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Ho scoperto la passione per la musica nei miei primi anni di vita, quando papà suonava i suoi 45 giri: Celentano, Di Bari, Modugno, Feliciano, Daniel Santacruz Ensemble…, sono solo alcuni che ricordo. Era musica orecchiabile. Tutti cantavano o fischiettavamo i motivetti ascoltati alla radio o alla televisione ed io trovavo un particolare appagamento in quella musica che mi suscitava forti emozioni.



A sei anni è arrivato a casa il pianoforte verticale: un pezzo da museo che era stato del padre di un collega di papà. Con tutti i buoni propositi ho preso qualche lezione ma di fronte ad interminabili pagine di solfeggio, ho rinunciato all’impegno. A dire il vero faticavo persino a trovare le note nonostante mia madre, per compassione, ne avesse scritto il nome sui tasti. Quindi il pianoforte era diventato parte integrante dell’arredamento, lasciato chiuso, inutilizzato per molto tempo. Poi un giorno, ho iniziato a premere qualche tasto a caso e lasciar correre la fantasia dando vita a melodie incomprensibili. Controllare il suono nella sua altezza e nei volumi, mi ispirava un grande senso di potere. In sintesi, facevo rumore ma la cosa mi piaceva molto. Poi qualche motivetto ripetuto a orecchio: un valzerino, una melodia popolare, Richard Claiderman… A quindici anni ho comprato la prima tastiera elettronica: una CasioTone MT45 con mini tasti. Piccola, magica, l’ho usata e smontata per modificarla alla maniera di Vince Clarke. Ascoltavo Depeche Mode e prima ancora Yazoo. Leggevo sulle copertine dei 33 giri, i nomi degli strumenti che usavano: DX7, Prophet V, Emulator. Erano oggetti inavvicinabili per la potenza ed il valore economico. Pensai quindi di iniziare noleggiando un synth: monofonico, il Korg MS-10 aprì definitivamente la strada alla mia sfrenata passione per l’elettronica sia musicale che professionale. Frequentavo l’I.T.I.S. e avrei scelto di specializzarmi in elettronica e microprocessori. Con l’MS-10 smanettavo sui cursori producendo suoni sintetici, registrati su un nastro e riascoltati all’infinito con grande soddisfazione. L’impulso a lasciare una traccia nel tempo, pur producendo banalissime incisioni, era già forte. Un giorno, un conoscente mi prestò una SEQUENTIAL CIRCUIT a quattro ottave con un rudimentale sequencer a quattro tracce: passai ore felici ad emulare i miti del momento. Solo a diciotto anni ho potuto acquistare un vero e proprio synth che conservo ancora con massimo affetto: il Poly 800II (Korg). Era appena uscito ed era il modello evoluto del popolare Poly 800 noto per la versione con i colori dei tasti invertiti. Il Poly II integrava un’unità eco-digitale particolarmente interessante: innovativa in una tastiera e per l’effettistica in generale in un’epoca in cui gli “eco a nastro” e i riverberi meccanici a molle erano ancora molto diffusi. Militai con fierezza in una band anonima per alcuni anni. Ci incontravamo per “provare” senza riuscire mai ad esibirci in pubblico. Suonavamo pezzi nostri ispirati al rock anni ’70, al country, alle tristi melodie dei cantautori italiani come Guccini, I Nomadi e Vecchioni. Di quell’esperienza rimangono le registrazioni sul mitico multitraccia Fostex, riversate di recente su CD dal caro amico Diego che custodisce i nastri originali.


Gli impegni della maggiore età come il lavoro e la famiglia, ci hanno separati verso destinazioni diverse. Un giorno capitai per caso ai magazzini musicali di Merula a Cherasco: lì, faceva bella mostra di se, la workstation Korg 01W PRO che avevo avuto modo di ammirare (e desiderare ardentemente) presso un amico con il quale realizzavamo basi musicai, canzoncine per bambini da destinare alle scuole materne del paese. Quel computer musicale, 16 tracce MIDI, sei ottave, dai suoni potenti, quadrifonici, rappresentava tutta la mia ambizione musicale e tecnologica ma aveva un costo proibitivo per me in quel momento. Ora invece era lì, usata ma in condizioni perfette e ad un prezzo raggiungibile. Acquistai quindi la testiera con tanto di custodia rigida e tornai a casa con il trofeo di caccia, senza avere idea di come e quando utilizzarla. Non avevo nessuna esperienza musicale in corso e neanche ne prospettavo una. Dopo anni di inattività tastieristica, durante i quali mi limitavo a strimpellare la chitarra nei gruppi parrocchiali, in conseguenza di un mio cambio di aspirazione religiosa grazie al quale ho conosciuto le chiese protestanti, ho avuto modo di ripristinare il mio estro accompagnando i cori domenicali tra il gospel e il pop. Avevo in dotazione una Roland E86 con ottimi registri ed una buona sezione di ritmi e accompagnamenti utilizzati di rado perché incompatibili con il servizio religioso. In qualche rara occasione, con un punto di orgoglio, sfoggiavo la 01W che portavo in giro con difficoltà in considerazione del suo peso e delle sue misure. Come molte cose della vita, il mio impegno nelle chiese è andato via – via sfumando fino a terminare. Stavo per riporre la tastiera nel dimenticatoio quando è apparsa l’opportunità di passare qualche ora in compagnia di amici rockettari. Un’esperienza nuova per me, che pensavo di non esserne all’altezza. Ci incontravamo alla sera, una volta alla settimana: per pochi euro impegnavamo una baracca fatta di tavole, porte dimesse e fogli di polistirolo, costruita in un angolo dell’officina di un serramentista, musicofilo. La faccenda è andata avanti per un po’ di mesi, con strumentisti che si alternavano e un repertorio di cover consumatissime su attrezzature di fortuna. Mia moglie spesso mi accompagnava sopportando un volume sonoro esagerato, seduta in un angolo polveroso. Io mi divertivo e intanto pensavo a qualcosa di più importante. Parlai della mia idea ad un paio di amici convincendoli della fattibilità del progetto: una sala prove attrezzata, autogestita. Conoscevo le procedure legali per fondare un’associazione che vedevo come unica via possibile per chiedere aiuto alla pubbliche amministrazioni. Ci incontrammo in cinque, una sera, alla birreria Poldo’s e con cinquanta euro per uno, fondammo il Mulino Degli Artisti. Dopo pochi mesi dalla fondazione partecipammo con esito positivo alla gara per l’appalto dell’attuale sede associativa e con un prestito bancario iniziammo i lavori per realizzare ed attrezzare la sala prove. Fu subito un successo. Tutte le sere il locale era impegnato da una band che provava. Finalmente anche il mio ruolo di tastierista iniziava ad avere un senso: con Silvano, Ubi e Cico fondammo i Fusi Orari a cui si unì poco dopo Mauro nella formazione completa che tutt’ora frequento e sostengo. Ultimamente al mio parco tastiere, si è aggiunta con grande soddisfazione, la Roland Juno D, potente, versatile e decisamente più leggera della sempre mitica 01.

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Com'è bello, alla sera, distendersi sul proprio letto.Una lucina accesa sul comodino a fianco, un libro da sfogliare, leggere distrattamente qualche riga rivedendo tra i pensieri la giornata trascorsa...
Posted by on Mon, 13 Oct 2008 03:36:00 GMT