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Matteo Salvatore

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Giovanna Marini traccia un ricordo dell´amico cantautore morto a ottant´anni ad Apricena. di Giovanna Marini - 28/08/2005 - da Repubblica pp. I e IX dell’inserto pugliese e lucano. «La nott´è bella soli soli a stu pajese...» canta Matteo Salvatore. E ne canta tanti, tanti di distici bellissimi, sembra un antico poeta greco, quando uno ascolta la sua voce fievole, acuta, tutta in falsetto, declamare e salmodiare i suoi testi, chiude gli occhi, immagina gli olivi, e si ritrova in un tempo passato. Passato da tanto tempo. Ma Matteo è vissuto oggi, tanti anni, e li ha passati a cantare. Fino alla notte scorsa, quando se n´è andato in punta di piedi da Apricena, la città dov´era nato ottant´anni fa.
Una volta molto tempo fa, saranno stati i primi anni ´80, era stato chiamato a partecipare al Cantagiro in televisione, ci andò felice, perché appena poteva cantare Matteo Salvatore era felice, e cantò di paese in paese, ma non sempre il pubblico capiva di essere di fronte ad un grande poeta - cantore, un aedo che andava ascoltato con silenzio, rispetto. Allora lui si stancò e uscì dal giro per aspettare in silenzio che qualcuno di diverso, di più «sincero» diceva Matteo, lo stesse ad ascoltare. Arrivò una giovane francese giornalista di Antenne Deux che restò colpita da Matteo Salvatore, dal suo cantare la propria vita, e ne fece un ritratto che io vidi una sera in Francia, un magnifico film che guardavo piangendo e pensando «Ma perché da noi uno veramente grande come Matteo Salvatore non può essere capito?»
Forse non era facile capire la grandezza di Matteo. Nato ad Apricena, di famiglia poverissima, ma figlio di un cantastorie che girava tutti i paesi cantando. E il "ma" significa: povero, sì, di mezzi di sussistenza, ma non di quella cultura che viene dal conoscere profondamente un´arte. Una grande arte come quella del cantare le storie. Matteo crebbe poeta. Poeta e cantore. Lo conobbi nel 1965. Venne a Roma, fu avvicinato da Bosio e Straniero, che allora insieme a Leydi costituivano il nucleo dirigente delle Edizioni Avanti, Dischi del Sole, che poi si chiamarono Edizioni musicali Bella Ciao.
Matteo si installò a Roma perché cercava di cantare in Rai aiutato dal maestro Potenza, conosciutissimo musicista dell´ambiente romano, il quale aveva colto il valore di Matteo Salvatore e voleva proporlo in Rai. Così Matteo incominciò a frequentare il Folk Studio di Roma, ritrovo che animò le serate di molti romani per unaquarantina d´anni, tenuto dal mitico cultoredella tradizione orale e del jazz Giancarlo Cesaroni. Matteo cantava e ci faceva conoscere non solo il suo paese, ma la storia, cantava la prima e la seconda guerra mondiale, cantava e raccontava gli usi del suo paese,e la cosa straordinaria era che mai usava forme retoriche, mai un termine demagogico, sempre i suoi versi erano di grande qualità. Liriche brevi, descrizioni di ambienti. «Lu furastere dorme stanotte sull´aia, dorme sull´aia. Pé coperta, na raganella, pé cuscine, na sacchettola...» oppure «Quann´è fernute de laurà, je m´assette ‘nnanze alla porta, passa lu Kinghe di lu patrune lu polverone me fa murì...» e ancora «Mo vè la bella mia da la muntagna, porta le mele a spalle a ju pajese...». Immagini, ricordi, racconti dell´Italia contadina. Senza una morale finale, senza commenti, nessun noioso fine didascalico,ma sempre una grande poesia.
E la musica: poche note, essenziali, pochi accordi, elegantissimi. A quanti è venuto in mente di riutilizzare quei brani di Matteo Salvatore, di farne canzoni di successo? Per fortuna non ho sentito mai questi stravolgimenti. Sepe ha usato, sì, il bellissimo Patrune mie ti voglio arrecchire, ma l´ha lasciato intatto, da ottimo musicista qual è. Perché Matteo Salvatore non era molto conosciuto, e ci teneva alle proprie composizioni e a quelle di suo padre, che unite alle sue, Matteo cantava. E avrebbe amato poter continuare a cantare per le strade, nelle piazze. Spesso, quando eravamo tutti e due a Roma mi chiedeva: «Trovami una bella piazza, io mi metto lì e canto, non dò fastidio a nessuno, canto e basta».
Era difficile spiegargli che ci volevano permessi, firme, licenze, preferiva non capire. Il complesso delle poesie cantate di Matteo dovrebbe diventare materia di studio per i bambini delle scuole, dovrebbe essere insegnato ai nostri piccoli, che prima di essere rovinati dalla cultura massificata e bassa che ci propone certo mercato, certa televisione, sono ancora in grado di capire la bellezza e la poesia e amarle. Matteo aveva solo bisogno di essere capito ed amato. Ma questo non riesce facile ai grandi poeti. Nemmeno quando nascono e vivono in ambienti in cui l´arte della poesia viene apprezzata.
Matteo era nato in campagna ed era molto povero e il passaggio in città l´aveva sconvolto, chi lo ha conosciuto e amato sa di avere avuto vicino un grande poeta e non lo dimenticherà. Ora che Matteo è morto è scomparso l´ultimo grande poeta popolare. Se ce ne sono altri, nascosti come lui, cerchiamo di farli conoscere per non perdere la poesia, che è un´arte straordinaria e gratuita chequeste persone ci sanno regalare. Ci sono per fortuna alcuni dischi di Matteo, bisognerà richiederli con insistenza nei negozi di dischi: così a mente posso dire Il lamento del mendicante dei Dischi del sole, edizioni Bella Ciao-Ala bianca, e altri prodotti dalla Albatros. Andateli a cercare.

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