra, datata 470-460 a. C..
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ALCAMENE
Vissuto nella seconda metà del V sec. a. C., originario di Lemno, isola dell'Egeo, ottenne per meriti artistici la cittadinanza di Atene, dove fu discepolo di Fidia. Secondo Pausania fu l'autore (ma forse solo in parte) del frontone occidentale del tempio di Zeus ad Olimpia. Nel Museo dell'Acropoli di Atene si conserva l'unica sua statua superstite: una donna con bambino, raffigurante il mito di Procne e Iti.