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Io sono un batterista.
Essere un batterista è una condizione a parte nella scala sociale, una figura trasversale a tutte le altre, uno status che conferisce determinate qualità, determinati pregi ed altrettanto determinati difetti. Il batterista è raro, è la figura che manca sempre nei gruppetti giovanili, e questo gli conferisce un fascino innato ed innegabile.
Prendiamo i chitarristi, ad esempio. Ce ne sono migliaia, e questo li porta sempre a dover dimostrare qualcosa. Se suoni la chitarra, sta' sicuro che prima o poi ti ritroverai in spiaggia, con qualcuno che ti consegna lo strumento in mano e ti chiede di farlo cantare. Il chitarrista è sempre portato a dover mostrare quanto vale. Al batterista, invece, nulla è richiesto. Cosa vuoi, che ti porti i piatti qua e ti faccia un assolo alla Neil Peart? Non posso, è regolare. Ma a te basta che io sia un batterista. Quello strumento semi-sconosciuto, al pari del basso ("Cos'è, una chitarra più lunga quella che suona quel tizio là?!") ma con molto più fascino, tutti quei piatti e quei tamburi, quella bestia abnorme che sembra così difficile da mettere a bada. Al batterista, per affascinare, basta solo essere un batterista.
I batteristi hanno il loro codice di comunicazione. Una specie di linguaggio morse, fatto di sguardi e rullate con le mani. E' per questo che spesso i batteristi sono spasmodici, iperattivi, nevrotici, ballodisanvitiani, quasi tutti (per fortuna non io) tendenti al consumo di massa di cocaina. Perché sono abituati a parlare con i gesti, ad ammaliare con quei loro arti così assurdamente scoordinati. I batteristi si riconoscono all'istante. Basta uno sguardo, uno studio veloce ed approssimativo, e il batterista capisce senza problemi che intorno a lui c'è un suo fratello. Un fratello da guardare con diffidenza, perché - badate bene - i batteristi sono tutti megalomani esaltati, e difficilmente pensano che il loro approccio alla musica non sia il migliore in assoluto. Ma il batterista manda segnali, corre appresso alla canzone che esce dalla radio, manifestando una discreta repulsione se il pezzo in onda non gli piace (perché la reputazione è tutto, per i batteriisti; ah, i batteristi). Ha paura a rivolgere la parola al collega presente, per questo gli manda questi messaggi. Cosa dovrebbe dirgli? "Anche tu suoni la batteria?". E che domanda stupida è? In fondo, anche senza proferire parola può ottenere ciò che vuole: dimostrare all'altro l'amore per il proprio strumento, renderlo partecipe del fatto che siamo una casta privilegiata, e quindi avanti così, amico, porta con onore il fardello e dimostra al mondo che i batteristi possono metterlo a novanta.
Il batterista, il batterista vero, odia gli altri strumentisti. Può limitarsi ad una pacata ammissione di rispetto, questo sì. Ma ciò non toglie che la musica è una guerra, e la trincea del batterista è di certo quella più sicura. Perché l'anima del pezzo sono io, ragazzi, se io funziono bene la canzone guadagna il triplo rispetto a quanto fa se a funzionare bene siete voi. Io sono il ritmo, il ritmo delle cose, se voi date voce a questa canzone io la faccio strillare e piangere, inorgoglirsi ed abbattersi, restare in silenzio o perdersi nella logorrea. "Io sono vivo, voi siete morti", direbbe Philip K. Dick. Voi siete la carne, io sono lo scheletro. Voi potete essere al massimo le braccia, le falangi, io sono la colonna vertebrale. Io la canzone la reggo in piedi, voi le insegnate a camminare. Io le dono la parola, voi la fate parlare. Io sono la base e il vertice della Piramide, io sono il tutto. E come sempre, soffro di una certa sindrome da onnipotenza.
Io sono quello che dopo il concerto non si ferma a raccogliere i complimenti (se ci sono) della gente, e magari di qualche bella ragazza; io resto sul palco, a smontare la batteria in silenzio, ché cristoddìo ci vuole una cazzo di mezz'ora, a smontare una batteria intera. Io sono quello che nessuno vede mai, che nessuno riconosce mai per strada. Nessuno si accorge mai del batterista. Questo è un suo difetto. Tutti lo stimano, tutti "E' uno strumento da paura la batteria!", tutti "A me me sarebbe sempre piaciuto suona' la batteria", tutti "Dev'essere difficilissimo suonare la batteria!", ma nessuno lo conosce. Sapreste fermare per strada, voi, il batterista delle Vibrazioni? Quello dei Bluvertigo? Quello dei CCCP? No, perché il batterista è "Quello è tanto carino, mi piace un sacco, ma il mio cuore è da un'altra parte e devo tornarci". Il batterista è una penombra semovente. Porta la sua influenza quando arriva, ma poi torna nel buio.
Io sono un batterista. In seguito ad anni di studi, sull'uso delle bacchette potrei scrivere un manuale di Sociologia. Chi usa le Vic Firth, ad esempio, o è un principiante o è uno del tutto professionale, che ormai si è stancato dei luoghi comuni. Ed uno dei luoghi comuni dei batteristi è che devi emanciparti dalla massa, devi emanciparti dalla tradizione e da tutto ciò che ti viene consigliato all'inizio. C'è così chi passa alle Pro Mark, bacchette che spesso associo ai punk rockers. Ci sono poi i palati fini, quelli che si schierano sulle Regal Tip, che sono bacchette da intenditori, perché molti modelli fanno letteralmente schifo, quindi se becchi quelle buone (tipo le Jeff Porcaro, che uso io) non c'è niente da fare, sei uno che ne capisce (è per questo che compro sempre 8A, che non conosce nessuno: perché la reputazione è tutto, per i batteristi - ah, i batteristi). Jeff Porcaro, in effetti ci sta proprio bene. Perché era un batterista di Cristo in mezzo ad una musica di merda. Proprio come le sue bacchette.
Noi siamo i batteristi. Siamo la casta che metterà il mondo a pecorina (scusate l'espressione ridicola, ma l'ho usata di proposito: perché il batterista deve stupire - vedi i miei racconti - e non si può permettere di rientrare nella norma; preferisce essere trash e stupido come me ora, piuttosto che usare un'espressione comune). Noi siamo orgogliosi, fieri, pimpanti, fascinosi e un po' tristi. Siamo lo yin-yang della società, quelli per cui tutto è bianco o neri. Ci riconosciamo a prima vista, e per questo, nonostante le differenze di vedute, alla fine ci amiamo così tanto. Perché sappiamo di essere parte di un qualcosa che non potrà mai essere compreso né tantomeno spiegato alle persone che ci circondano. E' un sentimento che abbiamo dentro, che abbiamo dentro al cuore, un sentimento che non si può spiegare ma che noi sentiamo più forte che mai. Abbiamo dentro di noi l'amore vero, l'amore della vita, quello che tutti dicono di cercare. Noi ce l'abbiamo, l'amore che dura dall'inizio alla fine, quello che ti porterai fino alla tomba senza mai tradirlo.
E siamo padri e figli di una musica impietosa, che ti prende e sbatte al muro quando vuole, che ti domina e ti distrugge, se vuole, anche se tu credi di averla dominata.
Una musica che per noi è bastone e carota al contempo...

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Posted by on Sat, 13 Oct 2007 19:00:00 GMT

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