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Fuori da quella casa c'era il tramonto, alla radio le Bangles cantavano Eternal Flame, dalla finestra potevamo vedere i campi infuocati dal sole che spariva dietro le colline, ci tenemmo per mano e ci gustammo lo spettacolo. Ancora non lo sapevo ma quello era l'ultimo ricordo che avrei voluto conservare.
Quella notte era serena, nel cielo s'intravedeva qualche stella e faceva freddo, lo stesso freddo di tutte quelle notti in cui io e lei ci stringevamo tra le coperte accartocciate in cerca d'affetto, in cerca di qualcosa che solo noi potevamo comprendere, qualcosa che il mondo non poteva vedere, forse perchè era troppo cieco o solo perchè fuori era troppo buio.
Sapevo solo che intanto, a pochi passi da noi la vendemmia procedeva incessante, senza badare al tempo che era passato, senza considerare tutto ciò che era cambiato.
Io ero cresciuta, alla fine ero diventata adulta ed invecchiata davvero; ma tra i filari il tempo non conta. Fare un buon vino, ecco quello che importa, il resto è tutto fermo in un epoca sospesa come per incanto, proprio come in una fiaba.
Lassù tutto era immobile, i ricordi congelati in un passato, che altro sapore non aveva, se non quello di un sogno bellissimo, lei, il mio sogno bellissimo.
Partorii il cinque marzo del duemila, un maschio, lo chiamai Federico e lo amai fin dal primo istante...
...gli facevo il solletico, giocavamo insieme e lui rideva di gusto. Rideva e mi guardava con un'ammirazione tale che a stento riuscivo a credere che fosse solo un neonato. Poi arrivata una certa ora crollava dal sonno, appoggiava la manina sul mio petto e si addormentava, ubriaco da quella sorta di abbraccio e da quell'amore che era tutto per lui.
Crescendo cominciò a pettinarsi come i personaggi dei suoi cartoni animati preferiti, portava i suoi capelli rossi sparati per aria, ma con tutte quelle lentiggini sul viso e quelle fossette sulle guance quando sorrideva... eh... più che altro assomigliava a Billy Elliot, ogni tanto lo chiamavo così e la cosa lo faceva andare su tutte le furie.
Parlammo tutta la notte. Le raccontai dei miei genitori, del Vietnam, dell'origine del mio nome da cretina, parlammo di musica, delle nostre canzoni preferite. Lei indossava un'esagerata maglietta di Cindy Lauper, non ci volle molto a capire i suoi gusti musicali e che "Time after time" per lei era il massimo...
...credo proprio di aver cominciato con il piede sbagliato: il mio nome doveva essere Nilla, mia madre voleva rendere quest'omaggio alla sua cantante preferita, quella che le ricordava la sua infanzia, Nilla Pizzi. Purtroppo a causa di un errore all'anagrafe divenne Nila, un vero e proprio nome di merda.
Presi la macchina di mio padre e guidai per quasi un'ora ascoltando i Duran Duran a tutto volume, cantando a squrciagola e cercando di non pensare a ciò che sarebbe potuto accadere.
... semplicemente le parlavo di un postino in bicicletta che fischiettava una canzone di Celentano, o dell'odore di campagna che in quel periodo si sentiva nell'aria, o del cielo color vaniglia che avevo notato in un film che mi era piaciuto, che spesso si poteva notare anche in città e che miracolosamente obbligava la gente a camminare con gli occhi puntati verso l'alto.
Si avvicinò al mio orecchio "Sottiletta" mi sussurrò.
"Eh?"
"Sottiletta" ripetè lei "Ti ricordi Joanie... Joanie Cunningham?" mi chiese.
"Il personaggio più insignificante di Happy Days" feci con desolazione.
"Non è vero! Tu le somigli un po'... hai la sua innocenza e il suo senso della famiglia".
"Sottiletta..." mi chiamò e il mio cuore riprese a battere con quel ritmo che da anni aveva smesso di essermi familiare. "...non mi lasciare, ti prego" mi supplicò.
"Ti starò sempre accanto" le dissi ma pensai che forse non meritava neppure la mia compassione, se quella compassione si poteva definire.
TAKE MY BREATH AWAY!
Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche se è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il mio dura tutt'ora, nè più mi occorrono
le coincidenze, le prenotazioni,
le trappole di chi crede
che la realtà sia quella che si vede.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perchè con quattr'occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perchè sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.