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Primo Carnera

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CARNERA- The Walking Mountain
USCITA PREVISTA PER IL 9 MAGGIO 2008.
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Carnera, the walking mountain
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CARNERA- The Walking Mountain
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Le storie dei pugili, le vite e le sfide dei campioni del ring presentano spesso trame e situazioni che sconfinano nel territorio della leggenda, che affascinano chi le osserva avvolgendolo in atmosfere nelle quali si intrecciano accenti tragici e toni fiabeschi.
Tra tutte, le più straordinarie sono le storie dei pesi massimi. Da sempre lo spirito epico del pugilato si esalta nella categoria più antica e spettacolare: nell’alternarsi delle esperienze umane e sportive di ogni personaggio che ha fatto la storia dei massimi, si tratti di un fuoriclasse o di un onesto mestierante del ring, si incarnano e si amplificano gli umori di epoche diverse.
In ogni vicenda si possono leggere aspetti differenti, sempre esasperati, dell’essere uomo: si ha la sensazione che questi colossi riescano ad esaltare ogni emozione e ad elevare all’ennesima potenza il peso e il significato di ogni esperienza di vita, nel bene così come nel male.
Primo Carnera, falegname emigrato e fenomeno da baraccone, poi campione del mondo dei massimi e di lotta libera, icona popolare a lungo stretta tra la mafia italoamericana e la propaganda fascista, è il protagonista di una vita leggendaria: una vita da pugile. Gigantesco, dotato di una bontà pari soltanto alla sua forza e alle sue straordinarie dimensioni fisiche, Carnera arriva al pugilato per caso.
Nato a Sequals, in Friuli, nel 1906, emigra in Francia nel 1924: fa il falegname, ma per arrotondare lo stipendio si produce anche in esibizioni circensi, numeri da forzuto che gli permettono di conquistare una certa notorietà nei parchi parigini. Il pubblico francese lo conosce con il nome di Juan lo Spagnolo, o più semplicemente come “il gigante”: nei suoi spettacoli Primo è accompagnato da clown che indossano le sue scarpe numero 52, tanto grandi da strappare ogni volta agli spettatori sorrisi misti a stupore.
Ad intuire le potenzialità pugilistiche di Carnera è l’ex campione francese dei pesi massimi Paul Journée, che lo convince ad abbandonare i baracconi del circo e a dedicarsi alla boxe. Journée affida Carnera all’astuto manager di pugili Léon See; l’abilità organizzativa di quest’ultimo è inversamente proporzionale alla sua onestà, ma Primo non può saperlo.
Alto 205 centimetri e pesante circa 115 chili in un’epoca nella quale l’altezza media maschile è inferiore ai 170 centimetri, ogni volta che sale sul ring Carnera attira innumerevoli spettatori, semplici curiosi e accaniti scommettitori. See è una volpe, sa come si fanno i soldi nel mondo della boxe: capisce che può guadagnare molto grazie al fascino che il giovane gigante esercita sul pubblico e decide di non “bruciarlo”.
Organizza incontri truccati o sceglie avversari palesemente inferiori al suo protetto, ancora tecnicamente assai grezzo, che vuole mantenere integro il più a lungo possibile; sogna perfino di condurlo fino a un redditizio incontro per la corona dei massimi.
Carnera, ingenuo, non si accorge di nulla, nemmeno del fatto che See lo derubi regolarmente dei suoi guadagni. Le facili vittorie fanno sì che si convinca di avere talento e che si alleni sempre più seriamente, con l’obiettivo fisso di arrivare al titolo mondiale.
Grazie all’impegno spasmodico e alla fiducia cieca nei suoi mezzi, Carnera compie miglioramenti impressionanti: in rapporto all’enorme mole acquisisce una discreta velocità di esecuzione dei colpi; si costruisce un ottimo sinistro e si sforza di migliorare anche il destro, il suo colpo più debole.
Nel 1929 il colosso italiano vince meritatamente il suo primo incontro importante, in Germania contro Rosemann. Rosemann è l’ex campione tedesco dei massimi, non è certo disposto a farsi comprare e non è un brocco, ma perde in modo netto. Il fenomeno da baraccone è finalmente diventato un boxeur di valore; la strategia di See è stata fruttuosa, dunque.
Carnera è bravo davvero, è potente e determinato e ha acquisito una buona tecnica, ma gli manca la cattiveria del “killer” da ring: è troppo misurato nei colpi, la sua natura gli impedisce di aggredire gli avversari.
Solo quando è vittima di una scorrettezza, quando si sente offeso dall’avversario, scatena tutta la sua rabbia, trascinando il pubblico in delirio. I francesi amano questo gigante buono, capace di infuriarsi solo per giuste ragioni, e i suoi incontri registrano regolarmente il tutto esaurito.
L’obiettivo di Carnera è sempre il titolo dei massimi. Per raggiungerlo è necessario farsi conoscere in America, dove si battono i migliori e dove vivono i grandi organizzatori di eventi pugilistici; Primo non esita a trasferirsi oltreoceano. Sono gli anni della grande crisi economica, del proibizionismo e dell’impero della mafia italoamericana.
Anche negli Stati Uniti, mai così bisognosi di sogni e di eroi, il gigante buono si rivela capace di attirare folle entusiaste. Presto la mafia newyorkese sceglie di investire su di lui, ottenendo prima la complicità di Léon See, poi quella di Luigi Soresi, l’uomo che nel 1932 sostituisce il francese nel ruolo di manager del promettente campione.
Ancora una volta il pugile ignora le trame che vengono tessute alle sue spalle: si allena duramente, combatte e trionfa. Non sa che molti suoi avversari sono minacciati o comprati dal padrino Bill “Broadway” Duffy; probabilmente Carnera vincerebbe comunque, ma chi guadagna da scommesse e spettatori vuole preservare integro il fisico del gigante, evitare traumi che potrebbero rompere la gallina dalle uova d’oro.
Duffy conquista la fiducia di Primo, sta al suo angolo durante gli incontri: conosce bene il suo protetto, sa che è un ottimo pugile ma che non è un grande incassatore. Carnera ha la mascella fragile e le sue gambe non sono solidissime; Duffy decide che è meglio non correre rischi e alle sue decisioni nessuno osa opporsi.
Le comunità italoamericane sono entusiaste del “loro” peso massimo e dei suoi facili successi: lo circondano di affetto e scommettono fiumi di denaro su di lui, grazie anche a sapienti campagne propagandistiche organizzate da giornalisti al soldo dalla malavita.
Carnera ha il cuore tenero, si commuove davvero per quei connazionali che, come lui, hanno dovuto lasciare l’Italia a causa della povertà. La patria gli manca: quando i gerarchi fascisti cominciano a mostrare interesse verso le sue imprese, l’idea che il governo di un paese che ha dovuto abbandonare da ragazzino lo ringrazi per i suoi successi lo riempie di orgoglio.
Primo diventa fascista senza conoscere il fascismo, è il suo modo di rivendicare un’italianità che qualcuno vorrebbe mettere in discussione: in Francia, infatti, circolano voci su una presunta cittadinanza francese chiesta e ottenuta da Carnera attorno al 1925. In realtà la cittadinanza era stata chiesta a nome di Primo da quello che all’epoca era il suo datore di lavoro, che non voleva pagare le tasse relative all’impiego di manodopera straniera.
Sono gli anni del consenso per il fascismo, Mussolini è stimato da molti governi occidentali e gli emigrati sono fieri del nuovo rispetto internazionale acquisito dall’Italia. Dopo ogni vittoria, l’italiano Carnera saluta romanamente folle entusiaste.
Nulla sembra in grado di fermare la sua avanzata verso il trono dei massimi, ma il destino è in agguato e la via che conduce alla cintura rivela ostacoli imprevedibili. Per arrivare al combattimento contro il detentore del titolo, Jack Sharkey, Carnera deve superare un ultimo ostacolo, il talentuoso Ernie Schaaf.
Il match contro Schaaf si tiene il 10 febbraio 1933: il gigante italiano domina, regala spettacolo e al tredicesimo round manda l’avversario al tappeto. Parrebbe la premessa ideale per la sfida iridata, ma non è così. Schaaf, infatti, dopo essere crollato a terra non si rialza più: morirà in ospedale due giorni più tardi, per emorragia cerebrale.
Primo è distrutto, non sa che la morte del suo avversario non dipende dal suo sinistro, ma dai colpi che il povero pugile ha subito nei troppi incontri precedenti.
La stampa accusa la sua potenza fisica, qualcuno arriva a volergli imporre l’handicap di guantoni differenti da quelli indossati dagli altri pugili.
Il mondo pare crollare addosso a Carnera. Il colosso medita seriamente il ritiro: si decide a continuare nella sua carriera solamente dopo aver scritto alla madre di Schaaf e aver ricevuto la sua comprensione e il suo affettuoso perdono.
La tragedia, però, lascia un segno profondo nell’animo del pugile: i suoi amici sostengono che da allora Primo non è più riuscito a scatenarsi completamente contro gli avversari, che il tarlo della paura (non per sé, ma per la vita dei rivali) ha svuotato il suo micidiale sinistro. Sconvolto e tormentato da sensi di colpa, il gigante italiano arriva finalmente al match contro il re dei pesi massimi, il grande Jack Sharkey. I due si sono già incontrati nel 1931: in quella occasione l’americano, non ancora campione, aveva dominato e vinto ai punti.
Il 29 giugno 1933 le cose vanno diversamente: è il giorno dell’apoteosi di Carnera, che offre una lezione memorabile di boxe e diventa il nuovo campione del mondo dei pesi massimi. Sharkey è steso da un perfetto montante destro nel sesto round, dopo aver subito costantemente l’iniziativa dell’italiano: è il più netto dei KO. Primo, ebbro di gioia, dedica la vittoria alla patria fascista. In Italia la stampa di regime batte la grancassa della propaganda e si appropria del trionfo; Carnera il gigante, il primo italiano campione del mondo di boxe, diventa l’emblema dell’Italia littoria e delle sue magnifiche sorti. Se in patria l’entusiasmo è enorme, tra gli italoamericani si arriva al delirio. Tra le migliaia di persone che per giorni festeggiano il campione c’è un bambino di nove anni che riesce a toccargli la mano: si chiama Francesco Rocco Marchegiano, passerà alla storia come Rocky Marciano e diventerà l’unico campione dei massimi capace di ritirarsi imbattuto.
Mussolini vuole riportare Carnera in Italia per mettere la sua leggenda completamente al servizio del regime: organizza la prima difesa del titolo a Roma, nello scenario di Piazza di Siena. L’avversario sarà il coriaceo basco Paulino Uzcudun, l’uomo che qualche anno prima ha sconfitto il campione europeo dei massimi Erminio Spalla.
Il 22 ottobre 1933 Carnera si presenta sul ring di Roma in camicia nera: ha deciso di donare la cospicua borsa dell’incontro alla patria. Mussolini assiste al match, circondato dai più importanti gerarchi. La stampa lavora da mesi con lo scopo di trasformare il combattimento in un evento mediatico di proporzioni enormi. La strumenta--lizzazione dello sport a fini politici e propagandistici raggiunge il parossismo: il gigante buono e invincibile, infatti, è un “testimonial” perfetto per la retorica fascista. Quando Carnera e Uzcudun salgono sul quadrato mancano solo sei giorni all’anniversario della marcia su Roma. Insieme alle vittorie di Carnera, il regime esalta quelle di altri pugili che si distinguono a livello europeo, come Cleto Locatelli, “Kid” Frattini e Vittorio Tamagnini; sono i giorni nei quali l’Italia del duce si gloria anche del successo degli aviatori guidati da Balbo, capaci di trasvolare l’Atlantico, e di quello del Rex, il transatlantico più veloce al mondo.
Più tardi arriverà anche il trionfo “pilotato” della nazionale di calcio ai campionati mondiali del 1934, oggetto di una campagna di stampa senza precedenti tesa a magnificare la potenza della patria.
Carnera vince nettamente ai punti, ma Mussolini non è per nulla soddisfatto: avrebbe voluto un KO magniloquente tanto quanto la faraonica messinscena di Piazza di Siena. Il duce deve portare pazienza. Uzcudun non si è venduto, la vittoria di Primo non sarà spettacolare, ma è pulita meritata. Il campione si gode il trionfo e continua ad allenarsi, in vista di una nuova difesa contro l’americano Max Baer.
Baer, pugile stupendo, è l’antitesi di Carnera: agile, furbo, bello e spregiudicato nell’uso dei media. Per molti aspetti anticipa gli atteggiamenti istrionici che saranno di Cassius Clay, imposta battaglie psicologiche con i rivali attraverso la stampa e sa come conquistare il cuore dei tifosi. Non a caso è il primo pugile capace di ottenere una sponsorizzazione da un’azienda (la Gillette). Nelle settimane precedenti al match Carnera mostra di patire gli atteggiamenti provocatori di Baer. Il gigante non è abituato alle battaglie di nervi e il suo consigliere “Broadway” Duffy non può aiutarlo a gestire la pressione: è ospite delle patrie galere. Inoltre Primo sa che i pugili veloci e scattanti lo hanno sempre messo tatticamente in difficoltà, è preoccupato e nervoso. Il 14 giugno 1934, durante il secondo round, Baer e Carnera vanno contemporaneamente al tappeto, scivolano mentre sono legati in uno scontro ravvicinato.
Carnera appoggia male il piede e si procura una distorsione alla caviglia: dovrebbe ritirarsi, ma il suo orgoglio glielo impedisce. Non può permettere allo sbruffone che lo ha deriso per mesi prima del match di accusarlo di viltà. Continua a combattere eroicamente, si difende come può da serie impressionanti di colpi.
All’undicesima ripresa Primo è diventato un bersaglio fisso, non si muove più. Il colosso è andato al tappeto un’infinità di volte ma si è sempre rialzato, testardo e irriducibile combattente. Il suo volto è una maschera di sangue, ha la morte stretta nei denti ma il suo orgoglio smisurato lo tiene ancora in piedi. Finalmente l’arbitro ferma il massacro. KO tecnico, Baer è il nuovo campione.
Carnera pagherà carissima la generosità mostrata in questo incontro: gli spaventosi colpi subiti lasciano segni indelebili sul suo fisico e pregiudicano il resto della sua carriera.
Dopo l’incontro solo Baer, sbruffone ma leale, rende omaggio al valore di Carnera, solamente lui sa a quali colpi il gigante è stato capace di resistere e quanto grande è il suo cuore. Nasce un’amicizia profonda, vera. Quando Rosenbloom, campione dei mediomassimi, si permetterà di deridere pubblicamente un Carnera al declino, Baer difenderà il nome dell’amico, sfidando Rosenbloom e riempiendolo di pugni.
Sono storie di pugili, romantiche e virili: tutti i grandi avversari di Primo, vincitori e vinti, riconoscono la sua onestà e la sua generosità, molti diventano suoi amici e suoi tifosi.
Il regime fascista, però, non ha l’animo nobile del boxeur e comincia a disinteressarsi di Carnera; la sua immagine è irrimediabilmente offuscata dall’ombra della sconfitta. Anche il sottobosco della criminalità legata alla boxe sceglie nuovi talenti e smette di appoggiare il gigante buono.
Carnera, dopo qualche vittoria di routine, si illude di poter tornare campione, il pubblico gli è rimasto vicino. Ma sulla strada che dovrebbe condurlo alla rivincita con Baer ha la sventura di incontrare un giovane nero emergente. Quel giovane diventerà il più grande peso massimo di tutti i tempi: è l’immenso Joe Louis, il “bombardiere nero” che occuperà il trono dei massimi per dodici anni, l’uomo dallo sguardo di ghiaccio che ingaggerà epiche battaglie contro Max Schmeling, il “pugno di Hitler”.
Joe Louis fa sognare il popolo dei ghetti come Carnera fa sognare i “paisà”. Si confrontano due icone di altrettante americhe minori, oppresse da pregiudizi e animate da enorme volontà di riscatto.
Il match è epocale, gli spalti sono divisi nettamente in zone “bianche” e zone “nere”, la tensione tra gruppi sociali differenti è altissima.
Il 25 giugno 1935 Louis sconfigge facilmente un Carnera di otto anni più vecchio, già provato da decine di battaglie e dai colpi subiti da Baer: un’altra volta il gigante dà prova di eroismo, non abbandona, si rialza dopo ogni caduta, perde con immensa dignità. Louis è una belva, non mostra alcun rispetto per il mito di Primo e infierisce.
Le storie della boxe sconfinano nella leggenda e l’americano pagherà cara l’umiliazione inflitta al vecchio Carnera. Molti anni più tardi, Rocky Marciano, il piccolo ammiratore che nel 1933 aveva stretto la mano al campione italiano, scaraventerà oltre le corde del ring un Louis al declino. Il giovane Rocky non sarà arrogante nei confronti del mito decaduto come lo era stato il giovane Joe nei confronti di Carnera: dopo la vittoria quasi si scuserà con il vecchio campione, abbracciandolo fraternamente.
Gli dei della boxe lo premieranno: Marciano si ritirerà imbattuto, non sperimenterà l’umiliazione del confronto con il campione emergente.
Si dice che la mafia, trovata una nuova fonte di guadagni nell’idolo dei neri, abbia drogato Carnera per fargli perdere il match e per condurre integro Louis all’incontro per il titolo. Non c’è da stupirsi: di aiuti simili si sarebbe inconsapevolmente avvantaggiato anche Carnera nella prima fase della sua carriera; come Carnera avrebbe vinto le sue sfide anche senza aiuti, allo stesso modo Louis avrebbe sconfitto l’italiano anche in un incontro pulito.
Ma a Mussolini la dignità del campione e i dubbi sul match non interessano: il regime scarica definitivamente Primo, i perdenti non sono funzionali alla propaganda. Il Minculpop ordina alla stampa di non pubblicare immagini di Carnera sconfitto dal negro Louis.
Di fatto, per Carnera è la fine di una carriera che si trascinerà stancamente ancora per alcuni anni. Il gigante non ha un soldo, la mafia e i manager gli hanno sottratto tutto. Per vivere si esibisce in spettacoli teatrali, recita parti minori in film di cassetta, combatte in incontri senza alcun significato.
Il suo mito, però, sopravvive nel popolo; nell’immaginario collettivo Carnera continua a essere sinonimo di eroe buono. Film, fumetti, modi di dire ispirati a lui eterneranno la sua figura di pugile gentiluomo, di gigante dal cuore tenero.
Nel 1938 Primo appende i guantoni al chiodo, a causa dei troppi colpi subiti in carriera ha addirittura perso un rene. La sua vita è a una svolta: nel 1939 incontra una giovane donna che gli fa perdere la testa, la jugoslava Pina Kovacic, impiegata a Gorizia. Poche ore dopo averle parlato per la prima volta Carnera le chiede di sposarla. La famiglia di Pina si oppone strenuamente, ma la donna accetta la proposta di Primo: per un pugile che nemmeno conosce rinuncia al padre, che la caccia di casa, e al lavoro.
La convivenza è difficile, Primo è innamoratissimo ma i due non sanno nulla l’uno dell’altra; per giunta lui non riesce ad adattarsi a una vita nuova, quella dell’ex atleta. Pina non si trova bene e presto decide di abbandonare il marito: un giorno esce di casa determinata a non tornare più, ma qualche ora più tardi si pente e torna indietro. Quando rientra in casa, legge sul volto del suo uomo la stessa espressione che hanno visto i pugili che lo hanno messo al tappeto. Ma mentre dopo ogni KO subìto il campione si era rialzato, questa volta il gigante è davvero sul punto di arrendersi: “Se non fossi tornata”, dice Carnera a sua moglie, “mi sarei ucciso”. Primo stringe un fucile in mano.
Pina capisce quanto quell’uomo di poche parole la ami. Rimane con lui e lo educa a una vita nuova, fa leva sui suoi interessi per spingerlo a riprendere a studiare. In fondo, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Carnera ha anche altri interessi oltre al pugilato: da sempre legge Dante, ama la lirica e il ballo e parla perfettamente inglese e francese.
Inoltre ha un discreto senso dell’umorismo; in numerose circostanze ha conversato amabilmente perfino con Edoardo VIII d’Inghilterra, oltre che con grandi personalità del mondo dello spettacolo. Tutto sembrerebbe andare per il verso giusto, nonostante la guerra. Ma arriva l’8 settembre 1943.
Nel clima drammatico e caotico che segue l’armistizio Carnera rischia di pagare a carissimo prezzo i suoi saluti romani e le strumentalizzazioni politiche delle quali è stato oggetto dieci anni prima: viene catturato da un gruppo di partigiani che ben ricordano le sue foto accanto al duce.
Primo sta per essere fucilato, ma tra i partigiani nasce una discussione. Qualcuno comprende le ragioni del campione, in fondo tutta l’Italia ha tifato per lui... Alla fine la leggenda di Carnera ha la meglio sull’antifascismo di chi lo deve giudicare: l’ex campione viene rilasciato.
Dopo la guerra riemergono le difficoltà economiche che hanno tormentato Carnera negli anni precedenti. Il colosso, per quanto acciaccato, torna sul ring: lo spettacolo che offre contro pugili più giovani non è granché, ma il pubblico accorre in massa. Il mito di Primo è più vivo che mai, anche all’estero. Come sfruttare questa popolarità senza più dover rischiare figuracce contro avversari più freschi? Carnera ha un’idea: dedicarsi al catch, la lotta libera che in America ha un successo enorme. In fondo, da ragazzo si è esibito in incontri di lotta nei baracconi di Parigi e conosce la tecnica di base. Si trasferisce nuovamente oltreoceano e risale sul ring, per tentare una nuova avventura. Il catch non è un vero sport, è soprattutto spettacolo e combine.
I numerosi successi di Primo sono dovuti non solo alla sua forza e alla sua esperienza, ma dipendono anche dalle scelte degli organizzatori, entusiasti per le masse di pubblico che accorrono ai suoi incontri e scommettono su di lui. Carnera diventa addirittura campione del mondo di lotta libera nel 1957.
Quello che più conta, però, è che il gigante diventa finalmente ricco grazie a questa seconda carriera: il boom economico favorisce i guadagni e gli investimenti e Pina sa come gestire i soldi.
Nel 1962 Primo si ritira definitivamente, desidera invecchiare sereno accanto ai suoi due figli e a Pina, che ama sempre con tutto se stesso. Purtroppo non ne avrà il tempo. Nel 1966 Carnera subisce un autentico tracollo fisico, colpito da una terribile malattia al fegato: sente avvicinarsi la fine e decide di morire in Italia. Torna a Sequals, il villaggio dei suoi antenati, dove nel 1967 spira circondato dall’affetto della sua gente.
Quella di Primo Carnera è una storia leggendaria. Carnera non può morire in un giorno qualunque: la morte lo prende il 29 giugno.
Trentaquattro anni prima, proprio il 29 giugno il gigante viveva il suo trionfo e conquistava il mondiale dei pesi massimi.
Ancora oggi all’ingresso di Sequals campeggia una scritta semplice e sincera: VIVA CARNERA.
Biografia di Roberto Mottadelli
Biography
Born in Sequals,near Udine, Italy, Carnera was a remarkable individual almost 205 cm, at a time when the average height was approximately 165 cm (5 ft 5 in). Until December 19, 2005, when the 7 ft, 147 kg Nikolay Valuev won the WBA title, Carnera was one of the biggest heavyweight champions in boxing history. He enjoyed a sizable reach advantage over most rivals, and when seen on fight footage, he seems like a towering giant compared to many heavyweights of his era, who were usually at least 60 pounds (27 kg) lighter and 7 inches (18 cm) shorter than him. One publicity release about him read in part: For breakfast, Primo has a quart of orange juice, two quarts of milk, nineteen pieces of toast, fourteen eggs, a loaf of bread and half a pound of Virginia ham.[citation needed] Because of his size, he earned the nickname The Ambling Alp.
September 12, 1928 was the date of Carnera's first professional fight, against Leon Sebilo, in Paris. Carnera won by knockout in round two. He won his first six bouts, then lost to Franz Diener by disqualification in round one at Leipzig. Then, he won seven more bouts in a row before meeting Young Stribling. He and Stribling exchanged disqualification wins, Carnera winning the first in four rounds, and Stribling winning the rematch in round seven. In Carnera's next bout he avenged his defeat to Diener with a knockout in round six.
In 1930, he moved to the United States, where he toured extensively, winning his first seventeen bouts there by knockout. One of the boxers he beat during that streak was Jack McAuliffe. The one rival who broke the streak was George Godfrey, beaten by disqualification in five in Philadelphia. Carnera lost a decision to Jim Maloney in Boston to finish 1930.
In 1931, he went 7-1. He beat Maloney and King Levinsky, but his sole loss that year was to future world Heavyweight champion Jack Sharkey. In 1932, he went 23-2, with 17 knockouts, but mostly against obscure opposition. Neither of his two losses were by knockout. The first to Larry Gains in London was decided by unanimous decision. The second to Stanley Poreda, a controversial match held in Newark, New Jersey, was decided by points. 1933 was one of the most important years in Carnera's life: On February 10, he knocked out Ernie Schaaf in thirteen rounds in New York. Schaaf died two days later and Carnera had to go through what most boxers wish they did not have to: the death of an opponent. For his next fight, Carnera faced the by then world Heavyweight champion Sharkey, with the crown on the line. The championship date was June 29, at the Madison Square Garden's bowl at Long Island. Carnera became world champion by knocking out Sharkey in round six.
He retained the title against Paulino Uzcudun (who was attempting to become the first Hispanic world Heavyweight champion) and Tommy Loughran, both by decision in 15 rounds, but in his next fight June 14 1934 against Max Baer, Carnera fell down 12 times and was defeated in 11 rounds. Carnera's falls were due to his broken ankle. Baer, during the whole match took advantage of the situation, sometimes showing impolite behavior.
After that, Carnera won his next four fights, three of them as part of a South American tour that took him to Brazil, Argentina and Uruguay, as well as boxing two exhibitions in the southern American continent. But then, in his next fight of importance, on June 25, 1935, he was knocked out in six rounds by Joe Louis, who would become world heavyweight champion in 1937.
For the next two and a half years, he had a rather ordinary record, winning five bouts and losing three. But in 1938, Carnera, a diabetic, had to have a kidney removed, which forced him into retirement until 1944.
Carnera's manager, Lou Soresi, stole much of Carnera's money and left him almost broke. Because of Soresi's connection to Owney Madden, belonging to the underworld, it has always been speculated across the boxing world that most of Carnera's fights were fixed. The book East Side, West Side: Tales of New York Sporting Life 1910-1960 took the rumors a step further, stating that "Most of the Italian giant's opponents were pushovers, paid to take a dive or too frightened to stand up for three minutes in a row". Jack Sharkey himself had to deny rumors about him taking a dive in his world championship fight with Carnera, swearing that he had not. But these rumors involved other boxing champions of the time, like Jack Dempsey, Max Baer, Jess Willard and Gene Tunney, accused of being corrupt men and uncapable boxers.
During his time off boxing, Carnera went to Hollywood and tried his fortune there, and he did well in the city of the stars, participating in a number of movies — his later role in the 1955 British film A Kid for Two Farthings being critically acclaimed. In 1945, he attempted a comeback to boxing, and he won two fights in a row. But after losing to Luigi Mussina three times in a row, he quit boxing for good.
In 1946, he became a professional wrestler and was immediately a huge success at the box office. For a few years he was one of the top draws in wrestling, even though he never held a major title. Carnera continued to be an attraction into the 1960s. Supposedly, he and Baer engaged in a wrestling match, though no evidence of that happening has been found.
In 1953, Carnera married Giuseppina Kovacic, a woman that he had known in Italy, and they became American citizens. They settled in Los Angeles, where Carnera opened a restaurant and a liquor store. They had two children, one of whom became a medical doctor.
Requiem for a Heavyweight, a film featuring Anthony Quinn as a boxer, was released in 1962. Many fans thought the movie's story had some resemblance to Carnera's life. In 1947 Budd Schulberg wrote his novel, The Harder They Fall, a story about a boxer whose fights are fixed. In 1956 a movie with the same name, and based on the novel, was released by Columbia Pictures. In response, Carnera unsuccessfully sued the movie company.
Carnera died in 1967, of a combination of diabetes complications and liver disease.

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