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Einstürzende Neubauten - Seele Brennt (upload on youtube by WhiteRose)
INCONTRO CON BLIXA BARGELD
(di Manuel Lieta) - settembre 2007
Herr Blixa Bargeld è un uomo elegantissimo, in total look nero con rivolti verde-tavolodagioco su giacca e panciotto. Mi presento a lui, oltre che con la discreta emozione dell'avere a che fare con una figura che, in ogni suo aspetto creativo, è da me oltremodo stimata (tanto da rubargli il nom de plume con il quale firmo le mie righe da queste parti!) con una bottiglia di Passito di Pantelleria, e il dono è più che mai ben accolto (con un ampio sorriso Blixa mi spiega che ha una venerazione particolare per Pantelleria e soprattutto per una essenza che su quell’isola viene prodotta, l’ Essenza di Maestrale, che gli è stata di grande sollievo l’anno scorso, in occasione di alcuni suoi malanni di salute). Il viso e le mani tradiscono una vita vissuta a pieno, nella temperie della Berlino più sperimentale e avanguardista degli anni ’80. Ma gli occhi, sebbene provati e stanchi (da una giornata di interviste, certo, ma anche da quella vita vissuta a pieno di cui sopra), non si lasciano sfuggire, di tanto in tanto, quel ghigno vispo e furbetto che il fascinosissimo Blixa ipersmunto e allo speed degli anni giovanili aveva come marchio di fabbrica, pur se ora i capelli non sfoggiano più quell'irrequieta zazzera d'antan ma una più composta scriminatura centrale. Conversare con lui, poi, che si esprime in quattro lingue contemporaneamente, con un eloquio gentile e disponibile allo scherzo, significa conversare con quasi trent’anni di storia della musica contemporanea. Con un artista che con gli Einstürzende Neubauten ha di continuo spinto avanti i limiti della musica, solo per poi nuovamente valicarli, prima attraverso l’uso di strumenti che musicali non sono, come martelli pneumatici e compressori, quindi con la proposizione di una musica che, facendo propria la lezione tanto dei vagiti industrial di band storiche come Throbbing Gristle e Faust, quanto di espressioni colte quali quelle di Stockhausen e Nono, permeate di suggestioni derivanti da teorie teatrali, è stata perfetta rappresentazione dell’incubo spersonalizzante e straziato della decadente civiltà occidentale. Gli ultimi lavori della band, poi, hanno segnato una ulteriore rivoluzione nell’anima dei Neubauten, sfumando, a partire dal decisivo Silence Is Sexy (2001), dal rumore espressionista dei primi dischi alle esplorazioni del silenzio, prima, e della melodia, poi, delle ultime composizioni.
Il 19 ottobre uscirà Alles Wieder Offen, nuovo capitolo discografico della band, che fin dal titolo (“Tutto Nuovamente Apertoâ€), sembra ribadire il concetto: nessuna frontiera, nessuno schema mentalmente insuperabile, nessun limite a ciò che la musica possa esprimere. Quale migliore occasione, dunque, per chiedere a Blixa Bargeld di raccontarci la loro nuova fatica?
LE CHIACCHIERE
M.L.)
Analizzando musica e testi di Alles Wieder Offen, mi è parso di recepire il disco come un viaggio, un percorso di te come uomo e artista, che, passando dal tentativo di definire, o ri-definire, nomi, cose, luoghi (tema che tratti in “Die Wellenâ€, il primo brano), giunge alla soluzione di svuotare tutto se stesso, tutte le sovrastrutture di cultura, conoscenza, esperienza, fatte nella vita, per arrivare a essere un guscio vuoto, e perciò riempibile di nuovo di tutto, nuovamente aperto a influenze, curiosità , conoscenze. Un’acquisizione molto positiva, direi! Sei d’accordo oppure ho preso una cantonata?
B.B.)
Non ho assolutamente nulla da obiettare al tuo modo di vedere il disco in questa prospettiva, anzi sei la prima persona che mi intervista che vede Alles Wieder Offen come un viaggio, una sequenza, e questo mi fa molto piacere. Vedi, sappiamo tutti che il concetto di disco sta estinguendosi, così come quello di sequenza, tra l’altro!, per moltissime ragioni che tutti conosciamo, e non ho niente da ridire a proposito. E’ semplicemente lo status quo di questa epoca, e per chi, come me, ha quasi cinquant’anni, si tratta di uno status quo difficile da valutare: la mia generazione ha sempre visto nel disco qualcosa che aveva un significato forte di socializzazione musicale, pensa solo al progressive, e poi a tutti i dischi che avevano un percorso sequenziale, dalla prima all’ultima canzone, con un senso preciso nella scelta della sequenza dei brani. Per questo ci intrigava l’idea di fare un disco nel senso classico del termine, senza nessun intento provocatorio o snob, ma con una sua precisa intenzione, che richiedesse una voglia, da parte di chi ci si avvicina, di ascoltare e di entrare nel suo mondo. Che tu abbia colto le fasi di questo viaggio, o che questo viaggio ti abbia suggerito una chiave interpretativa, non può che farmi piacere.
Il titolo poi ha anche a che fare con la particolare situazione in cui siamo noi come band: è il primo lavoro in cui siamo totalmente autonomi, e siamo noi stessi la nostra etichetta discografica (gli Einstürzende Neubauten realizzano dischi attraverso un sistema di finanziamento annuale degli stessi fan della band, tramite una iscrizione a pagamento che fa diventare il pubblico un vero e proprio supporter del progetto. Maggiori informazioni a riguardo si trovano sul sito ufficiale della band: http://www.neubauten.org, n.d.r.): siamo ben consci quindi che tutto è assolutamente aperto e possibile, compreso il nostro stesso rien ne va plus, se questa idea, che stiamo portando avanti anche nell’organizzazione del tour, dovesse fallire. E’ un po’ come quando la tua ragazza ti lascia, e tu ti ritrovi ad avere qualsiasi scenario davanti a te totalmente percorribile. Questo è lo stato d’animo che anima tutto il disco. Che, come avrai notato, inizia con un finale (Die Wellen è il gran finale di una piece teatrale, è un quadro di Caspar David Friedrich. Un climax di immagini che arriva al culmine con le ultime parole di Gesù Cristo, “Perché mi hai abbandonato?â€) e termina, in Ich Warte, con la più utopica delle idee: quella di una musica ancora inascoltata, cui non si possa aggiungere più nulla, e che metta la parola fine a ogni altra possibile sonorità . La conclusione più logica dopo quello che canto in Ich Warte sarebbe stata la possibilità che il disco terminasse con un suono tipo countdown e che poi si disintegrasse nel lettore. Anche se mi rendo conto che si tratterebbe di un’idea piuttosto bizzarra.
M.L.)
In Nagorny Karabach, una delle canzoni nuove, e, forse, più sorprendenti, del nuovo disco, affronti il tema dell’Enclave.
B.B.)
Dici sorprendente perché è in un certo senso la canzone più classica che abbiamo mai registrato? E’ vero: è in effetti tutto molto semplice e diretto: l’Io narrante sono evidentemente io, a confronto con me stesso, senza espedienti narrativi, il testo è esplicito e non nascosto dietro chissà quali metafore. Vedi, io non sono mai stato in Nagorny Karabach, così come non sono mai stato in Armenia (Armenia è il titolo di una delle prime, e più importanti, canzoni degli Einstürzende, n.d.r.): si tratta evidentemente di luoghi della mia mente. Un po’ come in quel bellissimo libro di Riszard Kapusczinski, Imperium, lo conosci? Lì lo scrittore, che era un apolide, si finge il pilota di un aereo russo per poter arrivare in Nagorny Karabach, e quando ci arriva scopre che è un luogo paradisiaco, perché la bellezza oggettiva del luogo è come mischiata alla proiezione mentale che lui stesso si era creato nella sua mente. Così è stato anche per me, nel momento di scegliere quella terra come simbolo della mia enclave/ex-clave. Però, ora che ci penso, sarebbe bello girare un video di Nagorny Karabach con me vestito da pilota della Aeroflot munito di falso passaporto russo, e che me ne sto solo nella sala d’attesa di un aeroporto a fantasticare, che ne dici?
M.L.)
Un po’ come Salgari, che nel XIX secolo scrisse di pirati della Malesia senza mai abbandonare la sua cascina in Italia, o volendo come Emily Dickinson...
B.B.)
Esatto! È un concetto molto ottocentesco, in effetti, questo. In Germania abbiamo avuto questo scrittore, proprio in quel periodo, Karl May, che scrisse centinaia di libri per ragazzi, dei veri e propri best seller, con storie ambientate nel Far West, senza mai lasciare la sua abitazione in Sassonia: eppure ebbe un tale successo, per moltissimi anni: pensa, per farti un’idea, che persino Adolf Hitler divorava i suoi libri!
M.L.)
Tu arrivi da Berlino… Chi meglio di te può dire la sua, sul concetto di enclave!
B.B.)
Tu credi che Berlino sia ancora una enclave? Io non ci vivo da otto anni, e tuttavia sono convinto che in Germania sia ancora l’unico posto dove potrei vivere. Ho vissuto qualche anno a San Francisco, che è sicuramente un’altra enclave, anzi una ex-clave di libero pensiero nel bel mezzo della stupidità regnante negli Usa (facci caso: i Repubblicani ormai nemmeno più fanno campagna elettorale, a San Francisco, si sono arresi!), insieme a New York, e ora vivo a Pechino, dove non sono integrato, e ho lì la mia enclave mentale. Come tutti, del resto, in ogni angolo del pianeta. Da Pechino però ho potuto guardare dall’esterno, al mondo occidentale, e percepire il suo dissolvimento, e in particolare il dissolvimento di Berlino Ovest. Ciò si è certo riverberato nella scrittura del testo di Nagorny Karabach, che risulta particolarmente diretto e piano. E’ lo stesso motivo per il quale ho usato l’espressione arcaica “Ob die andre Stadt mich lieb hat …?†(“mi domando se l’altra città si preoccupa di meâ€, n.d.r.) nel testo, che non mi appartiene, come lessico (la mia assistente, leggendolo, mi ha detto: "Questo non sei tu!"), ma con la quale non faccio altro che citare la più grande cantante che la Germania abbia mai avuto, Marlene Dietrich, guarda caso un’altra che gettava uno sguardo sulla Germania dall’esterno, da una sua enclave, e che in una sua canzone la usava per esprimere la sua solitudine in una grande città . Però ti voglio dire anche questa cosa: il concetto di frontiera, o di confine, in sé non è per forza un concetto negativo. Può essere un pensiero positivo, naturalmente se frutto di un buon modo di vivere e ragionare. In fondo, credo sia naturale che si voglia mantenere il territorio della propria mente libero, una riserva per le proprie preziosità . Non si tratta tanto di una enclave, questa, quanto piuttosto di quella che io chiamo una ex-clave. Ti faccio io un invito, ora: tieni sempre sveglio il pensiero, il riflettere, non disperderlo in azioni inutili, che distolgano dalla tua lucidità : è quella la chiave! L'unica volta che in vita mia ho avuto un lavoro "regolare", in cui mi alzavo alle sei del mattino, tornavo a casa e mi sparavo tutte le più stupide soap opera che la tivù passava, essendo assolutamente soddisfatto di quello che mi veniva propinato! Capisci ciò che voglio dire?
M.L.)
Direi proprio di sì! Torniamo al disco, ora: una cosa che mi ha colpito è stata il tuo riferirti, in Die Wellen e in Susej, all’immagine di Gesù Cristo.
B.B.)
Beh, io non sono sicuramente una persona religiosa, però è evidentemente impossibile, anche solo a livello figurativo e iconico, negare che l’immaginario religioso sia un riferimento culturale da cui noi europei e occidentali siamo formati. In passato ho usato molte immagini derivate dall’Antico Testamento, dal Libro di Salomone, non ho alcuna difficoltà ad ammetterlo. In Die Wellen, la frase pronunciata da Cristo in croce era forse l’elemento più potente che potessi usare come limite massimo di quel climax ascendente di cui ti parlavo prima. Per inciso, Die Wellen è uno dei tre testi (insieme a Halber Mensch e Interimsliebenden) che ho scritto per i Neubauten PRIMA di avere la musica pronta. In Susej (Jesus, n.d.r.) invece Gesù Cristo è presente per tutt’altro motivo, ovvero per l’argomento di quella canzone, che è il lavorare in reverse, all’incontrario. Procedimento che si usa per liberarsi di tutta una serie di riferimenti etici, di valori: nella tradizione della pratica magica, il pronunciare le parole all’incontrario serve per far svanire gli incantesimi, o per far cessare alcuni influssi. Questo era esattamente lo scopo: far svanire incantesimi, influenze, conoscenze, sovrastrutture, per essere di nuovo aperti. Pensa poi che l’idea Susej-Jesus l’ho presa da una fonte quanto mai lontana da sospetti di religiosità , quale è Paul Celan, una sua opera in particolare che si chiama Microlut. Per quanto riguarda il resto della canzone, poi, si basa su due metà : in una c’è il vecchio Blixa a confronto con il Blixa attuale (qualsiasi significato tu voglia dare alla cosa), nell’altra appunto il procedimento di percorrere a ritroso. Camminare all’indietro fino a che le cose non funzionino di nuovo. E a quel punto, come canto, intonare l’Hallelujah e danzare. Comunque, le canzoni sono come una serie di porte, ed è bene non spiegare più di tanto ciò che dicono, in modo da lasciare quante più porte aperte possibili.
M.L.)
Una sensazione che noto, nei vostri ultimi lavori, è quella di avere a che fare con artisti molto self-conscious, a loro agio con ciò che la loro arte ha creato. Un agio non da punto d’arrivo raggiunto, sia chiaro, ma da sicurezza nel maneggiare la propria creatività .
B.B.)
Sai, io sono un uomo di 48 anni, per cui è abbastanza normale, credo, che venga sempre più a confronto con ciò che ho fatto in 28 anni di musica. Anche solo quando conosco persone nuove e dico “Sono Blixa Bargeldâ€, e loro si lanciano in gridolini di emozione tipo “Oh mio Dio, tu hai scritto Halber Mensch!â€. Di sicuro però questo disco, e la nostra ultima produzione in genere, non ha nulla a che vedere con il ritrarre il nostro panorama in retrospettiva. La cosa che è accaduta è che in queste canzoni mi sono citato spesso, e ho fatto riferimenti a testi e musiche scritte in passato. Del resto è una cosa che ogni scrittore fa, nella sua opera, e ci sono tantissime interconnessioni tra le mie musiche, per cui, semplicemente ho pensato: perché no? Un giorno dovrei mettermi a fare una specie di mappa delle mie canzoni, sai come quelle che vedi in metropolitana, con le fermate, le connessioni tra le varie linee e così via...
M.L.)
Chiudo con un ultima domanda. Ne L’Aleph, Borges parla di un punto, l’aleph, in cui si concentrano tutte le conoscenze e i luoghi del mondo. In Let’s Do It A Dada, uno dei brani più funambolici del disco, tu invece parli di “ur-textâ€, il testo primigenio. Si può dire che i Neubauten siano dei testi primigeni di un certo tipo di musica, e che con l’utopia finale che descrivi in Ich Warte, cerchino un loro aleph?
B.B.)
Adoro Borges, e anche se non conosco il racconto di cui parli, riesco a immaginarmi il valore di utopia cabalistica che lui immagina con il suo Aleph. Beh, non voglio reclamare nessuna autorevolezza così grande, per i Neubauten: per me l’industrial, ad esempio, restano i Throbbing Gristle, noi tutt’al più possiamo essere dei testi primigeni di noi stessi! Il prefisso “ur-“ in tedesco è sempre stata una parola alquanto strana e misteriosa: pensa alla parola “urlaubâ€, che significa “vacanzaâ€, e che è formata appunto da “ur-“ (il più antico, il primoâ€) e “laubâ€, che significa “fogliaâ€. Che diavolo significa? In realtà quella canzone vuole essere proprio una specie di spiritoso scherzo, in cui chiamo vari nomi e vari personaggi con una certa confidenza – ma non Marinetti, che chiamo “signor Marinettiâ€, non voglio essergli troppo amico! – e tra le varie cose che dico c’è appunto l’ur-text, il testo primigenio. Questo ha anche a che fare con una ossessione che ho da qualche anno: nei periodi di dormiveglia mi ritrovo a immaginare nuovi alfabeti, a ragionare di nuovi simboli e nuovi lemmi con cui ideare alfabeti. E’ una cosa che è nata da dei libri che mi sono stati regalati e che mi ha preso totalmente. Evidentemente mi porterà da qualche parte, questa cosa...
M.L.)
Che è una cosa molto alla Borges, tra l’altro! Conosci per caso gli ambigrammi (una forma grafica nella quale si riconoscono delle lettere e/o dei numeri e che può essere letto in almeno due diverse maniere attraverso rotazioni, o inversioni a specchio della forma grafica stessa, n.d.r.)?
B.B.)
Esatto, tutto questo è molto alla Borges! Chissà quali sorprese mi riserverà ! Sì, so cosa sono gli ambigrammi, anche se la mia ossessione va più sulla concezione effettiva di nuovi alfabeti, piuttosto che sulla forma con la quale rappresentarli. Sono comunque una tematica molto affascinante!
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Commiato e ringraziamenti finali
L'immagine di un Blixa semiassopito che fantastica di nuove sfide semiologiche su ipotetici alfabeti ancora a venire è l'ultima suggestione che il signor Bargeld dona alla mia collezione. Prima di una foto ricordo, di consegne di memorabilia e di un abbraccio con una affettuosa pacca sulle spalle. Poi arriva il taxi, ché a breve partirà il treno che porterà a Vienna Blixa e le sue parole immaginifiche.
Sentiti ringraziamenti vanno alla disponibilità di Andrea Sbaragli e della efficiente Blixa-assistente, fraulein Andrea.
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B.B.)- Blixa Bargeld
M.L.)-Manuel Lieta
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! ! ! NUOVO ALBUM ! ! !
A tre anni da Perpetuum mobile, arriva Alles Wieder Offen il nuovo disco della band berlinese su etichetta Potomak (etichetta personale degli Einstürzende Neubauten).
Un tour europeo è programmato per la primavera del 2008.Si possono trovare sul sito internet
http://www.alles-wieder-offen.com.
tracklist
1. Die Wellen
2. Nagorny Karabach
3. Weil Weil Weil
4. Ich hatte ein Wort
5. Von Wegen (Of Ways)
6. Let's Do It a Dada
7. Alles Wieder Offen
8. Unvollstädigkeit
9. Susej
10. Ich Warte
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band and instruments