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LAB.AQ16
Dieci anni fa iniziava in una piccola scuola nella campagna reggiana il cammino di un centro sociale, uno tra tanti che in Italia ed Europa da trent’anni scompaginano lo schema sociale imposto dal capitalismo urbano.
Quello stesso centro sociale che dopo innumerevoli cambi di pelle, denunce, lividi e centinaia di assemblee è diventato il Laboratorio Aq16 in via Fratelli Manfredi.
Dieci anni fa eravamo al termine di un secolo in cui le lotte di classe avevano tracciato percorsi di conflitto e di conquista di diritti per i lavoratori e i proletari.
La nostra storia, ovvero l’album di famiglia, segna però lo zero nell’epoca della nascita delle grandi lotte autonome degli anni 70, che dagli scioperi selvaggi nelle fabbriche si trasforma in rifiuto del lavoro salariato passando per le rivolte del 77, attraversa il periodo della grande repressione e del fallimento della lotta armata, conosce la durezza del riflusso degli anni 80 e il declino della centralità operaia, fino ad arrivare alle grandi mobilitazioni studentesche di inizio anni 90, per giungere alla nascita di centri sociali autogestiti, che oggi sono tra i protagonisti delle lotte contro la precarietà che la nuova economia neoliberista impone.
Molti di questi passaggi storici a Reggio Emilia non sono stati avvertiti e, con non poca fatica, abbiamo dovuto riannodare brandelli di storia dimenticata per capire il perché di un vuoto intergenerazionale e inventarci risposte, in mezzo al deserto sociale della concertazione sindacale e della pacificazione politica. Quel deserto che dieci anni fa percepivamo e chiamavamo indifferenza.
Per capire da dove venivamo e dove andavamo abbiamo attraversato oceani, partecipato alle grandi proteste contro la globalizzazione neoliberista, conosciuto decine di realtà collettive e comunità ribelli, parlato e scambiato saperi con il bene più prezioso: i compagni che oggi sono nostri fratelli e sorelle di strada.
Oggi quell’indifferenza diffusa nelle città è cresciuta trasformandosi in insicurezza collettiva, paura e deriva securitaria.
Ci accorgiamo oggi di non vivere in una città accogliente, ma in una metropoli chiusa e razzista che non sa cogliere la ricchezza della diversità , anzi preferisce rinchiuderla attraverso sistemi di controllo, carceri etniche, ordinanze proibizioniste. Una città sotto comando di una governance autoreferenziale e sorda, che produce sofferenza per poi venderti a caro prezzo la medicina, quasi sempre scaduta. Questa è oggi la nostra città , famosa per il triste primato della “telecamera ogni seicento abitantiâ€, per il record di cementificazione, per le retate contro i migranti senza documenti, per l’individualismo venduto come libertà .
Abbiamo capito tutto ciò e ci siamo dati gli strumenti per combattere: ci siamo presi spazi politici, abbiamo inventato ed intessuto relazioni tra precari, abbiamo iniziato l’esodo verso la società che legittimamente vogliamo.
Ma quello che vogliamo è incompatibile con l’esistente, va strappato coi denti!
Dobbiamo far capire a tutti che i nostri gesti, le nostre azioni e le nostre lotte sono per natura conflittuali e radicali perché mirano al sovvertimento dei rapporti sociali ed economici precarizzanti, e per questo giudicate illegali dall’ordine costituito.
Un centro sociale è per la città bene comune perché è scuola di convivenza, di non mercificazione del divertimento e del tempo libero, di libero accesso e scambio dei saperi, di sperimentazione antiproibizionista, di autogestione; è forma di vita altra.
Ma quello che marca la differenza è che uno spazio sociale è produzione di pensiero autonomo e politica di base, ovvero la messa in pratica del sogno collettivo che ci spinge avanti.
10 anni di lotta dentro e contro la metropoli sono il patrimonio da dove partire un altra volta.
Questo è quello che siamo ed è questo quello che offriamo: un’opzione differente.
Buon compleanno, altri ne verranno!
Le compagne ed i compagni del laboratorio sociale occupato Aq16