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Adrastea Art Space

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Pensiero/estensione - l'anima che si fa corpo

La contrapposizione tra apollineo e dionisiaco origina la nostra civiltà e tramite l'allestimento della mostra fotografica "La doppia valenza del mito" la giovane artista Adrastea ci offre l'occasione di riscoprire le nostre radici ripercorrendo, altresì, un cammino che porta a galla timori e paure recondite, modellandosi su riferimenti musicali black metal e rimandi alle immagini di J.P. Witkin e C. Sherman.

Chi abbia occasione di vedere le foto di Adrastea si renderà immediatamente conto della dualità su cui sono giocate; da una parte la figura umana pienamente e armonicamente inserita in paesaggi naturali incontaminati che suggeriscono la presenza di ninfe. Oltre a ciò essi richiamano direttamente la nostra immagine di classicità, fatta di sculture mutile e veneri di Milo, attraverso un panneggio che nasconde parte del corpo (soprattutto braccia e testa). Gli stessi atteggiamenti dell'artista/protagonista esprimono un sentimento panico, di totale compenetrazione con la natura presentata nella sua forma più selvaggia.
Di contro l'aspetto dionisiaco e oscuro è espresso tramite riferimenti a immagini hard-core ed espressività violenta del corpo, così come del volto.

Per Adrastea il mezzo fotografico, padroneggiato con sicurezza, costituisce l'occasione per far emergere i timori maggiormente sentiti da ogni donna: la tortura, ma soprattutto lo stupro con l'umiliazione fisica a morale che ne deriva.
E' curioso notare come, in questo caso, l'artista non abbia scelto un corpo umano per farci vivere visivamente questi terribili momenti, ma ne abbia reso protagoniste due bambole (oggetti legati per definizione all'infanzia e qui straordinariamente evocatrici di incubi thriller e horror tratti dal repertorio cinematografico a noi tutti comune). Queste, in diversi scatti, rappresentano le varie fasi della violenza e, allo stesso tempo, la esorcizzano proprio in quanto noi la percepiamo in un modo artificioso, non vedendola vissuta da esseri umani.

La scelta di soggetti inanimati per cristallizzare scene violente non è dovuta a remore o timori da parte di Adrastea che, anzi, nella serie fotografica con cui indaga l'oscuro mondo della tortura ci presenta corpi, sempre femminili, violati e con forti rimandi al sesso estremo.
Forse per il fatto di essere donna e quindi protagonista di paure inconsce legate alla sofferenza fisico/morale, Adrastea sonda le varie possibilità di rapporto con il corpo e la carne: tramite alcuni scatti ci riporta direttamente alle performance di Marina Abramovic e si ritrae circondata da frammenti di ossa, brandelli di interiora e corpi mutilati senza mai distogliere lo sguardo, con gli occhi spalancati davanti alle situazioni più inquietanti in cui si può trovare un individuo.

Ripartendo dalle origini della civiltà e della vita ecco, però, un'installazione, intitolata "My Life", di indubbio fascino e potente carica evocatrice: dal soffitto cala un corpo avvolto in bende, raccolto in una posizione semi-fetale (frutto di un calco a grandezza naturale del corpo della stessa artista) a suggerire la vita embrionale degli esseri umani assimilata allo stadio larvale degli insetti.
Non un rimando alla pratica egizia di mummificazione post-mortem, quindi, ma l'esatto contrario: il prendere coscienza di un'esistenza pre-vitale che accomuna ogni essere vivente.

by Olivia Cozzani '02
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Posted by on Mon, 09 Mar 2009 13:34:00 GMT