Vorrei un teatro che respira, come un essere mitologico.
Che ti invita ad entrare,
come la casetta di marzapane delle favole dei Grimm,
e che ti cattura, nel suo essere magico, incognito, misterioso.
Vorrei un teatro che sia la scatola dei giochi di un bambino.
Una costante sorpresa, come un regalo inesauribile.
Una ripetuta rivelazione, un’epifania, senza fine, attraente e pericolosa,
come il vaso di Pandora.
Vorrei un teatro che sia una casa e un tempio, un sogno appiccicoso,
nel quale rimanere invischiati, come tela di un ragno che tesse inquietudini,
che trama, ricama, complica i pensieri, li moltiplica, li fa preda.
Vorrei un teatro che stimoli sogni bellissimi ai sui spettatori.
Ma anche incubi.
Che rimanga preciso nella memoria,
con le sue geometrie di edificio ottocentesco,
ma anche capace di perdere forma, ritornare all’oblio
di una pura immaginazione.
Vorrei il teatro che immagino.
Mutevole, invadente, dispensatore di emozioni, esilarante e tragico.
Che stimoli domande e che mai si permetta di dare risposte.
Vorrei che il teatro fosse un nonno, clown dismesso,
che si diverte a fare paura ai nipoti,
raccontandogli di mondi che non esistono, ma che sono i loro.
Stefano Cenci.
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