profile picture

197217886

I am here for Dating, Friends and Networking

About Me

C’era una volta, banalità nel cominciar così una pronta novella/ Ma c’era davvero, forse non solo una volta, un giovin signore/ Che se ne partì d’in solo con un fucile in spalla e nella tasca una ‘voltella./ Andava sempre a cercar belve originali, correva nelle frasche, correva per ore./ Non memoriamo il suo nome, né qualsivoglia cognome, ma fu Johan quegli/ Nome usitato, un poco svalutato. No, è ormai screditato. Ha già stufato./ Mettiamo si chiami allora Giansante. Degli Uccellieri. Ascoltate, per dio! State svegli./ Rimanemmo che armato d’inganno si faceva entro la foresta, l’interessato/ Ed era già circondato di sibili e pestii, crasciare e guglire. Ma non si fece retro/ Si fece eroe nel cuore, si stese di petto sul manto di foglie, ed ebbe ad ascoltare/ Da mesi odiva quello strano scalpicciare, che tanto lo incuriosiva di dentro, ed un metro/ Che avanzava, gli pareva di sentirlo di volta. O di estro. Ed entrambi. Sparare?/ No, la calma lo trattenne dal fare il verso al Trombatorrione. Si fece fine./ E nel silenzio avvertiva un brivido fin entro le occhia. Che tutto ne vibrava il melenso./ Che forse si trovasse in sul calar del proprio esser tale? Rispettare le sue mire?/ Sì ne, sì ne, si ripeteva il sordo marrano. Oggi la scovo e la prendo, io penso./ Ma mal pensava. Minus facile quam sit. Dotto motto di omo molto colto. Ite./ Ite ad umquam. Umquam facile vitam est. Cosa dite? Mi sto perdendo nel niente./ Avete ordunque ragione, ma ‘esta storia non per voi venne riportata e scritta./ Né alcuno di nossignori richiede di esser seguito. Ma è pur giusto tornare al silente./ Egli rimaneva quieto e secreto, nel buio di bassi arbusti. L’erta in mente ritta./ Ed attese. Lunghi secondi, e minuti, e ore, e giorni, e mesi ed anni! Testardo il bastardo./ E quell’”oggi la scovo” si perse nel tempo, ma rimase integerrimo nel cranio duro./ Perché, d’un tratto, si mosser le foglie di una quercia morente da sempre, bieco lo sguardo/ E fra li rami alti un’ombra crebbe quasi la gonfiasser da dentro. E si fece avanti nel buio./ Un lampo di fiamma, un battito d’ali, una serpe sibilante, un belato caprino. Un ruggito./ Per ogni animale raro ed originale! Esclamò d’intellego il cacciator senza parole. Chimera!/ E la fiera si stese di botto alla radice dell’albero ancestrale proprio di fronte a Giansante stordito/ A quella visione epocale, quella bestia papale, quell’orrore bestiale, dinanzi la bianca criniera./ E la paura fu solo di qualche istante ancora, perché fu vinto nell’insubito dalla ‘mozione/ Non morte e ferita, non rimorso od attesa, gli pagherebbero un’occasione così favorita/ E dunque mantenne il fucile basso, ancora un poco, puntandolo in punta del viso del Leone./ E fece fuoco. Proprio lì, nel luogo cui la ruga della fronte racchiude le occhia inferocita./ Era morta. Dio disse di no. Ed infatti per caso volle che l’animale si facesse di lato./ Che culo! Brontolò Giansante degli Uccellieri. Ma non si fece spaventare, si alzò di scatto/ E prima ancora che la Chimera potesse far alcuna cosa, le sferragliò addosso il caricatore salato./ Ed ancora non morta si alzò quella vecchia Signora. Però ferita non poté correr di ratto./ Amore Amore, fuoron le parole di Giansante mentre estraeva il coltello e lo avvicinava al collare./ Odore, che tanfo, rispose la Chimera, in lodi degli Signore. Parevan le undici del venerdì di mattina./ Taci, mia debole Chimera. Vieni uccisa dal cacciatore che tutto vede ed ode. Tu mi devi onorare./ Cacciator dei miei stivali, me son un vermucolo dei sassi. Non ho alcuna testa leonina./ Perdincibaccolina, si disse Giansante. Sogno o son cieco. Esto è davvero un vermicello./ Mi dolgo e mi ridolgo, e mi toglo dai piedi disonorato. La mia preda è un miraggio illusorio./ E scappò lontano da quell’oltraggio. Che per lui volevan dir tanto. E giunse piano al gran castello./ Sua dimora, che tanto lo onora e lo ringalluzza. A tal punto che il dolor pervenne irrisorio./ Ma qual poté fargli vedere ciò che non è e che non fu. Chimera, si disse, e la sua magia./ Chimera fu mai? Aver lei la mutevole capacità di mutare? Frodato son stato? Chi è là?/ Era la moglie stupita, che da anni non vedeva il marito suo. “Venite, ponete le vostre vestigia”/ Disse quella, con più onor possibile dell’onor sverginato che le fu caro. Nessun altro saprà./ Piano, disse, facete piano e raccontate ciò che vi accadde. Io son vostra moglie onorata e vi ascolto./ Giansante ebbe un rigurgito interiore, pari solo al volere della propria toletta. Narrò per segno/ E per filo. Dell’attesa, dell’inattesa venuta della bestia e l’illusione. La donna non faceva molto./ Non faceva motto, né chinava la testa. Rimase a sentir quel che forse era frutto del solo ingegno./ O così ebbe a pensar il pover ormai vecchiardo signore, e si infuriò a quegli occhi languidi./ “Tu, troia, non credi alle mie parole. Donnaccia, vattene. Lasciami stare, che voglio pensare.”/ E quella non rispose con voce, ma con atto. Si fece in piedi e si allontanò a passi dolci e rapidi./ Ma zoppicava di lato, e pareva con qualche recente ferita. E nell’orrido pensare e narrare/Giansante non fece caso forse al bianco cicatrizio che la donna teneva fra le occhia.(Giansante e la Chimera. Opera dotta di Giovanni Verza.)

My Interests

I'd like to meet:


My Blog

The item has been deleted


Posted by on