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Mavia

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Se non stai attenta, mentre parla, ti disegna pure le scarpe. Non se n'accorge, più è concentrata e più scarabocchia. Però le vengono fuori figurine intriganti. Mavia è ancora molto giovane, con una testa da cartone animato. Adesso esibisce un caschetto di capelli con "colpi di sole"che declinano tutte le tonalità del rosa, da quello fragola all'arancione. Con normalità e con allegria perché è semplicemente innamorata del colore. E si percepisce un'espressività strutturata, riferimenti tecnici e preparazione che sono lì, senza ingombrare e senza gonfiare una spontaneità che non accetta di lasciarsi condizionare.Non credo sia così per l'età, è così per scelta e per sorriso, per pacificazione interiore. Da quand'era bambina manipolava tutto, dalla plastilina alla mollica del pane dando vita ad un bestiario da favola che ancora oggi riproduce. E proprio all'infanzia risale la passione per le civiltà precolombiane. Merito di un libro trovato in casa. Da allora Mavia tende ai disegni essenziali, primitivi, ai mostriciattoli che ostentano orgogliosi tutta la gioiosità dei colori della terra. Come le sue sculture in terracotta, rappresentazioni simboliche degli elementi alla maniera della civiltà Maya. Sulla tela è il predominio assoluto del colore, primario, deciso, invadente. Mai una sfumatura od un'ombra, nulla che non sia necessario al suo racconto di vita. Anche il segno è pretesto per usare il colore, è questo a sostanziare la forma. Tutto ribaltato, niente da recuperare del concetto convenzionale d'immagine.Duchamp diceva "l'arte è un gioco" e Mavia l'ha preso sul serio. Non vuole dare messaggi, non vuole seguire filoni artistici o correnti di pensiero, non sente il bisogno di definirsi. Grazie a Dio. E chissà che l'arte, nella sua espressione concettuale, non sia proprio il bisogno d'immediatezza di una creatura. Forse l'artista vero è quello che non accetta di darsi un peso od una statura, forse è artista chi sa volare e sa sorridere, colui che sa convivere con se stesso, con la gioia ed il rispetto che si devono ad ogni essere della natura. Perché qualche volta si può anche uscire dalla retorica ed entrare nell'emozione minimale delle anime semplici. Delle anime sane. Mavia è "preparata", se sollecitata è "colta", sa citare, collegare e riferire ma sembra non importarsene proprio niente. Non ostenta mostre o benemerenze di sorta eppure potrebbe, nonostante la sua giovinezza. Non a caso, parla dei dadaisti.Nel dolore del primo conflitto mondiale, questi escludevano dall'espressione artistica ogni razionalità, ogni volontà di comunicazione che non fosse spontanea ed incontrollata.In momenti saturi di contenuti drammatici, beato chi riesce a riconciliarsi con quanto la contaminazione della storia cancella.Per il dadaista, l'opera d'arte è in natura, nel quotidiano, sotto i nostri occhi. Una ruota di bicicletta od un vaso da notte possono diventare soggetto d'artista. Allora la ricetta è tutta qui, nella poesia del quotidiano che non sappiamo più ascoltare.E basta. Altre parole diventerebbero tentativo di critica e sarebbero la negazione di quanto Maria Vittoria vuole comunicare. I suoi lavori hanno sicuramente a che fare con l'emozione, con la sua e con la nostra, come quelli di un qualsiasi altro pittore. Però evocano qualcosa in più o qualcosa in meno, a seconda dei punti di vista. Parlano di ricordi gioiosi, di anime incorrotte, di armonia interiore.Di dolore conosciuto ma non rimosso, di memoria storica non falsata dalla protervia del giudizio. Richiama con sorriso incantato le feste sull'acqua di Monet e riesce a non cambiare espressione quando parla, con la stessa gioia, degli espressionisti e de "Il grido" di Munch. Perché Mavia accetta tutto dell'esistenza, anche quel volto posto di lato alla tela, anche quella testa racchiusa fra due mani di disperazione. Lei possiede l'intelligenza della motivazione alla vita che non è esclusione del dolore, non è un tuffo nello stordimento. E' una che pensa tanto ma lo sa fare. Parla dei colori brillanti che ama e che, perciò, usa.Li definisce in due parole."Quando li guardi ti viene voglia di ridere". Perfetto. E' suo lo stupore dei Maya, il rispetto che avevano per la natura, ha fatto propri i continui riti di ringraziamento che questi celebravano per la madre terra. Non si può raccontarle una barzelletta perché non la smette più di ridere. Quando discute delle sue fedi, dal buddismo alla coscienza ecologica ed all'amore per gli animali è sicura, con la serenità e la consapevolezza di chi non è mai sterilmente rabbioso. Lo "stato vitale alto" di cui parla, l'ha dentro. Ha tutto presente, guerre, violenze, prevaricazioni e ferite arcaiche.Tutto risolve esponendosi ed assemblando sulla tela colori e forme che non chiedono altra giustificazione che quella della trasparenza. Non è brava a raccontarsi però quando guarda un oggetto pensa già a come potrebbe trasformarlo.Te ne accorgi. E' la sua faccia che si trasforma per prima. Gli artisti sono così.

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