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collettivo Ginsberg

About Me


I primi vagiti del progetto sono datati 2004 quando Cristian Fanti e Andrea Rocchi si conoscono in un locale di Forli' tramite amici comuni. Entrambi vivono nelle vicinanze della citta' e I due iniziano subito a collaborare trovandosi sempre piu' spesso e mettendo insieme materiale e idee in cerca di una formula musicale. Provando con amici e musicisti sempre diversi per trovare la giusta alchimia e il suono adatto, Cristian e Andrea imbastiscono un primo timido repertorio da far ascoltare a chi fosse interessato a partecipare al progetto. Cristian intanto sposta le sue visioni sul piano elettrico mentre Andrea continua i suoi esperimenti con loop ed effetti. Nel frattempo i due, dopo aver speso un paio di anni tra la camera di uno e dell'altro, costruiscono la propria sala prove a casa di Andy che da quel momento in poi sarà denominata "Il Vaso di Pandora". Il gruppo comincia a prendere forma quando nel 2006 si unisce ai due Giovanni Pistocchi di Cesena, e il nuovo trio prende a lavorare sul materiale gia' esistente e su nuove idee ritmiche. Giovanni porta con se' il suo bagaglio di esperienza di conservatorio, conoscenze di derivazione classica e spazi sonori nuovi che arricchiscono le influenze fin qui prevalentemente date dal blues e il cantautorato stralunato tipico di Nick Cave o Tom waits. La band prova in posti sempre diversi e contemporaneamente le varie ricerche del quarto elemento purtroppo non danno esiti positivi. Addirittura alcuni musicisti durano lo spazio di una prova. Intanto nasce il nome Collettivo Ginsberg, ideato per "esorcizzare" questa mancanza e creare al suo posto una specie di sentire comune, perlomeno in ambito musicale ... una sorta di spinta alla partecipazione di molti, alla ricerca sempre di nuove collaborazioni e nuove esperienze, facendo si' che le influenze siano molteplici e percio' le ispirazioni sempre piu' diversificate. Il 2007 e' un anno di transizione. Cristian passa 3 mesi in Irlanda e poi anche Andrea parte per la Spagna per 2 mesi. Durante questo periodo la maggior parte del tempo e' speso nel cercare il bassista... e finalmente a ottobre mentre Andrea e' assente la ricerca da' i suoi frutti;il quarto membro e' Christian Mastroianni, forlimpopolese gia' musicista in altre formazioni, che inizia a lavorare con il Collettivo, diventando sin da subito elemento fondamentale della band. In formazione base, il gruppo inizia un lavoro di “recupero & restauro” di tutto quel materiale registrato tempo addietro cercando se non una vera originalita' compositiva', una sicura riconoscibile particolarita' nell'approccio musicale.
discografia:
I REFUSE TO GIVE UP MY OBSESSION
Il Vaso di Pandora Records
rec @Studio SPUTNIK-Predappio FC - 2,3 feb 2008
1. Bechu Dutta 2. Cock-PIt 3. The Proposition 4. Sarah 5. The Snow Covers All 6. I'm Still Here 7. The Ballad Of Greengrey Village Lovers 8. Song Before The Void

°Giacomo Toni - fisarmonica/accordion (8)
I Refuse To Give Up My Obsession (Il Vaso di Pandora Records, 2008) by collettivo Ginsberg is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License .
PREGNANCY
Il Vaso di Pandora Records
rec @Studio SPUTNIK-Predappio FC - ott, nov 2008
1. Intro 2. Maudì 3. The Farm 4. Woodstock Cypress 5. Child Eyes 6. The Wish 7. Yama 8. I'm Waiting (Tango Nero) 9. To The Womb (White Dog From Hell)

°Federico Visi - chitarra elettrica & classica (9); chitarra elettrica, moog (2) °Bardh Jakova - fisarmonica (8) °Simone Rossi - clarinetto (5) °Maja Petrusevska - violoncello (5) °Giada Nanni - cori (4,8) °Consuelo Palotti - cori (4,8) °Ronnaug Tingelstad - cori (9)
Pregnancy (Il Vaso di Pandora Records, 2008) by collettivo Ginsberg is licensed under a Creative Commons Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate 2.5 Italia License .

My Interests

Music:

Member Since: 8/24/2007
Band Website: [email protected]
Band Members:
cristian fanti: voice, piano, organ
andrea rocchi: guitars, loops
giovanni pistocchi: drums, percussions
christian mastroianni: bass, double bass, theraphin
federico visi : guitar, moog, autoarph, loops
simone rossi: clarinet, ukulele, glockenspiel
michele pazzaglia: sax
nicola drudi: narrator

live personnel:
fabio strada: accordion

renee castiglione: cello
giada nanni: chorus
consuelo palotti: chorus
ronnaug tingelstad: voice, violin
patrizio orlandi: acustic guitar

Influences:
::::: RECENSiONi ::

I Refuse To Give Up My Obsession

(Frequenze Indipendenti)
Nonostante l'accento inglese, Cristian, Andrea e Giovanni sono tre ragazzi romagnoli doc (Cesena/Forlì) meglio conosciuti come Collettivo Ginsberg. Il loro "I Refuse to give up my Obsession" è un tuffo fra le pazzie care a Tom Waits e le "Murder ballads" alla Nick Cave, fra testi inquieti e colmi di una disincantata speranza. ... Una prova molto interessante, che, a questo punto, attende soltanto una conferma definitiva dai live e da un prossimo (speriamo) album.

(Rockit)
Come è stato scritto anche dal gruppo, i nomi di Tom Waits e Nick Cave sono dei veri punti di riferimento ai quali la band rimane ben attaccata, per affetto, per devozione o "solo" per amore. Sono due nomi pesanti, ai quali la band offre un tributo sonoro e malinconico che non ha il sapore del plagio ma quello dolce e condivisibile della citazione. Tutto l'album risuona come musica maledetta, senza regole, accompagnata quasi distrattamente da una band disinvolta che regala spazio alla voce mista di ruggine e miele di Cristian Fanti. Il Collettivo Ginsberg si diverte a giocare, affrontando con allegria e spensieratezza un'arte che troppe volte viene presa sul serio da chi la musica non la sa fare. L'atmosfera live di questa registrazione la si può ritrovare nella coda di "The ballad of greengrey village lovers", dove sembra di vedere la band insieme ad amici cantare e bere attorno al microfono disinteressandosi completamente del fatto che quello che stanno strimpellando verrà ascoltato da terzi. Insomma, ascoltando questo album non ci sbrilluccicheranno gli occhi per aver sentito suoni moderni o trovate innovative, ma ci ritroveremo improvvisamente assaliti da atmosfere passate, piacevoli e rassicuranti. "I refuse to give up my obsession" è una perla malinconica utile ad abbracciare l'inverno che sta arrivando.

(Extra!Music Magazine)
Un pianoforte, sulla falsa riga di Paolo Conte, corre su un mid-tempo che ricorda le atmosfere di Vinicio Capossela, in “Cock-pit”, primo vero brano, dopo l’intro strumentale “Bechu Dutta”, di “I Refuse To Give Up My Obsession”. Questo primo disco, del “Collettivo Ginsberg”, parte da profonde e scarne strutture blues come rampe di lancio per l’improvvisazione di ogni singolo elemento della band. La timbrica vocale mira, spudorata e maliziosa, a ricordare Tom Waits e Nick Cave, ma in lontananza si possono intuire accenni a Reverende Beat Man. Il tentativo del “collettivo” è quello di discostarsi dal classico song-like format destabilizzandolo con obliqui inserti, divagando dal tema principale del brano. Paradossalmente, invece, la band riesce a confezionare dei buoni brani, forti di buone e delicate melodie legate alle dolenti e trascinate note delle chitarre, “The Snow Covers All”. Una volta aperto, “I Refuse To Give Up My Obsession”, a dispetto del suo titolo, non sconvolge né terrorizza. La slide guitar di “I’m Still Here” richiama il suono scelto da Ben Harper per i suo album, mentre l’intera struttura della canzone sembra una reminiscenza del passato, in stile Doors. Nonostante le liriche siano in lingua inglese, la band marca bandiera italiana, con coordinate geografiche radicate nella romagna. Loro sono in quattro impegnati fra chitarre, loop, percussioni e uno strano aggeggio chiamato theraphin. Testi intelligenti e ricchi di “mal de vivre”, e un forte senso di speranza in molte delle loro canzoni come “Song Before The Void”, ospite Giacomo Toni alla fisarmonica. Un buon disco, intimo e pacato.

Pregnancy

(Mescalina)
La mia esperienza di fruitore consapevole di musica mi spinge, dopo aver terminato l’ascolto di Pregnancy, ad affermare che probabilmente ci troviamo al cospetto della più repentina e consistente crescita compositiva ed espressiva, nella storia della musica rock italiana, conseguita da parte di un gruppo ed occorsa tra la pubblicazione del primo e del secondo disco. A maggior ragione questa mia lapidaria affermazione prende corpo se si pensa che il Collettivo Ginsberg ha realizzato il debutto I Refuse To Give Up My Obession nello stesso anno (il 2008) di Pregnancy. Forse hanno ingurgitato steroidi anabolizzanti sotto false spoglie di note? Non credo, penso piuttosto che Cristian Fanti ed amici, dopo aver “rotto le acque” sonore ed essersi affacciati al mondo musicale, abbiano iniziato a sentire il fluire della musica che più li caratterizza proprio in quella fase, la più ricettiva e creativa della vita di una band, vale a dire quella della fanciullezza, la tanto mitizzata e nel contempo temuta seconda prova che, o ti proietta da qualche parte o il più delle volte ti uccide. Per nostra fortuna i ragazzi, frutto della beneamata e feconda terra di Romagna, hanno fatto il salto e, seppure l’album di debutto non fosse malvagio, aveva in se i brufoli dell’adolescenza musicale, con Pregnancy ci assestano un colpo al cuore ed uno allo stomaco, attraverso brani che farebbero la loro bella figura (complimentone!) negli album di Nick Cave “Maudì”, Tom Waits “The farm”, Doors “Woodstock Cypress”, Pink Floyd lo strumentale “The Wish” e la psichedelica “Yama”, Nick Drake “To The Womb”, citazioni che mi soccorrono per definire quale è l’afflato stilistico dei Collettivo. I testi, in lingua Inglese, sono profondi ed ispirati e tradiscono un generale malessere esistenziale e, manco a dirlo visto il nome della band, si rifanno a temi letterari cari alla beat generation, nel caso della stupenda elegia “I’m Waiting (tango nero)” son tratti da un poema di Lawrence Ferlinghetti. Fanti (voce e tastiere), Andy Rocchi (chitarre) Giovanni Pistocchi (batteria) e Christian Mastroianni (basso) mostrano di avere talento anche come strumentisti inoltre si fanno aiutare da un nutrito gruppo di musicisti e coriste che danno a tutto il lavoro uno spessore sonoro di grande impatto; una lode al Collettivo Ginsberg, anche alle nostre latitudini c’è un Vaso di Pandora (nel caso specifico la camera di Andy) che riesce a liberare musica di assoluto respiro internazionale, chissà mai che qualche distratto discografico se ne accorga, visto che i ragazzi si auto producono, come diceva il grande maestro “non è mai troppo tardi”. Pregnante.

(Saltinaria)
Nel secondo lavoro discografico del Collettivo Ginsberg c'è una maturità che lascia di sasso. “Pregnancy” è un titolo azzeccatissimo perché davvero i ragazzi sono gravidi di creatività e ispirazione. La voce di Fanti ha un potere evocativo notevole, sembra saperlo e si muove con sicurezza e padronanza tra la tristezza e la consapevolezza della stessa. Musicalmente cupi, sinistri, notturni, voltano il colore di chi ascolta in un marrone fangoso, calcando la propria impronta emotiva nella mente di chi ascolta. Poca speranza in quello che comunicano: il moog di Federico Visi lascia partire dei fischi che sanno di allarme, pericolo e “inizio della fine”. Un dolore apocalittico accompagna ogni nota, la loro è un'anima satura di cieli notturni in cui il sole è meno che un ricordo e la gioia, se non altro, fuori luogo. I testi, perfettamente in linea con il mood musicale, non lasciano spazio al sorriso o ad una rivincita, ma parlano, in un inglese forse delirante, di cani bianchi nati per essere affamati, di nuvole che nascondono il sole, di voci che svaniscono e crocifissioni di cristo che - forse - sono l'invenzione di qualche pescatore. Una serie di allusioni e rimandi impressionanti, che non voglio discutere o contestare ma che sento intensi ed efficaci, ipnotici e rivoluzionari. Le loro ballads sono come delle “bad lullabyes”, canti serali per far addormentare pensieri cattivi o, ormai, stanchi. C'è un'aura di fioritura al contrario ed una sensibilità che regala brividi sinceri. Unico momento di relax la bellissima “The wish”: poco più di due minuti di chitarre intrecciate in arpeggi da retrobottega e “slide”, per contro, di un gusto formidabile. Perduti e affascinanti. “Tossine” musicali a iosa.

(Ondarock)
E’ una profondissima passione per il blues a muovere, da sempre, il Collettivo Ginsberg alla ricerca di una vena artistica personale, di un territorio proprio in cui poter concretamente sperimentare, con il suono, che le emozioni non vanno solo custodite, ma anche donate agli altri. Di stanza tra Cesena e Forlì, il quartetto non fa mistero della sua passione per Nick Cave e Tom Waits, artisti la cui eco (soprattutto quella di Re Inchiostro – “Maudì”) non manca di farsi sentire lungo tutta questa loro seconda fatica, apprezzabile esempio di mal de vivre messo in musica che, nondimeno, nasconde più di una traccia di speranza, fino alla vivacità estemporanea (e del tutto fuori luogo!) di “The Farm”. Il buon Waits fa capolino, invece, in “Yama”, brano che, messi da parte gli umori crepuscolari e sonnambuli della prima sezione, si avventura, con buona devozione, in pieno territorio “Frank’s Wild Years”. Una sottile lamina di disperazione taglia in due la sommessa, quasi “religiosa” dissertazione di “I’m Waiting (Tango Nero)”, cui la fisarmonica dona quel tocco di polverosa malinconia che il cuore gradisce di gusto. Un pianoforte molto Paolo Conte porta, invece, su vivaci territori jazz la dimessa elegia di “Woodstock Cypress”, mentre clarinetto e violoncello donano quel tocco di magica atemporalità alla tenera ballata di “Child Eyes”. Un ascolto piacevole, consigliato soprattutto in queste giornate di pioggia che sembrano non finire mai.

(LostHighways)
Che ai ragazzi del Collettivo Ginsberg piacciano Nick Cave, Tom Waits e le atmosfere un po’ ruvide non è un mistero. Lo si sente bene, ascoltandoli. Il loro ultimo lavoro, Pregnancy, arriva a breve distanza dal precedente, I refuse to give up my obsession. Nonostante questo, si discosta nettamente dal fratello maggiore, sin dalle prime note. Si erano presentati con un disco più grezzo, più ibrido. Ora, che come gruppo hanno trovato il loro equilibrio, regalano un lavoro più ragionato. Questo album si lascia ascoltare davvero con grande facilità, seducendo da subito. Maudì, pianoforte e una chitarra che si strugge, rapisce l’ascoltatore. The Farm, strafottente, passa il testimone a Woodstock Cypress, semplice ed elegante nel suo lieve crescendo, in cui spiccano due delicatissime voci femminili, perfettamente sposate a quella di Cristian Fanti. C’è qualcosa di incredibilmente personale, intimo in quest’opera. Ogni canzone ha una sua impronta personale, una caratteristica particolare. Splendida Child Eyes, una danza su violoncello e clarinetto ed una voce che chiede “would you love me? You can fill my void“. Una voce assolutamente suadente, che coccola dalle prime parole, che attira e si muove sinuosa sulle note, irresistibile dal primo all’ultimo brano. Pur mantenendosi coerenti una all’altra, le canzoni sono eclettiche e dissimili: si scivola tra momenti più dolci e curve più psichedeliche (Yama), cantato e parlato, cori e momenti in cui un’unica voce sussurra. Pregnancy è un disco che ha sopra la polvere delle storie di John Fante, un album che sembra provenire da lontano. Nel tempo e nello spazio, sembra il frutto di un viaggio, un percorso, una gestazione appunto. C’è la voglia di improvvisare, di scoprire, di inseguire. Inseguire un’oasi, una chimera, qualcosa che se poi svanisce quando l’hai quasi afferrata… pazienza, perchè in fondo il viaggio è stato magnifico.

(L'isola che non c'era)
Il Collettivo Ginsberg ha raggiunto il giusto assetto dopo diversi anni passati a provare musicisti e a cercare uno stile personale, trovando l’esatta ispirazione nelle fertili praterie discografiche dei vari Dylan, Waits e soprattutto Nick Cave. La gravidanza della band – quartetto di belle speranze mosso dalla sana ammirazione del poeta Allen – ha dato alla luce Pregnancy, un album di canzoni che sanno di blues nostalgico, highway statunitensi e tramonti sofferti. È la voce calda e abrasiva di Cristian Fanti a caratterizzare in maniera decisiva il suono del Collettivo. Un modo d’esprimersi – rigorosamente in inglese – che trova in brani come l’ottima Maudì e nelle trame lisergiche di Yama un mood piacevolissimo, arrotondato e reso meno spigoloso dal pianoforte e da una chitarra elettrica distorta il giusto, senza cadere nell’ovvio. Gli interventi degli archi, della fisarmonica e dei cori rendono ancora più ricco il bagaglio stilistico del gruppo, il quale riesce a sfuggire a quell’aria di eterno revival che solitamente rende questi progetti aridi e scontati. “Pregnancy”, per essere pignoli, ci fa alzare la paletta dell’insufficienza solo per quel che concerne la scaletta, che ci è sembrata un po’ altalenante e alla quale avrebbe fatto bene un sfoltita, lì dove è venuto a mancare il cortocircuito emozionale, si veda la poco incisiva Woodstock Cypress e la strumentale The Wish. A parte ciò il loro nome non tragga in inganno: in “Pregnancy” non c’è niente di scandaloso e irriverente, ma solo della buona musica che ha bisogno di un altro po’ di gestazione per farsi ancora più scaltra e robusta.

(Sentireascoltare)
Fin dalla traccia introduttiva – breve raggrinzito estratto da un vinile di Amalia Rodriguez – si respira l’aria dei malanni desueti, crucci old style, roba matura nei barrique dei turbamenti Cave e Waits, due nomi che prima o poi andavano spesi e quindi ben vengano Maudì e The Farm, così non ci pensiamo più. Il collettivo Ginsberg è un quartetto allargato anzi aperto agli apporti di un bel manipolo di amici, che portano in dote archi e legni, tastiere e chitarre, fisarmoniche e cori. Con Pregnancy, il loro secondo album, mettono a fuoco un cantautorato ombroso e turgido, letterario (come si evince dalla ragione sociale) in senso beat, ciò che li fa flirtare con l’ebbrezza freak avariata dei tardi sixties (vedi il passo doorsiano di Woodstock Cypress e Yama), consegnandoli altresì alle morbide palpitazioni di un Tim Buckley via Mark Lanegan (soprattutto Child Eyes, e con disarmata delicatezza in To The Womb). Trovo poi affascinante quando in questo immaginario americano si fanno larghi chiari influssi mediterranei, mi riferisco a quella I’m Waiting che snocciola un testo di Ferlinghetti su ciondolante blues jazzato, mentre la fisarmonica e i cori squadernano sfavillii filmici in odor di nouvelle vague. Ben suonato, ben interpretato (anche se la voce di Cristian Fanti si rivela un po’ monocorde alla distanza), è un disco che cuoce a fuoco lento un’immaginario forse non eclatante ma solido.

(Il Mucchio Selvaggio)
Canzone d'autore, ma decisamente lontana dai canoni a cui i menestrelli del Belpaese ci hanno abituato. Piuttosto, in linea con certe derive di scuola americana, filtrata dai Sixties dei Doors più evocativi (“I'm Waiting - Tango nero”), plagiata dall'eleganza crepuscolare dei Tindersticks (“Maudì”), “crossoverizzata” dalle slide guitar degli Allman Brothers (“The Farm”), vicina a certo blues bianco (“The Wish”), vagamente psichedelica e solcata da istanze waitsiane (“Yama”). Al di là delle interconnessioni stilistiche che il secondo episodio del Collettivo Ginsberg potrebbe suggerire – da sempre soggettive e spesso estemporanee –, resta un fatto: con “Pregnancy” ci si trova di fronte a un disco abile nel rielaborare un retroterra musical-letterario radicato in un immaginario ben preciso: quello che nasce dalla beat generation, dal carattere forte del suo messaggio poetico, e che a suon di chitarre elettriche, Rhodes, batteria, basso, più una serie di contributi strumentali di collaboratori esterni – vi rimandiamo al MySpace del gruppo per una panoramica più esauriente –, si fa strada verso la modernità. Su una Route 66 fuori tempo massimo o magari un sentiero in mezzo al deserto della California. Che nei sogni del gruppo, neanche a dirlo, collega Forlì a Cesena, vista la provenienza geografica di Cristian Fanti, Andrea Rocchi, Giovanni Pistocchi e Christian Mastroianni.

Sounds Like:

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Sto aspettando che il mio caso sia esaminato.
Sto aspettando una rinascita della meraviglia.
Sto aspettando la scoperta di una nuova simbolica frontiera occidentale,
la guerra da combattere che renderà sicuro il mondo.
L'anarchia.
E sto aspettando il definitivo inaridimento di tutti i governi,
e sto aspettando perpetuamente una rinascita della meraviglia.

Sto aspettando che il mio numero sia estratto.
Che papà ritorni a casa le tasche piene di splendenti dollari d'argento,
e sto aspettando che finiscano i test atomici.
Sto felicemente aspettando che le cose vadano molto peggio prima di andar meglio;
e sto aspettando che l'esercito della salvezza vada al potere.
In una nuova rinascita della meraviglia
Sto aspettando di vedere Dio in televisione trasmesso dagli altari delle chiese,
se solo riescono a trovare il canale giusto su cui sintonizzarsi.
E sto aspettando che l'Ultima Cena sia di nuovo servita
con uno strano e nuovo aperitivo.
Sto aspettando il giorno
Che illumini chiaramente tutte le cose
E sto aspettando perpetuamente
una rinascita della meraviglia.

Sto aspettando che le masse vaghino da qualche parte su un dirupo
aggrappandosi al loro ombrello atomico;
e sto aspettando che sia concepito un modo per distruggere tutti i nazionalismi
senza che sia ammazzato nessuno.
Sto aspettando che fringuelli e pianeti cadano come pioggia,
e sto aspettando che chi ama e chi piange dorma ancora insieme
in una nuova rinascita della meraviglia.

Sto aspettando che il ragazzo americano
strappi i vestiti alla bellezza e le monti in groppa.
Sto aspettando di ottenere alcuni indizi di immortalità,
ricordando la prima infanzia.
E sto aspettando che ritornino ancora i muti e verdi campi della giovinezza;
che qualche spontanea tensione artistica scuota la mia macchina da scrivere.

Sto aspettando l'ultima
lunga
estasi spensierata
e sto aspettando perpetuamente e per sempre
una rinascita della meraviglia.

I'm Waiting (tango nero) tratto da I'm Waiting di Lawrence Ferlinghetti (Blind Poet/Poeta Cieco; City Lights, 2003)

Record Label: autoproduzione - Il Vaso di Pandora Records
Type of Label: Unsigned

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Lyrics: PREGNANCY

PREGNANCY - Gravidanza1) intro (tratto da dà-me braço anda dai di Amalia Rodriguez)2) MaudìNow that the moons eclipsed the sunHer fading voice like a scarlet holeAnd if you warmly slow down just di...
Posted by on Wed, 24 Dec 2008 08:23:00 GMT

Lyrics: I REFUSE TO GIVE UP MY OBSESSION

I REFUSE TO GIVE UP MY OBSESSION  Rifiuto di rinunciare alla mia ossessione1) Bechu-Dutta(traditional Bangali Song)2) Cock-PitCock-pit I'm real, take a snapshot of meReality is what has been cancel...
Posted by on Fri, 19 Sep 2008 05:16:00 GMT