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Diego Kriscak

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per poter comprendere il senso di una struttura sonora bisogna essere parte integrante della struttura stessa.La terapia vibroacustica nasce intorno ai primi anni settanta a seguito di un incontro tra i terapeuti Olav Skille e Juliette Alvin. Da tale incontro emerge qualcosa di semplice, ma se ci pensiamo bene, di fondamentale per gli sviluppi futuri della materia: dato per scontato che la musica tramite tutti i suoi parametri influisce sugli esseri umani, si rende necessario uscire dai canoni qualitativi fino a quel momento adottati, per passare a delle valutazioni di carattere quantitativo. In questo modo vengono identificati tre parametri, punto di partenza di qualsiasi valutazione futura:1.Le basse frequenze possono produrre rilassamento 2.la musica ritmica può rinvigorire 3.la musica a forti volumi può ingenerare aggressivitàiiiLa prima grossa novità è la creazione del cosiddetto “Bagno di Musica”, atto a ridurre l’ipertono muscolare dei muscoli estensori e flessori di pazienti con paralisi cerebrale che interagiscono in musicoterapia di tipo tradizionale (da un lato si assiste alla rispondenza a carattere emotivo, ma questa inevitabilmente porta con sé delle conseguenze fisiche, quali lo spasmo muscolare con relativo ipertono). La semplice vibrazione meccanica prodotta da un generatore si rivela un efficace seppur ancora pionieristico sistema. Ma confrontando questo accorgimento con il primo dei tre parametri sovracitati, ci si rende conto che, in effetti, il lavoro va sviluppato nell’ambito delle basse frequenze. A partire, quindi, dai primi anni ottanta, gli studi in tal senso diventano una vera e propria disciplina cadenzata da una continua ricerca. Vengono testate frequenze atte ad agire su determinati problemi o danni fisici. In Norvegia il Bagno di Musica prende il nome di Massaggio sonoro a bassa frequenza. Lo scopo è quello di immergere simbolicamente il corpo umano in un ambiente sonoro e vibrazionale. Gli sviluppi sono costanti ed efficaci e la terapia vibroacustica si ritaglia velocemente il suo spazio nei paesi anglosassoni, in Finlandia in Germania e in Estonia. Quello di cui si tratta, in effetti, è l’applicazione molto semplice di una teoria che si basa sul tentativo di somministrare vibrazioni a bassa frequenza: un lettino con tre coppie di altoparlanti collegate ad alcuni registratori a cassette mediante un amplificatore. Lo scopo è quello di trasmettere più suoni simultaneamente, che il paziente riceve in parte attraverso il canale uditivo e in parte attraverso il corpo. Le vibrazioni emesse dalle basse frequenze vanno ad interagire a seconda degli Hertz somministrati, su specifiche parti del corpo, agendo nel contempo sul sistema nervoso autonomo. Come possiamo notare, di base, il tipo di trattamento appartiene a quel settore della musicoterapia solitamente definito passivo. In effetti questo è vero solo in parte, in quanto la cosiddetta interazione con il terapeuta, a prima vista molto ridotta, si rivela in un secondo momento come qualcosa di fondamentale per due motivi molto semplici: da un lato, alla somministrazione della terapia, molto spesso segue un bisogno di comunicazione, che va a spalancare le porte di quanto prima definito come dialogo sonoro; in secondo luogo l’adozione della terapia vibroacustica proposta dal Centro Carma e da me adottata, prevede l’uso innovativo di microfono e cuffie. In tal modo paziente e terapeuta sono a stretto contatto sonoro e la voce può diventare lo strumento principale attraverso cui instaurare un rapporto di improvvisazione sonora partendo dalla percezione degli Hertz somministrati.

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