Quello era il solito posto, ma era diverso. Era la solita gente, ma sembrava molta di più. Erano le solite facce, ma erano incredibilmente lunghe e curve. Era il solito pavimento in sassi ma era animato da vita, prima largo e poi stretto. Rigoli lucenti scivolano tra i solchi formati dalle pietre, ci sono e non ci sono. La sua immensa scarpa ad un certo punto rompe l’armonia di quel momento. Allora alzo lo sguardo e mi ritrovo immersa in un quadro, un quadro o forse una foto grandissima che occupa tutto il mio campo visivo. Il muro più vicino sembra lontano chilometri, io però non ci credo che possa essere così distante e subito mi alzo per andarlo a toccare. TAC! Toccato. Era veramente lontano, ma ora devo tornare indietro. Un passo seguito da un altro, la sessa cadenza, lo stesso ritmo, il ritmo delle bacchette della batteria battute sul cespuglio per creare una melodia che solo noi possiamo sentire. E davanti a me un'altra foto ancora, diversa dalla precedente. C’è troppa gente, mi salutano, mi baciano, mi parlano ma io mi sento un automa, lo sguardo fisso su qualcosa che non esiste, le gambe aperte per mantenere l’equilibrio, apro la bocca per rispondere ma inizio solamente a ridere. Non parlo, rido. I palazzi sono spigolosi e sfaccettati, i portici sono rotondi come i miei movimenti. Spigoli o curve? Non mi capisco e continuo a ridere. Prendo paura per un cellulare che suona e questo mi fa ancora più ridere. Un ovetto kinder sciolto e una sorpresa assurda distolgono la percezione del reale… È stato un viaggio allucinante in un mondo impossibile. Perché io quel giorno ho visto cose che voi non potete neanche immaginare.
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