"E così irruppi nel Palazzo, con una spugna e una chiave inglese arrugginita, lei disse: 'Ehi, ti conosco, tu non sai cantare', io dissi: 'E questo è niente, dovresti sentirmi suonare il piano'" (da The Queen Is Dead)
Gli Smiths sono stati uno dei gruppi più influenti degli anni Ottanta.
La loro musica, fatta di canzoni intimiste, melodiche e raffinate, ha contagiato un'intera generazione, condizionando il successivo sviluppo del pop britannico. Senza gli Smiths, forse, band come Verve, Radiohead o Belle and Sebastian non sarebbero mai esistite oppure sarebbero state qualcosa di profondamente diverso. Ma dal suono degli Smiths (rovinandolo) ha preso l'abbrivio anche la corrente più corriva del brit-pop, quella di Oasis, Blur e compagnia. In ogni caso, Morrissey e soci hanno impresso una netta svolta alla storia del rock britannico, soffocando gli ultimi spasmi del punk e rilanciando le ricette pop all'interno della new wave.
La storia degli Smiths comincia nella grigia e inquieta Manchester dei primi anni '80. E' qui che il chitarrista John Marr contatta il cantante Steven Patrick Morrissey, personaggio particolare, amante di Oscar Wilde e del decadentismo, ma anche dei poeti e degli chansonnier francesi (da Baudelaire a Brel), con il culto di James Dean. I due formano così il nucleo fondamentale degli Smiths. Qualche tempo dopo si aggiungono alla band il bassista Andy Rourke e il batterista Mike Joyce. In una scena britannica caratterizzata dagli ultimi e stanchi rigurgiti del punk, gli Smiths cambiano registro, rispolverando il pop, quello d'alta classe della scuola britannica di Beatles, Kinks e Bowie. Morrissey compone musiche malinconiche e trasognate, con orchestrazioni scarne, a base di archi, e melodie suadenti. Un repertorio che la band trasporta dal vivo, in una serie di concerti, attirando l'attenzione dei discografici e riuscendo a firmare, nella primavera 1983, per la Rough Trade.
Attraverso una serie di singoli, gli Smiths si impongono presto all'attenzione del pubblico. Il primo, "Hand in glove", è un folk-rock incalzante, il successivo "This Charming Man" è una ballata briosa che riecheggia i Pretenders, "What Difference Does It Make" è un boogie possente e trascinante. Con questo tipo di brani, gli Smiths riescono a interpretare alla perfezione il mutamento generazionale: dalla rabbia punk all'umore desolato e decadente di una nuova schiera di "kids". Il suono della band inglese raggiunge forse il suo apice nell'ultimo singolo del periodo, "How Soon Is Now": una lenta litania da muezzin accompagnata dal tremolo psichedelico della chitarra, che si snoda in modo ipnotico e suggestivo.Nella primavera '84, esce l'album d'esordio The Smiths, che scala subito le charts britanniche arrivando fino al 2° posto. Le architravi sonore degli Smiths sono da un lato il caratteristico arpeggio "fatato" del chitarrista Johnny Marr (Maher), sorta di Tom Verlaine in chiave ancor più romantica e decadente, dall'altro il crooning sensuale e disperato di Stephen Morrissey. Ad aggiungere un fascino al tempo stesso tragico e polemico all'operazione erano le liriche dello stesso Morrissey, omosessuale introverso e iper-sensibile". Uno stile che ricorre anche nel successivo Meat Is Murder (1985), che segna però un passo indietro, malgrado la ballata raffinata di "That Joke Isn't Funny Anymore".
Ma è nel 1986, con The Queen Is Dead che gli Smiths raggiungono la piena maturità . E' un lavoro raffinato, con testi introspettivi ma anche irriverenti, e musiche in bilico tra il pop più orecchiabile e la sperimentazione di scuola new wave. Una decina di canzoni delicate e deliziose, costruite su uno stile asciutto, capace di sedurre con pochi, essenziali elementi, tra cui l'espressiva vocalità di Morrissey, crooner decadente e inconsolabile, che in alcuni episodi (l'umoristica "Frankly, Mr. Shankly", ma anche la severa "I know it's over") fa persino il verso a Frank Sinatra. Gli episodi migliori dell'album, però, sono quelli in cui ritornelli intriganti si innestano su partiture solo in apparenza semplici, come nell'apocalittica title track, che si rifà al dark-punk d'annata, nella bizzarra "Bigmouth strikes again", nella ballata classicheggiante di "The boy with the thorn in his side", o nell'orchestrale "There is a light that never goes out". Il sarcasmo di Morrissey travolge "intoccabili" istituzioni inglesi, dalla famiglia reale di "The Queen is dead" alla Curia di "Vicar in a tutu". E il suo umorismo, sempre più nero e autoironico, si sublima in pezzi come "Cemetry Gates" (un romantico rendez-vous in un cimitero) e la splendida "There is a light that never goes out" (che racconta di un "celestiale modo di morire in due", travolti da un autobus a due piani...).
Gli Smiths sono ormai il riferimento per una nuova generazione di ragazzi, che ne segue look, stile e ideologia. I media li osannano. Eppure Morrissey, che non ama apparire in pubblico, sostiene che la band ha sempre fatto tutto da sola: "Gli Smiths non hanno mai avuto un aiuto da anima viva in questo pianeta. In un mondo come quello della musica, dominato dalle leggi diaboliche del business, la nostra stessa sopravvivenza è un miracolo". A chi li accusa di fare musica per una generazione di adolescenti depressi e in crisi d'astinenza, Morrissey replica così: "Può darsi, ma queste persone sono importanti. I loro desideri sono importanti, tutti i nostri desideri contano. Altrimenti per chi dovremmo cantare? Per la Thatcher?". Mentre i veri nemici degli Smiths, per il loro leader, sono "i fanatici della musica dance, dei suoni privi di umanità , quelli che hanno perso la fede e non credono in niente". Un odio contro le discoteche che Morrissey sublima in un brano al fiele come "Panic": "Burn down the disco/ Hang the blessed D.J./ Because the music that they constantly play/ It says nothing to me about my life" ("Brucia la discoteca/ Impicca i benedetti dj/ perché la musica che mettono sempre/ non ha niente da dire sulla mia vita").
Oltre a "Panic", nel 1986 escono anche altri due singoli: la ritmata "Ask" e la insolitamente dura "Shoplifters Of The World", che fanno da preludio all'uscita del nuovo album, Strangeways Here We Come (1987). E' un disco che ripropone Morrissey e soci al massimo delle loro potenzialità . Ci sono le melodie contagiose di "Sheila Take A Bow", la ballata funerea e cadenzata di "Girlfriend In A Coma", la metafisica "Death Of A Disco Dancer", ma soprattutto "Last Night I Dreamt That Somebody Loved Me", un valzer spettrale e struggente il cui testo si rivela uno dei più toccanti dell'intera produzione di Morrissey.
Noi?Non siamo che dei malati di Smiths.Il vero motivo per cui abbiamo imparato a suonare i nostri strumenti era quello di suonare le loro canzoni.Per 10 anni abbiamo cercato musicisti che condividessero la nostra passione e nel frattempo abbiamo fatto tanta esperienza.
Adesso siamo pronti e e ci siamo trovati.
E sono tutto cuore gli Smiths che suoniamo per riportare indietro di vent'anni i quarantenni di oggi e incuriosire quelli che non erano neppure nati quando i quattro ragazzetti di Manchester rivoluzionavano la scena del rock.
Cazzate! lo facciamo soprattutto perchè la sentiamo nostra, da sempre, questa musica. Noi , ragazzi con la spina nel fianco.