About Me
C’era una volta, banalità nel cominciar così una pronta novella/
Ma c’era davvero, forse non solo una volta, un giovin signore/
Che se ne partì d’in solo con un fucile in spalla e nella tasca una ‘voltella./
Andava sempre a cercar belve originali, correva nelle frasche, correva per ore./
Non memoriamo il suo nome, né qualsivoglia cognome, ma fu Johan quegli/
Nome usitato, un poco svalutato. No, è ormai screditato. Ha già stufato./
Mettiamo si chiami allora Giansante. Degli Uccellieri. Ascoltate, per dio! State svegli./
Rimanemmo che armato d’inganno si faceva entro la foresta, l’interessato/
Ed era già circondato di sibili e pestii, crasciare e guglire. Ma non si fece retro/
Si fece eroe nel cuore, si stese di petto sul manto di foglie, ed ebbe ad ascoltare/
Da mesi odiva quello strano scalpicciare, che tanto lo incuriosiva di dentro, ed un metro/
Che avanzava, gli pareva di sentirlo di volta. O di estro. Ed entrambi. Sparare?/
No, la calma lo trattenne dal fare il verso al Trombatorrione. Si fece fine./
E nel silenzio avvertiva un brivido fin entro le occhia. Che tutto ne vibrava il melenso./
Che forse si trovasse in sul calar del proprio esser tale? Rispettare le sue mire?/
Sì ne, sì ne, si ripeteva il sordo marrano. Oggi la scovo e la prendo, io penso./
Ma mal pensava. Minus facile quam sit. Dotto motto di omo molto colto. Ite./
Ite ad umquam. Umquam facile vitam est. Cosa dite? Mi sto perdendo nel niente./
Avete ordunque ragione, ma ‘esta storia non per voi venne riportata e scritta./
Né alcuno di nossignori richiede di esser seguito. Ma è pur giusto tornare al silente./
Egli rimaneva quieto e secreto, nel buio di bassi arbusti. L’erta in mente ritta./
Ed attese. Lunghi secondi, e minuti, e ore, e giorni, e mesi ed anni! Testardo il bastardo./
E quell’â€oggi la scovo†si perse nel tempo, ma rimase integerrimo nel cranio duro./
Perché, d’un tratto, si mosser le foglie di una quercia morente da sempre, bieco lo sguardo/
E fra li rami alti un’ombra crebbe quasi la gonfiasser da dentro. E si fece avanti nel buio./
Un lampo di fiamma, un battito d’ali, una serpe sibilante, un belato caprino. Un ruggito./
Per ogni animale raro ed originale! Esclamò d’intellego il cacciator senza parole. Chimera!/
E la fiera si stese di botto alla radice dell’albero ancestrale proprio di fronte a Giansante stordito/
A quella visione epocale, quella bestia papale, quell’orrore bestiale, dinanzi la bianca criniera./
E la paura fu solo di qualche istante ancora, perché fu vinto nell’insubito dalla ‘mozione/
Non morte e ferita, non rimorso od attesa, gli pagherebbero un’occasione così favorita/
E dunque mantenne il fucile basso, ancora un poco, puntandolo in punta del viso del Leone./
E fece fuoco. Proprio lì, nel luogo cui la ruga della fronte racchiude le occhia inferocita./
Era morta. Dio disse di no. Ed infatti per caso volle che l’animale si facesse di lato./
Che culo! Brontolò Giansante degli Uccellieri. Ma non si fece spaventare, si alzò di scatto/
E prima ancora che la Chimera potesse far alcuna cosa, le sferragliò addosso il caricatore salato./
Ed ancora non morta si alzò quella vecchia Signora. Però ferita non poté correr di ratto./
Amore Amore, fuoron le parole di Giansante mentre estraeva il coltello e lo avvicinava al collare./
Odore, che tanfo, rispose la Chimera, in lodi degli Signore. Parevan le undici del venerdì di mattina./
Taci, mia debole Chimera. Vieni uccisa dal cacciatore che tutto vede ed ode. Tu mi devi onorare./
Cacciator dei miei stivali, me son un vermucolo dei sassi. Non ho alcuna testa leonina./
Perdincibaccolina, si disse Giansante. Sogno o son cieco. Esto è davvero un vermicello./
Mi dolgo e mi ridolgo, e mi toglo dai piedi disonorato. La mia preda è un miraggio illusorio./
E scappò lontano da quell’oltraggio. Che per lui volevan dir tanto. E giunse piano al gran castello./
Sua dimora, che tanto lo onora e lo ringalluzza. A tal punto che il dolor pervenne irrisorio./
Ma qual poté fargli vedere ciò che non è e che non fu. Chimera, si disse, e la sua magia./
Chimera fu mai? Aver lei la mutevole capacità di mutare? Frodato son stato? Chi è là ?/
Era la moglie stupita, che da anni non vedeva il marito suo. “Venite, ponete le vostre vestigiaâ€/
Disse quella, con più onor possibile dell’onor sverginato che le fu caro. Nessun altro saprà ./
Piano, disse, facete piano e raccontate ciò che vi accadde. Io son vostra moglie onorata e vi ascolto./
Giansante ebbe un rigurgito interiore, pari solo al volere della propria toletta. Narrò per segno/
E per filo. Dell’attesa, dell’inattesa venuta della bestia e l’illusione. La donna non faceva molto./
Non faceva motto, né chinava la testa. Rimase a sentir quel che forse era frutto del solo ingegno./
O così ebbe a pensar il pover ormai vecchiardo signore, e si infuriò a quegli occhi languidi./
“Tu, troia, non credi alle mie parole. Donnaccia, vattene. Lasciami stare, che voglio pensare.â€/
E quella non rispose con voce, ma con atto. Si fece in piedi e si allontanò a passi dolci e rapidi./
Ma zoppicava di lato, e pareva con qualche recente ferita. E nell’orrido pensare e narrare/Giansante non fece caso forse al bianco cicatrizio che la donna teneva fra le occhia.(Giansante e la Chimera. Opera dotta di Giovanni Verza.)